I dati della settimana sul coronavirus in Italia
Contagi, ricoverati e decessi continuano a crescere a ritmi allarmanti, soprattutto in province come Milano, Monza, Varese, Genova e in Valle d'Aosta
Negli ultimi sette giorni in Italia sono stati accertati quasi 151mila casi di contagio da coronavirus, il 79% in più dei sette giorni precedenti. Per la quarta settimana di fila, i contagi registrati aumentano drasticamente, anche se il ritmo – prendendo come riferimento i dati da venerdì a giovedì – è un po’ diminuito: l’aumento era stato del 106% due settimane fa, e del 95% la settimana scorsa.
Il numero di casi positivi in sé è preoccupante soprattutto perché ha già abbondantemente superato quello che i sistemi di contact tracing regionali riescono a gestire. Per ognuno dei 20-25mila positivi scoperti ogni giorno, infatti, le ASL dovrebbero ricostruire una media di 15-20 contatti a stare bassi, da mettere immediatamente in isolamento per fermare il potenziale focolaio. Questo non sta succedendo praticamente da nessuna parte: i contatti ricostruiti sono sempre meno, perché i contact tracer non riescono più a fare le necessarie indagini epidemiologiche su tutti i nuovi contagiati, con il risultato che non abbiamo più sotto controllo la diffusione del virus.
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L’ultimo rapporto settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità è uscito lo scorso venerdì e fa riferimento alla settimana ancora precedente, cioè quella che nel grafico sopra va dal 9 al 15 ottobre. Riguarda quindi una fase che ormai è superata dagli eventi, e che è drasticamente peggiorata: eppure era comunque molto preoccupante. Dice che già allora soltanto un caso positivo su quattro era scoperto attraverso il contact tracing, mentre un terzo veniva accertato per via della comparsa dei sintomi. Per la prima volta da mesi, il numero di focolai noti era diminuito: ma non dipendeva dal fatto che fossero di meno, bensì dal fatto che non li riuscivamo più a individuare. Il 44% dei casi notificati in quella settimana, infatti, non è collegato a catene di trasmissione note.
Due settimane dopo, la situazione non ha dato segnali di miglioramento: sappiamo come viene contagiata una parte minorataria dei positivi e questo complica moltissimo il lavoro dei politici e degli amministratori che devono decidere quali misure restrittive adottare per contenere i contagi. Gli avvertimenti dell’ISS erano molto chiari già una settimana fa: i dati segnalano «criticità dei servizi territoriali» e il «raggiungimento imminente di soglie critiche dei servizi assistenziali di diverse regioni».
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Il numero dei decessi settimanali continua ad aumentare: la settimana scorsa era più che raddoppiato, questa settimana poco meno (c’è stato un aumento del 94%). Come previsto da molti, ha seguito l’andamento dei contagi con un paio di settimane di ritardo.
I ricoverati in terapia intensiva sono oggi 1.651, un numero lontano dagli oltre 4mila della fase peggiore della prima ondata ma che è preoccupantemente aumentato del 66% rispetto alla scorsa settimana. Il dato nazionale però racconta soltanto un pezzo della storia: certe regioni, infatti, sono molto più attrezzate di altre nei reparti di rianimazione degli ospedali.
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In Lombardia, per via dei grandi investimenti sugli ospedali degli ultimi vent’anni e per via dell’intensità della prima ondata, la preparazione è assai maggiore rispetto ad altre regioni. In Umbria la percentuale di pazienti Covid ha superato il 50% dei posti di terapia intensiva, secondo le stime del Sole 24 Ore, raggiungendo un livello allarmante e ben oltre la soglia considerata critica del 30%. Soglia superata da Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Campania, e quasi raggiunta anche in Toscana e in provincia di Bolzano.
Un altro dato che continua a dare cattive indicazioni è il tasso di positività dei tamponi: cioè quanti risultano positivi sul totale di quelli fatti. È un indicatore parziale, e non va preso come parametro assoluto per valutare l’andamento dell’epidemia e lo stato di salute del monitoraggio: ma è comunque importante e il suo andamento medio segnala diverse cose.
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Visto che stiamo tornando a concentrare i test su chi manifesta sintomi, perché non riusciamo più a star dietro al tracciamento dei contatti e quindi agli asintomatici, il numero di positivi che scopriamo sul totale dei tamponi aumenta. Lo sta facendo da agosto, ormai, ma la curva cresce molto di più da ottobre, e ha raggiunto ora il 13%, contro il 10% di una settimana fa. L’altra cosa che suggerisce l’andamento di questo indicatore è che l’aumento dei casi non dipende dall’aumento dei test: altrimenti il tasso resterebbe costante, o scenderebbe. Questi concetti, e il modo corretto di interpretare il tasso di positività dei tamponi, è spiegato più estesamente qui.
La Lombardia non ha rivali per quanto riguarda il numero assoluto dei casi registrati questa settimana: sono stati 39.136, il 96% in più rispetto alla settimana scorsa. In numeri assoluti, è seguita da Campania (16.860) e Piemonte (15.362), mentre per quanto riguarda l’incremento percentuale c’è l’Emilia-Romagna che è al 98% e la Toscana al 94%.
Ma i contagi vanno considerati in rapporto alla popolazione, e ancora meglio alla popolazione per provincia. La mappa dei casi accertati nelle ultime due settimane ogni 100mila abitanti mostra che in Valle d’Aosta va peggio che nel resto d’Italia: sono stati 1.058. Segue la provincia di Monza e Brianza (881) e quella di Milano (834), poi Genova (784), Varese (760), Cuneo (628), Prato (623) e Viterbo (612).
I tamponi continuano a crescere, sono stati oltre un milione e 221mila nell’ultima settimana, somministrati a quasi 752mila persone che finora non erano state testate.