Cos’è andato storto con il vaccino antinfluenzale
Le dosi ci saranno per le categorie a rischio ma forse non per gli altri, almeno in alcune regioni: perché è successo, e come potrebbe andare con il vaccino contro la COVID-19
di Eugenio Cau
Lo scorso 4 giugno il ministero della Salute ha emanato una circolare con le “raccomandazioni per la stagione 2020-2021” a proposito di “prevenzione e controllo dell’influenza”. Il documento però cominciava parlando di un’altra malattia, la COVID-19, e spiegava, dopo un lungo preambolo, che proprio a causa della pandemia «si rende necessario ribadire l’importanza della vaccinazione antinfluenzale». La ragione è che l’influenza stagionale e la COVID-19 hanno sintomi simili, e ridurre la possibilità di insorgenza dell’influenza in autunno e inverno significa rendere più facile ai medici la cosiddetta “diagnosi differenziale”, cioè capire se il paziente ha l’influenza o la COVID-19.
Quest’anno il vaccino antinfluenzale è così importante che il ministero faceva raccomandazioni molto pressanti. Per esempio, «è cruciale che le Regioni e Province Autonome avviino le gare per l’approvvigionamento dei vaccini anti-influenzali al più presto basandole su stime effettuate sulla popolazione eleggibile e non sulle coperture delle stagioni precedenti», che significa: le regioni devono sbrigarsi a fare rifornimento di vaccini antinfluenzali, e stare pronte perché quest’anno le persone da vaccinare saranno molte di più. Inoltre stabiliva che tra i soggetti a rischio sarebbero state incluse tutte le persone sopra i 60 anni (di solito sono sopra ai 65) e raccomandava di cominciare prima le vaccinazioni, all’inizio di ottobre, quando di solito la campagna di immunizzazione comincia a metà del mese, ed entra nel suo pieno a novembre.
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Anticipare la campagna vaccinale è importante non soltanto perché si prevede che si vaccineranno molte più persone: per consentire che le vaccinazioni siano fatte in sicurezza, nel rispetto del distanziamento e con le misure igieniche necessarie, serve molto più tempo. Non a caso in molte Regioni le ASL e i comuni hanno reso disponibili strutture apposite per la campagna di immunizzazione di quest’anno, come teatri e palazzetti dello sport.
Il ministero non lo scrive esplicitamente, ma nel frattempo molti esperti dicevano che sarebbe stato meglio vaccinare non soltanto le persone più fragili e anziane, ma anche tutti gli altri: l’idea era che più si limitava la diffusione dell’influenza più facile sarebbe stato riconoscere i sintomi della COVID-19. Ad agosto, per esempio, il virologo Andrea Crisanti disse ai media che «è importante che quante più persone possibile si vaccinino contro l’influenza». Questo consiglio ha però degli effetti collaterali: siccome le dosi di vaccino disponibili nel mondo sono limitate, se tutti i paesi puntano a un livello di immunizzazione molto alto può crearsi una competizione che mette a rischio i cittadini più fragili dei paesi che arrivano ultimi, come ha scritto l’Organizzazione mondiale della sanità a settembre, quando ha previsto che ci sarebbe stata carenza a livello mondiale e ha consigliato ai paesi più deboli di prepararsi.
In Italia si è parlato di vaccini per molti mesi, le raccomandazioni del ministero della Salute erano chiare, ma nella maggior parte delle regioni le campagne vaccinali ormai iniziate da qualche settimana continuano a riscontrare problemi e ritardi. In alcune regioni, come la Lombardia, ci sono state polemiche molto dure. Nelle farmacie, che dovrebbero rifornire di vaccini la popolazione non a rischio, le dosi ancora non sono arrivate, con poche eccezioni, nonostante una domanda esorbitante. Per capire come sono stati possibili questi ritardi, e soprattutto se e come la situazione si risolverà, bisogna spiegare come l’Italia si approvvigiona di vaccini, come funzionava negli anni passati e come ha funzionato quest’anno.
