Scordiamoci le auto a idrogeno

Sono meno convenienti di quelle elettriche; aspettatevi però di vedere il gas usato per muovere aeroplani e grandi navi, e magari anche per scaldare case e uffici, tra qualche anno

Un'auto a idrogeno fa rifornimento a Tokyo. (AP Photo/Yuri Kageyama)
Un'auto a idrogeno fa rifornimento a Tokyo. (AP Photo/Yuri Kageyama)

Da decenni ricercatori, esperti e politici promettono che presto le automobili a idrogeno diventeranno un’alternativa pulita e sostenibile a quelle a diesel e benzina. Nel 2003, la European Hydrogen and Fuel Cell Technology Platform, un’organizzazione sponsorizzata dall’Unione Europea, stimò che nel nel mondo avrebbero circolato 5 milioni di auto a idrogeno entro il 2020. George W. Bush, quando era presidente degli Stati Uniti, disse che le auto a idrogeno sarebbero state al livello di quelle a benzina entro il 2010. Nel 2004 Arnold Schwarzenegger, allora governatore della California, promise che sempre entro il 2010 nello stato americano ci sarebbero state “autostrade a idrogeno”, piene di distributori di idrogeno, appunto.

Le cose, finora, sono andate diversamente. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), un’organizzazione dipendente dall’OCSE, nel 2018 nel mondo circolavano soltanto 11.200 automobili a idrogeno, contro 5,1 milioni di auto elettriche a batteria. Negli ultimi due anni, anche se non ci sono dati più recenti disponibili sull’idrogeno, il divario è senz’altro aumentato: nel solo 2019, sempre secondo la IEA, sono stati venduti 2,1 milioni di automobili elettriche, mentre le vendite di auto a idrogeno sono rimaste piatte.

In generale, dopo decenni in cui si è detto a più riprese che il momento delle automobili a idrogeno stava per arrivare, ormai la gran parte delle case automobilistiche sembra aver rinunciato a produrre veicoli a celle a combustibile (cioè a idrogeno) per puntare sull’elettrico. Oggi ci sono soltanto tre modelli di auto a idrogeno in commercio nel mondo, due giapponesi, la Toyota Mirai e la Honda Clarity, e una sudcoreana, la Hyundai Nexo. Le tre case automobilistiche, però, sono più famose per i loro modelli ibridi o elettrici piuttosto che per quelli a idrogeno. La maggior parte delle altre aziende produttrici, come Mercedes, Ford e GM, ha abbandonato i propri progetti di costruzione di auto a idrogeno negli ultimi anni e ha puntato sull’elettrico. Ha fatto lo stesso anche Volkswagen, che però ha ancora in programma nel 2023 di produrre un SUV a idrogeno tramite Audi. Hyundai qualche mese fa ha provato a rilanciare la sua linea di auto a celle a combustibile con uno spot pubblicitario fatto assieme alla famosissima band k-pop BTS, ma per ora non ci sono notizie di grandi risultati di vendita.


Insomma, il progetto di riempire le strade di auto a idrogeno sembra fallito, almeno per ora. Per capire la ragione bisogna capire come si produce l’idrogeno, da usare non soltanto nelle automobili ma ovunque: nei trasporti, in ambiti industriali e domestici. I problemi principali, riassumendo, sono tre: produzione, infrastrutture e convenienza.

Grigio, blu e verde
La prima cosa da sapere dell’idrogeno è che non si trova allo stato puro nell’ambiente, ma in sostanze come l’acqua, il gas naturale o il petrolio. Per ottenerlo, dunque, esistono alcuni metodi più o meno efficienti e più o meno dannosi per l’ambiente. Quello in assoluto più comune è definito “reazione di riforming con vapore” ed è una lavorazione per cui l’idrogeno (o meglio, un gas di sintesi ad alto contenuto di idrogeno) è generato a partire da idrocarburi (spesso metano) e vapore acqueo. Come risultato del processo si generano svariate tonnellate di CO2; per ciascuna tonnellata di idrogeno prodotta: perciò l’idrogeno è definito “grigio”. L’idrogeno grigio è anche il più economico da produrre: circa 1,5 dollari al chilo.

