Calenda sta facendo i conti col PD, e viceversa

Come è stata accolta nel centrosinistra la candidatura del capo di Azione a sindaco di Roma e quali sono le due questioni su cui una sintesi sembra lontana

Carlo Calenda (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)
Carlo Calenda (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)

Domenica scorsa, intervistato da Fabio Fazio durante il programma Che tempo che fa, Carlo Calenda ha confermato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni del 2021 per scegliere il sindaco di Roma, causando nei giorni successivi diverse discussioni all’interno del Partito Democratico e su un suo eventuale appoggio.

Calenda ha 47 anni, è europarlamentare dal 2019 eletto con poco meno di 280 mila preferenze, ed è stato ministro dello Sviluppo economico nel governo Gentiloni. Si era iscritto al PD nel 2018 poco dopo la brutta sconfitta alle elezioni politiche, ma l’aveva lasciato con toni molto critici dopo l’accordo di governo con il Movimento 5 Stelle. Nel novembre 2019 aveva fondato il partito Azione, di cui però non si conosce ancora molto: si proclama contro il populismo, ma sembra sostenersi su uno dei meccanismi più basilari del populismo stesso, cioè il rapporto diretto tra potenziali elettori e leader. Azione appare oggi come un “partito personale” che, di fatto, coincide con la figura di Calenda stesso.

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Calenda compare molto nei talk show e i giornali parlano spesso di lui: un po’ perché è uno dei pochi oppositori di centrosinistra al governo e un po’ a causa della sua attività su Twitter, che usa in modo assiduo e piuttosto disinvolto. Si definisce un «socialdemocratico liberale»: «Siamo di destra per l’iniziativa privata e di sinistra per la scuola e la sanità pubbliche», ha risposto Calenda a chi gli chiedeva come si posizionasse il suo nuovo partito. Nel manifesto di Azione, tra le radici culturali, si citano il liberalismo (quello dell’antico Partito d’Azione a cui si ispira il nome) e il popolarismo di don Luigi Sturzo, quella dottrina centrista che fu alla base della Democrazia Cristiana.

Confermando la sua candidatura a sindaco di Roma, Calenda ha parlato della necessità di creare una «grande coalizione di forze politiche e sociali, una squadra molto larga». Ma la sua presenza rischia di essere problematica per il PD. Per ora, sono due i temi principali di cui si è in qualche modo parlato: le primarie e il rapporto con il Movimento 5 Stelle.

Sulla prima questione ci sono esplicite dichiarazioni da entrambe le parti. Calenda, pur dicendo di «credere nelle primarie», pensa che a Roma in questo caso non siano necessarie: è in corso un’emergenza sanitaria, dice, quindi la partecipazione sarebbe a rischio. E «se le primarie si fanno con numeri bassi diventano solo uno scontro tra truppe cammellate», ha spiegato. D’altra parte, rimandarle significherebbe «stare a parlare tra noi per mesi» mentre la destra fa campagna elettorale tra i romani.

Repubblica, qualche giorno fa, ha scritto che il PD starebbe «studiando l’esordio delle primarie online per evitare i gazebo in piena crisi Covid», ma che per realizzare il progetto servirebbero sia tempo che soldi («Il primo sistema vagliato per certificare il voto costerebbe 60 mila euro, non pochi per un partito indebitato», dice sempre Repubblica). Ma alla base dell’insofferenza di Calenda per le primarie non sembrano esserci solo questioni legate alla partecipazione: l’ex ministro ha più volte spiegato che è necessario «allargare il campo il più possibile, parlare a tutti i cittadini», mentre le primarie “limiterebbero” la scelta all’interno della comunità dei militanti di centrosinistra. Inoltre, ha detto, «le primarie non sono sempre state una panacea, ricordo che alle penultime primarie a Roma uscirono sconfitti Gentiloni e Sassoli, quelli cioè che oggi il PD vorrebbe come candidati. E invece arrivò come sindaco Ignazio Marino che poi il PD rimosse».