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Come funziona l’approvvigionamento in tempi normali
Per progettare la campagna di vaccinazione antinfluenzale, il ministero della Salute divide la popolazione italiana in due enormi gruppi: le “categorie target” e tutti gli altri. Le categorie target sono quella parte della popolazione più vulnerabile, oppure che fa mestieri che richiedono maggiore protezione: le persone al di sopra dei 65 anni (anche se quest’anno l’età è stata abbassata a 60); le donne incinte o che hanno appena partorito; le persone ad alto rischio di complicanze, come chi ha una malattia cronica; e poi chi fa lavori di interesse collettivo: medici e personale sanitario, forze di polizia, e così via. Ci sono anche i donatori di sangue. Le Regioni possono poi estendere l’elenco delle categorie target (molte l’hanno fatto con i bambini dai sei mesi ai sei anni), e alcune hanno reso obbligatorio il vaccino per certe fasce di popolazione: in Sicilia, per esempio, per gli operatori sanitari.
Per queste categorie target il vaccino antinfluenzale è gratuito e viene somministrato dal medico di base o dal pediatra di libera scelta. I vaccini sono comprati dalle Regioni che, tra aprile e settembre, organizzano delle gare d’appalto per la fornitura, a cui possono partecipare le case farmaceutiche. Le Regioni fissano un prezzo e una quantità di vaccini, le case farmaceutiche fanno un’offerta e così via. Le aste possono essere più di una, riguardare più di una casa farmaceutica e più di un tipo di vaccino. Ci sono altri metodi di acquisizione dei vaccini, chiamati “procedure negoziali”, che assomigliano ai più classici contratti di fornitura. In generale i vaccini antinfluenzali sono di diversi tipi, servono a esigenze diverse e a categorie di persone diverse (i bambini, per esempio, non prendono lo stesso vaccino degli adulti). Con l’avvicinarsi della stagione influenzale le Regioni consegnano i vaccini alle ASL. In alcune Regioni gli ordini arrivano alle farmacie e i medici possono andarli a ritirare lì.
Le categorie non target sono definite in gergo “popolazione attiva”, e sono tutti gli altri. Per loro il vaccino è a pagamento, ed è acquistabile in farmacia con la ricetta del medico. Dopo aver acquistato il vaccino, bisogna andare da un medico (non dev’essere necessariamente il proprio, ma di solito è così) per farselo inoculare. I vaccini per la popolazione attiva non li procurano le regioni, ma le farmacie. Normalmente quando finisce la campagna vaccinale, tra gennaio e febbraio, le case farmaceutiche chiedono alle farmacie (con farmacie si può intendere singole attività, ma normalmente lo scambio avviene con un fornitore intermedio che compra i medicinali e li distribuisce) l’ammontare delle rimanenze dell’anno: di solito, infatti, le farmacie non vendono tutti i vaccini antinfluenzali. In base alle rimanenze, le farmacie e le case farmaceutiche stabiliscono un “preordine” di vaccini per l’anno successivo. Questo preordine è poi confermato a giugno, e per l’autunno le farmacie ricevono i vaccini che hanno comprato, pronti per essere venduti.
Ci sono altri metodi, meno utilizzati, per fare il vaccino antinfluenzale. In alcune Regioni, per esempio, certe categorie di popolazione come i bambini e gli operatori sanitari possono essere inoculate nei centri vaccinali, che ricevono dosi dalle ASL. Ci sono inoltre le cliniche private, e molte aziende si procurano tutti gli anni dosi di vaccini per offrirli gratuitamente ai dipendenti. Cliniche private e aziende cercano i vaccini sul mercato, come le farmacie.
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Di solito tutte queste operazioni sono una routine. Sia le Regioni sia le farmacie sia tutti gli altri operatori comprano più o meno la stessa quantità di vaccini tutti gli anni senza troppi problemi, perché la percentuale di persone che si vaccinano contro l’influenza stagionale è stabile da decenni: il 50-60 per cento delle categorie target (nel 2019 il 54,6 per cento, secondo il ministero della Salute) e attorno al 15 per cento per la popolazione attiva (nel 2019 il 16,8 per cento). Il ministero della Salute, nella sua circolare di quest’anno, ha detto che l’obiettivo è vaccinare il 75 per cento delle categorie target.