Poi c’è l’idrogeno “blu”, in cui il processo di produzione è simile ma la CO2, anziché essere rilasciata, viene “catturata” e stoccata sottoterra, per evitare la dispersione nell’atmosfera (all’incirca il 90 per cento della CO2 è catturato). L’idrogeno blu è leggermente più costoso da produrre: può arrivare a 3,5 dollari al chilo. Idrogeno grigio e blu sono di gran lunga i più utilizzati. Nel 2018, scriveva l’Economist, il 95 per cento dell’idrogeno industriale era prodotto a partire da idrocarburi.

Infine c’è l’idrogeno “verde”, che è quello che interessa di più perché è l’unico davvero a emissioni zero. L’idrogeno verde si crea a partire da un processo di elettrolisi (cioè separazione di idrogeno e ossigeno) dell’acqua tramite una macchina che si chiama elettrolizzatore. Questo processo ha bisogno di energia elettrica per funzionare, e ovviamente, affinché l’idrogeno prodotto possa dirsi davvero “verde”, questa energia deve essere generata da fonti rinnovabili: sia l’elettrolizzatore sia l’energia rinnovabile sono piuttosto costosi, e questi fa sì che l’idrogeno verde costi tra i 4 e gli 8 dollari al chilo. Le cose però stanno migliorando: sia il costo dell’energia elettrica da fonti rinnovabili sia quello degli elettrolizzatori stanno calando drasticamente, e l’Unione Europea, dove già costa un po’ meno che in altre aree, prevede che entro il 2030 l’idrogeno verde arriverà a costare 1,5 dollari al chilo: un prezzo abbastanza concorrenziale. Ci sono poi altri tipi di idrogeno a zero emissioni, come quello generato con processi di pirolisi.

Investimenti
Per produrre energia con l’idrogeno a livelli considerevoli, dunque, servono investimenti enormi. Qualche giorno fa BloombergNEF ha fatto un’analisi dei progetti per l’economia all’idrogeno contenuti nel Green Deal europeo, il piano ambizioso della Commissione europea per ridurre a zero le emissioni nette entro il 2050. Il piano comprende anche due documenti pubblicati a luglio, che parlano di una strategia continentale per la produzione in larga scala di idrogeno verde e prevedono investimenti giganteschi, con l’obiettivo di portare la potenza degli elettrolizzatori a 500 Gigawatt (che è tantissimo, contando che il picco di utilizzo di potenza elettrica registrato in tutta Europa, ha scritto BloombergNEF, è stato di 546 Gigawatt). Per farlo, serve un investimento molto consistente negli elettrolizzatori, nell’aumento della produzione dell’energia rinnovabile e nella costruzione di infrastrutture per il trasporto, lo stoccaggio e la fornitura sul territorio dell’idrogeno (parliamo di un complesso di tubature diffuso in tutto il continente, in parte riconvertendo i gasdotti): in tutto, ha stimato l’Unione Europea, tra 320 e 458 miliardi di euro di qui al 2030.

– Leggi anche: Il Green Deal europeo, spiegato bene

Conviene?
Abbiamo capito che per fare entrare davvero l’idrogeno nel mix energetico bisogna produrre un sacco di energia in più da fonti rinnovabili, investire in infrastrutture nuove e riconvertire parte di quelle esistenti. Tutto questo lavoro vale la pena? In alcuni casi no: siccome per produrre idrogeno verde serve energia elettrica, le leggi della termodinamica ci dicono che la quantità di energia generata da quell’idrogeno sarà sempre minore dell’energia utilizzata per produrlo. E dunque, in molte situazioni, meglio usare direttamente l’energia elettrica rinnovabile e lasciar perdere l’idrogeno.

È il caso delle automobili. I veicoli a idrogeno montano grossi serbatoi di gas pressurizzato che, reagendo con l’ossigeno preso dall’atmosfera, genera energia elettrica. Questi veicoli, tuttavia, non hanno caratteristiche migliori di quelli elettrici a batteria, anzi: considerando un’automobile elettrica con una batteria di capacità paragonabile, un’auto a idrogeno non ha maggiore autonomia, non è più leggera, ha meno spazio nel bagagliaio (a causa delle bombole), ha meno accelerazione, meno velocità massima e costa mediamente il 20 per cento in più. E ha più parti mobili, quindi il prezzo di manutenzione è più alto (la scarsissima quantità di parti mobili in un’auto elettrica fa sì che in molti modelli non sia nemmeno obbligatorio il tagliando annuale). L’idrogeno inoltre va stoccato ad alta pressione o a bassissime temperature, ed è ovviamente molto infiammabile, anche se le vetture che ne fanno uso hanno sistemi di sicurezza sofisticati.