Nelle ultime ore Calenda è tornato sulla questione delle primarie riprendendo quanto dichiarato da alcuni esponenti del PD a Bologna (dove, come a Roma, nel 2021 si terranno le amministrative), e cioè che di fronte all’attuale emergenza sanitaria e a un’oggettiva difficoltà debbano essere i gruppi dirigenti a trovare un candidato.

Il segretario del PD Nicola Zingaretti ha risposto a Calenda sostenendo l’importanza delle primarie interne al centrosinistra: «A Roma c’è una bellissima comunità che si sta organizzando per poi selezionare il percorso da intraprendere facendo decidere ai romani (…) Ho sempre detto che questo percorso è aperto a tutti quelli che vogliono partecipare, quindi anche a lui». Il vicesegretario Andrea Orlando ha a sua volta invitato Calenda a non delegittimare le primarie, così come la senatrice del PD Monica Cirinnà che a settembre ha annunciato di volersi candidare a sindaca di Roma, e altri esponenti e dirigenti regionali e locali del partito. In generale, sembra che la discussione dentro al partito sia appena iniziata.

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Il secondo punto che potrebbe dividere Calenda dal PD è la relazione con il Movimento 5 Stelle. La posizione dell’ex ministro è netta: nessuna alleanza. Calenda sostiene anzi che su Roma la valutazione («disastrosa») sull’amministrazione Raggi sia condivisa con il PD. Questo è vero: tra la giunta della sindaca e il gruppo del PD in Assemblea Capitolina – il consiglio comunale di Roma – c’è sempre stata ostilità, e durante tutto il suo mandato Raggi ha sempre sottolineato con forza la discontinuità con le amministrazioni precedenti, in particolare quella guidata da Ignazio Marino e sostenuta dal PD. Un’ipotesi di alleanza con Raggi era stata peraltro esclusa lo scorso giugno dallo stesso segretario del PD Nicola Zingaretti, che secondo i giornali avrebbe detto che un altro mandato di Raggi è «improponibile» e sarebbe «una minaccia per i romani».

Non è chiaro, però, come potrebbero andare le cose se la candidata non fosse Virginia Raggi, che ha però già dichiarato di volersi ripresentare per un secondo mandato nonostante le regole interne del Movimento 5 Stelle – il partito con cui fu eletta nel 2016 – non le permetterebbero di ricandidarsi, e nonostante le vicende giudiziarie in cui è coinvolta. Dentro al PD c’è chi tende a far pesare di più l’alleanza di governo sul piano nazionale. Il segretario romano del PD Andrea Casu per esempio ha detto: «Quella di Calenda ad oggi (…) è una candidatura che lui sta costruendo contro tutto quello in cui il PD crede: l’apertura e la partecipazione popolare per la scelta del candidato o il Governo di cui siamo parte fondamentale. Purtroppo ancora una volta divide e la destra brinda». Sia il PD che il M5S avrebbero probabilmente ogni interesse ad allearsi a Roma, per evitare una campagna elettorale da avversari in un contesto così importante e tutto ciò che potrebbe comportare per la tenuta del governo; dall’altra parte, una sconfitta dell’alleanza a Roma potrebbe rendere pericolante anche la coalizione nazionale.

Per ora, nell’area di centro e di centrosinistra, la candidatura di Calenda è stata accolta positivamente da Italia Viva e da +Europa, che in una nota congiunta firmata da Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi si dice «pronta a sostenerlo con convinzione». Al di là della questione delle primarie e delle alleanze, vedono positivamente la candidatura di Calenda anche alcuni esponenti di peso del PD: l’ex presidente del consiglio Enrico Letta (a cui sarebbe stata proposta la candidatura a sindaco di Roma, ma che avrebbe rifiutato), Piero Fassino, il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano e Andrea Marcucci. Calenda ha anche proposto all’ex ministro Fabrizio Barca, su Twitter, di lavorare in ticket con lui. Ma Barca ha risposto, sostanzialmente, di preferire altri metodi rispetto a quello dell’autocandidatura.