Come funziona l’approvvigionamento di vaccini antinfluenzali durante una pandemia da coronavirus
Buona parte dello schema ben rodato dei vaccini antinfluenzali è saltato con il coronavirus. L’operazione routinaria di approvvigionamento quest’anno è diventata una lotta di tutti contro tutti a più livelli. Anzitutto, bisogna partire dal presupposto che quest’anno la domanda di vaccini è aumentata molto in tutto il mondo, e che produrre un vaccino non è per niente facile. Come spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, l’associazione di categoria delle industrie farmaceutiche, produrre una dose di vaccino richiede dai quattro ai sei mesi, e centinaia di controlli qualità. Dunque anche se la domanda è aumentata molto è possibile soddisfarla soltanto fino a un certo punto. L’OMS ha previsto scarsità di rifornimenti di vaccini non soltanto per la campagna vaccinale 2020/2021, ma anche per la successiva, del 2021/2022. Per ottenere i vaccini, dunque, l’Italia ha dovuto competere sul mercato europeo e globale per una quantità di dosi inferiore alle richieste.
In Italia, come si è detto, l’approvvigionamento dei vaccini antinfluenzali è demandato alle Regioni per le categorie target e alle farmacie per tutti gli altri. Questo ha portato a una competizione ulteriore: tra Regioni e tra le Regioni e le farmacie. Non significa che le Regioni si siano contese i vaccini le une con le altre, ma che quelle che hanno indetto le aste prima, e l’hanno fatto in maniera efficiente, hanno avuto più disponibilità delle altre. Per le farmacie il problema è ancora maggiore, perché per ragioni etiche e di business (bisogna dare la precedenza alle persone a rischio) i produttori di vaccini hanno privilegiato nella vendita gli enti pubblici, lasciandole praticamente senza dosi.
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I risultati sono stati due: il primo è che tutte le regioni hanno comprato più vaccini dell’anno scorso, in alcuni casi raddoppiando o triplicando le dosi, ma alcune non ne hanno comprati abbastanza da vaccinare il 75 per cento della popolazione a rischio, come mostra uno studio della fondazione GIMBE, che è stato fatto a fine settembre ma i cui numeri, dice la fondazione, fino a pochi giorni fa erano ancora validi. In tutto, le Regioni italiane hanno comprato 17,8 milioni di dosi, un aumento del 43 per cento rispetto a un anno fa, quando le dosi comprate erano state 11 milioni e quelle effettivamente usate 10 milioni. Il secondo risultato è che le partite di vaccino stanno arrivando in ritardo, sia perché gli ordini delle Regioni spesso non sono stati tempestivi sia perché i produttori faticano a stare dietro alla domanda, anche se Farmindustria assicura che i vaccini ordinati arriveranno tutti.
La vaccinazione delle categorie a rischio
La prima domanda da porsi è: le dosi di vaccino antinfluenzale basteranno? «Se saranno consegnate tutte sì», dice Tommasa Maio, segretario generale per la Continuità assistenziale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), «ma anche se l’approvvigionamento in generale è aumentato ci sono alcune aree in cui i medici ci dicono che il fabbisogno è più alto delle scorte». Uno dei fattori principali è che «alcune Regioni sono state più virtuose nell’approvvigionamento, altre lo sono state meno», ed è in queste che si verificano i ritardi e le carenze maggiori.
La Lombardia è una delle regioni considerate meno virtuose. La Regione ha acquistato finora 2,2 milioni di vaccini, che è molto più dei vaccini fatti l’anno scorso (1,2 milioni) ma che comunque consentirebbero la copertura soltanto del 66,3 per cento della popolazione a rischio. Per questo ci sono state molte polemiche, e sono stati aperti bandi dell’ultimo minuto che dovrebbero portare le dosi a poco meno di tre milioni, anche se questi vaccini comprati in ritardo costeranno molto di più: fino a 14 euro a dose, mentre Veneto ed Emilia-Romangna hanno comprato i loro a 5-6 euro a dose. Paola Pedrini, segretario regionale FIMMG per la Lombardia, dice che i vaccini sono cominciati ad arrivare ai medici di base la settimana scorsa, ma soltanto «30 dosi per medico. A partire da lunedì [il 26 ottobre, ndr] potremmo ordinarne altre 20, e poi in seguito altre 50. Così si arriverà a novembre con 100 dosi di vaccino distribuite a ciascun medico» che, nota Pedrini, considerando la richiesta sono pochissime. «A partire dalla metà di novembre ci hanno detto che arriveranno tutte le dosi, ma non sappiamo ancora esattamente quante».
