Siamo in ritardo anche con gli alberghi per isolare i positivi
Il compito di organizzarli è passato alle regioni e alle ASL: qualcuno si è mosso per tempo, altri li stanno ancora cercando, ma si parla comunque di pochi posti
Nei mesi peggiori della prima ondata dell’epidemia, uno dei tanti problemi a cui non eravamo preparati erano i posti in cui isolare le persone positive al coronavirus che non potevano applicare il distanziamento a casa, per esempio perché condividevano appartamenti con un solo bagno, o perché convivevano con un anziano. Lo stesso problema si presentò anche per i pazienti ancora contagiosi che dovevano essere dimessi dagli ospedali perché non avevano più bisogno di assistenza, e i posti letto nei reparti scarseggiavano. E per le migliaia di operatori sanitari esposti al rischio di contagio che dovevano condividere casa con familiari, conviventi o coinquilini.
Durante la prima ondata di contagi qualcuna di queste strutture fu organizzata nel giro di poche settimane, ma diverse rimasero comunque mezze vuote e furono usate principalmente per i dimessi degli ospedali, perché in molti casi non fu mai chiaro a chi spettasse scegliere i casi positivi da mandarci.
Sono passati molti mesi, e altre strutture dedicate a questo scopo sono state individuate e organizzate in certe regioni, ma in diverse altre ancora devono essere scelte. Eppure – lo dice per esempio l’ultimo rapporto dell’ISS – “la maggior parte dei focolai continua a verificarsi in ambito domiciliare (77,6%)”. Perfino a Milano, dove la situazione è tra le peggiori in Italia, non sono ancora state attivate e nemmeno scelte le strutture che svolgeranno questa funzione nei prossimi mesi. In generale, gli alberghi adattati a diventare centri per l’isolamento dei positivi sono pochi un po’ ovunque, e non avranno probabilmente un grande impatto sulla gestione dell’epidemia.
Nella maggior parte dei casi si parla di alberghi e residence, a cui è garantito un corrispettivo che si aggira normalmente intorno ai 70 euro al giorno in cambio della camera e di alcuni servizi, dai pasti alla biancheria, e in certi casi anche un presidio medico per assistere all’evenienza gli ospiti. Ospiti che possono essere positivi asintomatici o paucisintomatici, oppure persone dimesse dall’ospedale e in via di guarigione (ma ancora positive), oppure ancora contatti stretti di positivi. Persone che, in ogni caso, necessitano di assistenza a intensità molto bassa o nulla, e per cui il servizio è gratuito.
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Il governo non ha mai dato indicazioni precise sulle strutture per isolare i positivi o gli operatori sanitari: se nella fase iniziale dell’epidemia erano state allestite e gestite dai comuni e dalla Protezione Civile, con il “decreto rilancio” la responsabilità è passata alle regioni, che nella maggior parte dei casi hanno assegnato alle ASL il compito di individuare le strutture adatte e fare i necessari contratti. Ma non ci sono linee guida nazionali su quanti posti debbano essere organizzati in proporzione alla popolazione, e quindi alle aziende sanitarie locali è stata sostanzialmente lasciata carta bianca. Questo ha prodotto risultati molto diversi.
In Emilia-Romagna, per esempio, sono stati allestiti oltre 600 posti, con ciascuna ASL che ne ha a disposizione dai 30 di Parma, che però sta facendo una gara per ottenerne altri 100, ai 130 di Bologna, al momento quella che ha attrezzato più posti, dentro al Living Hotel. Molti di questi posti sono già occupati: in Romagna sui 199 posti disponibili 133 sono già occupati, ha detto la Regione al Post.
In Emilia-Romagna a oggi ci sono circa 11mila persone in isolamento domiciliare perché positive ma senza necessità di essere ricoverate. Considerando che nel bacino di persone che potenzialmente potrebbero avere bisogno di una camera per fare l’isolamento ci sono anche i contatti più stretti e gli operatori sanitari, è evidente che ci sono posti solo per una piccola parte.