Una “concept car” all’idrogeno presentata da Toyota nel 2014. (AP Photo/Julie Jacobson)

Soprattutto, le auto a idrogeno sono inefficienti rispetto a quelle elettriche a batteria: BloombergNEF ha calcolato che un’auto elettrica famigliare per percorrere 100 chilometri ha bisogno di 25 kWh di energia, contando anche la dispersione di energia nella rete e il ciclo della batteria; un’auto a idrogeno ha bisogno di 50 kWh di energia, considerando i costi di elettrolisi, compressione, trasporto, stoccaggio e riconversione dell’idrogeno. “Per metterla semplice, le auto a idrogeno sono efficienti la metà delle auto elettriche a batteria, e non c’è una ragione fisica per pensare che questo cambierà”, scrive BloombergNEF.

In altri casi, invece, l’idrogeno conviene, perché quella generata dall’idrogeno può essere una fonte di energia pulita con alcune caratteristiche uniche: in particolare, può essere stoccato e conservato praticamente ovunque, cosa impossibile con l’energia elettrica generata da eolico e fotovoltaico, a meno di un cambiamento importante nella tecnologia delle batterie. Se tutto va bene, l’idrogeno potrebbe diventare un elemento importante del mix energetico mondiale, anche se non per le automobili. Secondo l’Hydrogen Council, un gruppo di lobby a Bruxelles, entro il 2050 l’idrogeno potrebbe soddisfare il 18 per cento del fabbisogno mondiale di energia.

– Leggi anche: Tenete d’occhio le batterie

Per esempio, se nelle automobili la tecnologia a idrogeno è poco conveniente, può diventarlo in tir e camion, perché l’autonomia delle batterie arriva soltanto fino a un certo punto, e costruirne di troppo grandi è sconveniente. Nikola, una startup americana molto discussa di recente, ha promesso di produrre tir all’idrogeno nel giro di qualche anno. L’idrogeno ha buone prospettive per essere usato anche su navi e aeroplani. Per esempio, Airbus poco tempo fa ha annunciato che entro il 2035 realizzerà tre modelli di aerei commerciali a idrogeno e a zero emissioni.

Gli esperti sostengono inoltre che l’idrogeno potrebbe essere usato in maniera conveniente per riscaldare case e uffici. Per distribuirlo si può utilizzare almeno in parte la stessa rete di gasdotti usata al momento per il gas naturale: molti paesi, tra cui l’Australia, la Germania e il Regno Unito stanno prendendo in considerazione l’idea. L’ente che si occupa della rete britannica che porta il gas alle case, National Grid, ha detto all’Economist che la maggior parte delle abitazioni in Regno Unito già adesso potrebbe essere scaldata con un mix che prevede idrogeno al 20 per cento, senza modifiche. Alcuni produttori, inoltre, stanno cominciando a vendere caldaie capaci di bruciare non soltanto il gas naturale ma anche l’idrogeno puro.

Le capacità di stoccaggio dell’idrogeno, inoltre, sarà fondamentale in una società che si va sempre più elettrificando. Oggi l’elettricità soddisfa il 20 per cento del fabbisogno energetico del mondo, ma questa percentuale potrebbe raddoppiare o quadruplicare nel giro di qualche decennio. La produzione di energia elettrica rinnovabile, però, non è costante (i pannelli solari funzionano bene soltanto se c’è il sole, le pale eoliche solo se c’è vento) ed è difficile da stoccare. Per questo, finora, si sono usate altre fonti di energia (idrocarburi, soprattutto) per riempire i buchi delle forniture. In un mondo futuro a emissioni zero, il ruolo di energia-rifugio quando l’elettricità da rinnovabili per qualunque ragione non sarà disponibile potrebbe spettare all’idrogeno, che si può conservare praticamente all’infinito e praticamente ovunque.