Anche nelle Regioni dove l’approvvigionamento è stato meno complicato, però, i medici sono preoccupati perché la richiesta è molto superiore agli anni scorsi, i primi lotti di vaccini antinfluenzali stanno per finire e i nuovi lotti sono in ritardo. L’Emilia-Romagna, per esempio, ha comprato il 20 per cento in più di vaccini rispetto all’anno scorso, quando già superava la copertura del 75 per cento della popolazione a rischio, e l’ha fatto per tempo. Ma la campagna vaccinale è cominciata il 12 ottobre e in poco più di una settimana erano già state somministrate 200 mila dosi, che è una cifra enorme contando che tutta la campagna vaccinale dell’anno scorso aveva coinvolto 800 mila persone. Così molti medici hanno già finito il primo lotto di vaccini: se tutto va bene, il secondo lotto dovrebbe arrivare il 7 novembre, ma nel frattempo molti medici, specie quelli con tanti pazienti, si troveranno senza vaccini per due-tre settimane.
In Puglia, un’altra regione che ha fatto scorta abbondante di vaccini antinfluenzali (il 320 per cento in più rispetto all’anno scorso, secondo la onlus Cittadinanzattiva), Donato Monopoli, segretario regionale FIMMG Puglia, dice che «le richieste sono tantissime e abbiamo grosse difficoltà a soddisfarle tutte». Il dottor Monopoli nel suo studio medico l’anno scorso ha vaccinato «tra i 250 e i 300 pazienti», quest’anno hanno già fatto richiesta in 700. In alcune province pugliesi, come Taranto, c’è già stata una interruzione nelle vaccinazioni perché le scorte erano finite prima dell’arrivo di dosi nuove. Nel Lazio sono già state vaccinate «250 mila persone appartenenti alle categorie a rischio, il 30 per cento di quanto fatto l’anno scorso in tutta la stagione, e molti colleghi mi segnalano che hanno già finito il primo lotto di vaccini», dice Pier Luigi Bartoletti, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Roma e provincia e segretario provinciale della FIMMG. Situazioni simili si stanno verificando in tutta Italia.
Secondo i medici, queste interruzioni temporanee della campagna vaccinale potrebbero avere ricadute negative nei prossimi mesi, anzitutto perché la discontinuità nella fornitura provoca disagi ai pazienti e problemi con l’assegnazione degli appuntamenti. Inoltre perché c’è il rischio che non trovare il vaccino possa generare stanchezza e rassegnazione nella popolazione più debole. «Se rimandi indietro un paziente che ha bisogno del vaccino non è detto che torni», dice Maurizio Camanzi, segretario provinciale FIMMG Bologna. Altri medici ricordano come, durante il lockdown della primavera di quest’anno, molte Regioni abbiano chiuso i centri vaccinali: ora che si torna a parlare di “zone rosse” in alcuni territori, i medici temono che la campagna vaccinale possa subire ritardi e interruzioni ulteriori.
La vaccinazione della popolazione attiva
La crisi più grave quando si parla di vaccinazione antinfluenzale è probabilmente quella delle farmacie, che dovrebbero servire la popolazione attiva. Non sono ancora disponibili dati completi, ma con pochissime eccezioni (per esempio nel Lazio) in Italia le farmacie non hanno ancora a disposizione i vaccini antinfluenzali. Secondo Federfarma, l’associazione di categoria dei farmacisti, le case farmaceutiche non sono state in grado di soddisfare gli ordini di vaccini antinfluenzali fatti in primavera dalle farmacie perché praticamente tutte le dosi disponibili sul mercato sono state vendute alle Regioni, per immunizzare la popolazione a rischio. Questo è giusto dal punto di vista dell’etica e delle politiche pubbliche. Ma dopo che per tutta l’estate si è insistito sull’importanza della vaccinazione antinfluenzale, adesso «le farmacie sono prese d’assalto», dice Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma.
Le associazioni dei farmacisti, Federfarma e FOFI, Federazione degli Ordini dei Farmacisti, protestano contro questa situazione da mesi. Secondo le farmacie, quest’anno le richiesta di vaccini antinfluenzali sarà molto alta: l’anno scorso erano stati venduti 800 mila vaccini alla popolazione attiva, quest’anno si stima che saranno tra 1,2 e 1,5 milioni. A metà settembre, durante una riunione della Conferenza Stato-Regioni, l’organo di coordinamento tra il governo centrale e quelli locali, le Regioni hanno firmato un accordo in cui promettono di cedere alle farmacie l’1,5 per cento della loro scorta di dosi di vaccini.
