Sappiamo ancora poco dei pescatori italiani bloccati in Libia da 50 giorni
Avrebbero sconfinato in acque libiche, ma ci sono molte teorie sulle ragioni del fermo: e i parenti non sanno se e quando saranno processati o rilasciati
Si sarebbe dovuto tenere oggi il processo ai 18 pescatori che erano a bordo di due pescherecci partiti da Mazara del Vallo, in Sicilia, e che si trovano da 50 giorni in stato di fermo in una caserma poco fuori Bengasi, nella Libia orientale, dopo essere stati sequestrati dalle autorità libiche. La data del processo era stata riferita nei giorni scorsi dal Giornale di Sicilia, ma a oggi non esistono conferme ufficiali.
A fine settembre il generale Mohamed al Wershafani, funzionario delle milizie che combattono per il maresciallo Khalifa Haftar in quella zona del paese, aveva detto all’Agenzia Nova che i pescherecci avevano violato la competenza territoriale ed economica delle acque della Libia. Pochi giorni dopo Khaled Al-Mahjoub, un altro funzionario vicino ad Haftar, aveva detto che i pescatori sarebbero stati processati secondo le leggi libiche. Stando a quanto ha fatto sapere il ministero degli Esteri, però, la notizia del processo era ufficiosa, e non si sa se i pescatori verranno effettivamente processati o quando.
Lo scorso primo settembre i pescherecci “Medinea” e “Antartide” e i loro equipaggi – otto italiani, sei tunisini, due filippini e due senegalesi – vennero fermati a una quarantina di miglia dalle coste della Libia. Le autorità libiche ne contestavano la presenza all’interno di una porzione di mare che la Libia rivendica dal 2005 unilateralmente come propria zona economica esclusiva, cioè la fascia di mare in cui un paese ha diritto esclusivo allo sfruttamento economico delle risorse marine. Da quel momento, a parte una telefonata del 16 settembre, non si erano avute più notizie dei pescatori: ai familiari è stato detto soltanto che erano in buone condizioni di salute.
Ieri si attendevano aggiornamenti sul processo da parte del ministero degli Esteri. In una telefonata a Marco Marrone, armatore della Medinea e portavoce dei familiari dei pescatori, il ministero ha riferito che la notizia non è mai stata ufficializzata dalle autorità libiche e finora non si è tenuto alcun processo.
In questi 50 giorni i familiari dei pescatori hanno continuato a chiedere l’intervento del governo per la loro liberazione, organizzando manifestazioni a Mazara del Vallo e anche sit-in in piazza di Monte Citorio, davanti alla sede del Parlamento. Il giornalista di Prima Pagina Mazara, Francesco Mezzapelle, che ieri ha incontrato alcuni familiari nella sala consiliare del comune di Mazara del Vallo, ha raccontato che la non ufficialità del processo è stata interpretata come un segno positivo, perché è probabile che le trattative diplomatiche stiano procedendo. Il ministero, contattato dal Post, non ha risposto.
Tra le altre cose, Mezzapelle ha spiegato che le famiglie si sono sentite più rassicurate anche dopo l’appello di Papa Francesco, che durante l’Angelus dello scorso 18 ottobre ha detto: «Desidero rivolgere una parola di incoraggiamento e di sostegno ai pescatori fermati da più di un mese in Libia e ai loro familiari. Affidandosi a Maria, Stella del mare, mantengano viva la speranza di poter riabbracciare presto i loro cari».
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Il 15 ottobre, durante il “question time” al Senato – cioè una interpellanza rivolta a un rappresentante del governo da parte di membri dell’assemblea – il senatore di Italia Viva Davide Faraone aveva chiesto al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, «uno sforzo suppletivo» e più «pragmatismo», soprattutto perché il motivo ufficiale del fermo dei pescatori non è ancora stato chiarito con certezza.
Oltre alla questione della violazione delle zone economiche esclusive, una delle ipotesi più discusse è che Haftar voglia barattare la liberazione dei pescatori con la scarcerazione di quattro scafisti libici che stanno scontando una pena di 30 anni di carcere in Italia: questa notizia era stata diffusa da un tweet del Libyan Address Journal, che è considerato vicino ad Haftar. A inizio ottobre il Quotidiano di Sicilia aveva scritto che il ministro per i Rapporti col parlamento, Federico D’Incà, aveva spiegato che le richieste di organizzare uno scambio di prigionieri non erano «né confermate né in alcun modo formalizzate».
Una delle altre ipotesi, secondo Mezzapelle, è che il sequestro dei pescatori possa essere collegato a un accordo commerciale dell’anno scorso poi sfumato. Nell’estate del 2019 la federazione italiana Federpesca – che fa capo a Confindustria – e un’agenzia di investimento legata al maresciallo Haftar avevano concluso un accordo attraverso una società maltese per consentire ad alcuni pescherecci italiani di pescare nella zona economica esclusiva rivendicata unilateralmente dai libici, dietro pagamento di una quota mensile. Secondo Mezzapelle il sequestro da parte delle milizie di Haftar potrebbe essere una «ripicca» nei confronti dell’Italia perché l’accordo con Federpesca venne rinviato per le proteste del governo libico del primo ministro Fayez al Serraj; e visto che l’Italia riconosce solo il governo di Serraj, avversario di quello di Haftar, quest’ultimo avrebbe risposto sequestrando i pescatori per sollecitare nuove trattative.
Peraltro, i due pescherecci erano stati fermati poche ore dopo la ripartenza verso l’Italia di Di Maio, che il primo settembre era andato in Libia per incontrare prima Fayez al Serraj, e poi Aguila Saleh, il presidente del parlamento libico orientale, che appoggia Haftar ed è in conflitto con Serraj. Anche se la Medinea e l’Antartide non sono legate a Federpesca, Mezzapelle ha sottolineato che la federazione non ha mai commentato la vicenda dei due pescherecci fermati.
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La questione dei diritti per la navigazione e lo sfruttamento delle acque marine è uno dei temi su cui diversi paesi costieri si scontrano da anni in tutto il Mediterraneo. La porzione di mare adiacente alle coste di un certo stato, il cosiddetto mare territoriale, si estende per un massimo di 12 miglia nautiche, cioè circa 22 chilometri; anche se è tenuto a consentire il passaggio di navi straniere purché non comportino un rischio per l’ordine e la pace, lo stato vi esercita una sovranità – cioè pieni poteri – pari a quella esercitata sulla terraferma.
Nella zona contigua, ovvero quella che si estende fra le 12 e le 24 miglia nautiche, lo stato invece ha poteri di controllo sulle navi straniere per evitare che commettano reati all’interno del proprio territorio, nel mare territoriale così come sulla terraferma. Le autorità libiche contestano la presenza dei due pescherecci all’interno di una fascia di 62 chilometri oltre i primi 12 che la Libia rivendica dal 2005 unilateralmente come propria zona economica esclusiva.