La rovinosa bancarotta di un imprenditore ossessivo-compulsivo
Per anni Luigi Compiano accatastò auto, moto e barche con i soldi sottratti alla sua azienda, secondo una perizia a causa di un disturbo che ne condizionò la capacità di intendere e di volere
di Pietro Cabrio
Nel novembre del 2016 circa cento camion partirono da Treviso per conto della casa d’aste inglese Sotheby’s con destinazione Fiera di Milano. Nei loro viaggi trasportarono 434 auto, 159 motocicli, 58 imbarcazioni e 134 biciclette: in tutto 817 lotti che tra il 25 e il 27 novembre dello stesso anno vennero venduti complessivamente per 51 milioni di euro in una delle aste automobilistiche più ricche di sempre. Tutti i lotti erano stati proprietà di una sola persona, l’imprenditore trevigiano Luigi Compiano, che li aveva acquistati nell’arco di diciotto anni servendosi di almeno 36 milioni di euro sottratti dai caveau dell’azienda portavalori di famiglia, provocandone la bancarotta.
In diciotto anni Compiano stipò i mezzi acquistati in undici capannoni in una zona industriale alle porte di Treviso, senza mai farne mostra in pubblico. In questi capannoni trovarono spazio dei pezzi unici nella storia dell’automobilismo: una rarissima Ferrari 275 GTB da oltre 3 milioni di euro, quattro Testarossa, una Maserati MC12 prodotta in cinquanta esemplari, due modelli di Lancia Delta HF Integrale cinque volte campione del mondo nel rally e sette Rolls-Royce, il tutto comprato sapientemente ma in modo ossessivo insieme a un sacco di altra roba.
Tra Ferrari, Porsche, Aston Martin e Maserati, vennero sequestrati anche mezzi e oggetti più disparati, comuni e non. All’asta di Sotheby’s a Milano vennero battuti un motoscafo Lamborghini Miura, una Ducati Desmosedici del 2008, decine di bici da corsa, una Jaguar D-Type per bambini da 30.000 euro, un centinaio di vecchie insegne stradali, due vecchie bici dell’esercito svizzero e poi gomme, motori, idroplani, go-kart, furgoni militari, station-wagon, utilitarie e monoposto di Formula 3.
I beni accatastati rimangono ancora oggi l’immagine dell’enorme dissesto economico da 124 milioni di euro scoperto a partire dal 2013 nei conti dell’azienda portavalori North East Services, fino ad allora leader locale nel settore con oltre 400 dipendenti tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Compiano è il principale imputato nel processo iniziato lo scorso dicembre e ora vicino alla conclusione: per lui il pubblico ministero ha chiesto una pena di nove anni di reclusione.
È accusato di appropriazione indebita, bancarotta documentale – per aver nascosto le scritture contabili della North East Services – e bancarotta per distrazione, avendo compromesso i conti prelevando dai caveau aziendali milioni di euro spesi per acquistare i beni citati: condotta per la quale una perizia del dipartimento di psichiatria dell’ospedale San Raffaele di Milano presentata dalla difesa, ma respinta dai giudici, lo ha valutato come affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo tale da condizionare la sua capacità d’intendere e di volere.
Il caso della North East Services ebbe una grandissima risonanza nel Veneto orientale e soprattutto a Treviso, ricca città imprenditoriale dove l’azienda aveva sede e nella cui provincia si trovavano, a pochi chilometri di distanza tra di loro, sia il caveau dal quale venivano prelevati impropriamente i soldi che gli undici capannoni dove venivano conservate auto, moto e barche. Luigi Compiano era inoltre l’erede del gruppo di famiglia, fra i più noti e influenti in città, fondato negli anni Venti dal bisnonno e poi portato avanti dal padre Arnaldo, collezionista d’arte ricordato come un mecenate e candidato sindaco di Treviso nei primi anni Duemila.
I Compiano erano estremamente radicati nel territorio, non solo con le attività imprenditoriali, ma anche nella cultura, con una casa editrice, e come finanziatori di eventi e attività benefiche. Oggi di tutto questo non esiste più nulla. Il caso giudiziario coinvolse inevitabilmente anche gli altri membri della famiglia: Marco Compiano, fratello di Luigi, subentrò nella gestione dell’azienda subito dopo lo scandalo e si trovò accusato di aver evaso l’IVA per un milione di euro. Venne assolto nel 2016 e nello stesso anno disse al quotidiano locale: «Ci siamo trovati da una posizione di solidità alla totale precarietà. Ora vivo di lavori saltuari, non ho un impiego stabile e il nome della nostra famiglia è stato completamente svalutato».
Luigi, descritto come una persona spigolosa ed estremamente riservata, non ha mai rilasciato dichiarazioni, se non nell’ultimo anno, quando ha sostenuto di aver saldato i debiti e per questo di essere finito in miseria. Secondo le deposizioni del curatore fallimentare del gruppo, per diciotto anni prelevò denaro dai caveau dove venivano conservati i soldi di istituti di credito come Veneto Banca, Intesa San Paolo, Unicredit e Zurich, ma anche di supermercati e grossi gruppi come Ikea. Compiano coprì i prelievi con assegni intestati a sé stesso privi di valore e gli ammanchi rimasero nascosti per anni, inizialmente con la presunta complicità di due dipendenti che però sono stati scagionati: secondo la procura avrebbero soltanto eseguito gli ordini di un superiore.
Nel 2013 alcune banche locali, probabilmente insospettite, chiesero improvvisamente di ritirare delle grosse somme di denaro dai depositi della North East Services. L’azienda, non essendo in grado di restituirle, cercò di prendere tempo. Le banche si rivolsero quindi alla Guardia di Finanza, che scoprì ammanchi e irregolarità nei conti “scoperchiando” un caso che a distanza di sette anni fa ancora discutere e non può dirsi concluso.
Tutte le aziende del gruppo Compiano, dal trasporto portavalori a sicurezza e vigilanza, cessarono immediatamente le attività, lasciando per mesi quasi un migliaio di dipendenti senza stipendio e successivamente in cassa integrazione fino al subentro dell’azienda milanese Sicuritalia, che nel 2014 rilevò dal curatore fallimentare l’azienda portavalori e quella di vigilanza. Nelle indagini fu coinvolto anche l’ex questore di Treviso, Carmine Damiano, indagato per aver promosso l’operato dell’azienda in una consulenza professionale pochi anni prima dello scandalo, ma nel 2015 la sua posizione venne archiviata. Oltre al processo in corso per bancarotta, Compiano è già stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 4 mesi per il mancato pagamento di imposte fiscali tra il 2011 e il 2013 per 17 milioni di euro, somma che verrà recuperata dai proventi dell’asta, gli stessi con i quali verranno in parte risarcite banche e imprese.