Si tratta di circa 250 mila dosi, che è molto poco. Le farmacie avevano chiesto che la quota loro riservata fosse tra il 5 e il 10 per cento e anche il ministero della Salute, si legge nello stesso documento, aveva stimato che la quota ideale sarebbe stata tra il 3 e il 10 per cento. «Se dividiamo quelle 250 mila dosi per tutte le farmacie in Italia abbiamo poco più di 12 dosi per farmacia», dice Tobia, «ma a noi molte farmacie segnalano che le richieste sono molte di più, a volte 80-100 per una singola attività».
Alcune Regioni più fiduciose nella loro scorta di vaccini hanno promesso di cedere dosi ulteriori alle farmacie. L’Emilia-Romagna darà il 3 per cento delle sue scorte anziché l’1,5; il Lazio ha stanziato 100 mila dosi, il Veneto ne ha promesse 30 mila, che però non sono ancora state consegnate. Nonostante questo, le associazioni di categoria temono che se non si troverà il modo di procurare altre dosi moltissime persone potrebbero rimanere senza vaccino.
Perché tutti questi problemi?
Come è successo che quella che probabilmente è la campagna di vaccinazione più importante degli ultimi decenni sia andata storta? Ci sono tre ordini di ragioni, la prima strutturale e le altre due dipendenti dalle circostanze dell’emergenza sanitaria di quest’anno. Anzitutto, in Italia, la programmazione delle campagne vaccinali «non è mai stata adeguata», dice Renata Gili, coordinatrice del progetto di monitoraggio dell’influenza stagionale della fondazione GIMBE. «In Inghilterra, per esempio, la Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI) emette le raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzale della stagione successiva intorno a settembre dell’anno precedente e l’ordine per l’acquisto delle dosi di vaccino viene fatto intorno a dicembre». Da noi, come abbiamo visto, tutto avviene con diversi mesi di ritardo. Questo di solito non è un problema, ma in un momento in cui c’è un sovraccarico di domanda a livello globale si sono creati problemi.
La seconda ragione, la principale, è che molte Regioni si sono mosse tardi. Su questo concordano praticamente tutti i medici, i tecnici e gli esperti sentiti dal Post. «Alcune Regioni si trovavano in uno stato di forte pressione e hanno trascurato gli ordinativi dei vaccini antinfluenzali», dice Sandra Zampa, sottosegretaria del ministero della Salute. Massimo Scaccabarozzi di Farmindustria dice che «già a marzo noi avevamo chiesto di velocizzare la programmazione perché altri paesi avevano cominciato a muoversi. I vaccini non si possono ordinare a settembre». Una ricerca di Cittadinanzattiva uscita all’inizio di ottobre e riguardante dieci Regioni (quelle che hanno risposto alle richieste della onlus), mostra che in effetti le Regioni più in difficoltà sono quelle che hanno indetto più tardi le gare con le case farmaceutiche. Un caso limite è l’Abruzzo, che per alcune dosi di vaccino ha chiuso una gara il 12 ottobre.
La terza ragione è che alcune gare sono state gestite male. Molti enti regionali deputati all’approvvigionamento dei vaccini antinfluenzali non avevano capito che questa campagna vaccinale avrebbe richiesto uno sforzo superiore al normale e si sono comportati come tutti gli altri anni. Uno dei casi più noti è quello della Lombardia, dove l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (ARIA) ha presentato il primo bando a febbraio, ma la richiesta del prezzo per dose era fuori mercato: 4,5 euro. Tra febbraio e agosto, diverse gare di ARIA sono andate deserte o perché i prezzi per dose fissati dalla Regione erano troppo bassi o perché le dosi richieste erano troppe, e nessuna casa farmaceutica, in un momento di elevatissima richiesta, era in grado di soddisfare i criteri. Repubblica ha scritto che il problema è stato «un cortocircuito tra struttura e assessore», dove quest’ultimo è Giulio Gallera, assessore al Welfare che non avrebbe agito con anticipo e forza sufficienti. La Lombardia non è l’unica Regione ad aver avuto questi problemi: molte altre gare sono andate deserte in tutta Italia.