Ma l’Emilia-Romagna si è organizzata comunque con più efficienza e maggiore anticipo rispetto a molte altre regioni, ed è tra le poche che sembra avere un’idea chiara di quante siano le strutture, dove si trovino e quanti posti abbiano. In molti casi, infatti, gli assessorati alla Sanità regionali non sono stati in grado di fornire dati e informazioni sulle strutture e i posti letto: è il caso del Piemonte, per esempio, del Lazio e della Toscana. Nemmeno l’assessorato alla Sanità della Regione Sicilia ha una mappatura regionale delle strutture, che però sono state allestite o sono in fase di allestimento in alcune province. A Catania, per esempio, l’ASL ha recentemente individuato un centinaio di posti letto tra tre strutture diverse.
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In molte regioni questi piani sono ancora in corso d’opera. In Sardegna il bando è stato pubblicato pochi giorni fa. La Lombardia invece ha dato mandato alle ATS – come si chiamano le ASL nella regione – di pubblicare i bandi per individuare le strutture, ad agosto. In certi casi, come a Bergamo, la procedura è già stata completata ed è già stato attivato un hotel con 64 persone, a cui probabilmente se ne aggiungerà un altro secondo l’assessora alle Politiche sociali Marcella Messina. In altri casi, come a Brescia, l’ATS ha individuato due strutture ma sta aspettando l’autorizzazione ad assegnare il bando dalla Regione (autorizzazione che, per esempio, a Bergamo hanno ritenuto di non dover aspettare). Il bando dell’ATS Brianza invece è andato deserto, e ne è stato perciò pubblicato un altro che scadrà lunedì. Non ci sono quindi numeri complessivi sui posti disponibili in regione, e diverse ATS devono ancora attivare le strutture.
L’ATS di Milano, la città italiana che al momento è più gravemente colpita dalla seconda ondata dell’epidemia, al momento ha a disposizione soltanto una palazzina militare a Linate, vicino all’aeroporto, che ha 54 posti letto: pochi giorni fa quelli occupati erano 31. I bandi per l’autunno non sono ancora stati chiusi e si spera che le cose si sblocchino nel giro di qualche giorno, dice l’ATS. In primavera a svolgere la funzione di struttura per l’isolamento dei positivi in città era stato l’hotel Michelangelo, vicino alla stazione centrale, che aveva ospitato in tutto oltre 500 persone su circa 200 camere.
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Le strutture per isolare i positivi sono state una delle chiavi dell’approccio cinese alla gestione dell’epidemia. A Wuhan, entro i primi due mesi dell’epidemia, ne furono costruite una ventina adattando palazzetti dello sport e centri congressi, e organizzando oltre 20mila posti. Il contesto era ovviamente molto diverso: si trattava di grandi spazi pieni di file di letti, e in cui spesso le persone positive venivano portate con la forza dopo essere state prelevate dalle loro case.
In un contesto completamente diverso come l’Italia, durante la prima ondata era stata comunque evidente l’utilità degli alberghi in cui ospitare le persone per isolarle dalle famiglie e dai conviventi. Soprattutto in tempi di lockdown, quando con le attività sociali drasticamente ridotte la gran parte dei nuovi contagi avveniva nelle case, quando l’isolamento non era possibile o non era applicato correttamente. A marzo e aprile, poi, in molti sottolineavano l’importanza di queste strutture in quei casi – frequentissimi – in cui i conviventi di positivi accertati non riuscivano ad accedere al tampone, e uscivano perciò per andare al lavoro o fare la spesa perché non avevano alternative.
Queste strutture sono poi fondamentali per alleggerire gli ospedali, che le sfruttano per dimettere i pazienti in via di guarigione con giorni di anticipo, sapendo che sono in una struttura in cui non rischiano di contagiare altre persone e dove, nella maggior parte dei casi, hanno a disposizione un qualche tipo di assistenza medica.