In generale, molti esperti hanno notato che, soprattutto in un momento di forte richiesta, questo sistema di approvvigionamento è inefficiente, perché le Regioni si comportano ciascuna come un piccolo stato e devono competere in un mercato europeo e globale in cui gli stati gestiscono l’approvvigionamento dei vaccini antinfluenzali in maniera centralizzata. Questo ha costretto le Regioni più piccole a unirsi tra loro per rendersi più appetibili, come hanno fatto ad agosto Abruzzo e Molise dopo che due loro gare erano andate a vuoto. Secondo Tommasa Maio di FIMMG sarebbe servito «un ente centralizzato per l’acquisto e la distribuzione equa dei vaccini», quanto meno in questo periodo di emergenza. Maio ricorda che nel 2009 i vaccini contro il virus influenzale A(H1N1), noto come influenza suina, furono acquistati a livello centralizzato dalla Protezione civile.
Motivi per essere ottimisti
Nonostante i molti problemi, ci sono buone ragioni per non cadere nel panico ed evitare di dire che ci sarà scarsità di vaccini antinfluenzali, almeno per le categorie target. Anzitutto, anche se la campagna è in ritardo sulla base dei criteri stabiliti dal ministero della Salute per il 2020, non è in ritardo se si guarda ai criteri tradizionali: le campagne vaccinali di solito cominciano nella seconda metà di ottobre, entrano a regime a novembre e proseguono anche dopo dicembre.
Ci sono ancora più di due mesi per vaccinarsi, e soprattutto ci sono ancora più di due mesi per reperire vaccini: tutte le Regioni che hanno incontrato difficoltà nell’approvvigionamento, infatti, stanno cercando di aumentare le proprie scorte con metodi emergenziali, spesso aiutate in questo da enti statali come l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) che da qualche mese ha aperto un tavolo di lavoro a cui partecipano rappresentanti delle Regioni e dell’industria. Questi vaccini trovati all’ultimo minuto, magari all’estero, costano di più, e sarebbe stato meglio ordinarli per tempo. Tutti gli esperti sentiti dal Post concordano sul fatto che alla fine le categorie target potranno vaccinarsi senza problemi, anche se più tardi di quanto indicato dal ministero. La situazione della popolazione attiva, invece, rimane più complicata e incerta.
Cosa succederà con il vaccino sul coronavirus?
Il fatto che ci siano stati errori e ritardi in questa campagna vaccinale antinfluenzale, la cui importanza era ben nota da tempo, potrebbe creare preoccupazioni su come sarà gestita, nei prossimi mesi, la campagna vaccinale contro la COVID-19: secondo gli esperti, i primi vaccini potrebbero essere pronti tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, anche se nella ricerca sui farmaci non si può dire niente con certezza fino alla conclusione dell’ultimo test.
Alcuni problemi che hanno riguardato il vaccino antinfluenzale sono stati risolti a monte con il vaccino contro la COVID-19. Per esempio, l’approvvigionamento frammentario affidato alle Regioni e ad altri enti non ci sarà, perché se n’è occupata la Commissione europea, che ha già stretto accordi con tre case farmaceutiche (AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sanofi) per acquistare in totale 1,1 miliardi di dosi di vaccino da distribuire equamente ai vari stati membri (la popolazione totale dell’Unione Europea è di 450 milioni, ma la Commissione ha fatto più di un accordo perché ciascuna casa farmaceutica sta sviluppando il vaccino con metodi differenti, e alcuni potrebbero non funzionare o non essere pronti per tempo).
«I vaccini contro la COVID-19 arriveranno in dosi molto più frazionate, e questo richiederà decisioni oculate sulla somministrazione», dice Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO). Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha già detto in più di un’intervista che il vaccino sarà distribuito a cominciare dalle classi più a rischio, ma ancora non ci sono piani precisi per quanto riguarda la distribuzione delle dosi e la gestione della campagna vaccinale. La sottosegretaria Sandra Zampa conferma che «non c’è un piano del governo» per la distribuzione del vaccino contro la COVID-19, anche se non ha escluso che il Dipartimento di prevenzione abbia già cominciato a occuparsene.