Quello che fa Borat, prima che esca “Borat”
Tra pochi giorni arriverà il nuovo film con il più famoso personaggio di Sacha Baron Cohen, che ne ha parlato – insieme a un po' di altre cose – al New York Times
Il 23 ottobre su Amazon Prime Video arriverà il seguito di Borat, il film del 2006 che contribuì notevolmente ad accrescere la fama dell’attore e comico che lo interpretava: Sacha Baron Cohen. Anche nel nuovo film il personaggio del giornalista kazako Borat Sagdiyev – inviato negli Stati Uniti per studiare il paese – è interpretato da Baron Cohen. E anche in questo caso, dopo l’uscita del film ci si dividerà tra chi lo avrà trovato una divertente ed emblematica satira e chi, invece, lo criticherà come esagerato e volgare. Intanto, Baron Cohen ha parlato con il New York Times del nuovo Borat, ma anche della sua vita, della sua carriera e di politica. È utile per capire un po’ meglio la persona, oltre ai suoi personaggi: Borat, ma anche il dittatore del film Il dittatore, il giornalista di moda Bruno e il rapper britannico Ali G.
Maureen Dowd, autrice dell’articolo del New York Times, ha scritto di aver cercato di intervistare Baron Cohen per anni e che è stata una cosa piuttosto difficile visto che, soprattutto in passato, lui evitava di parlare uscendo dai suoi personaggi. Ma di recente le cose sono un po’ cambiate: nel novembre 2019, per esempio, Baron Cohen aveva scritto per il Washington Post un articolo in cui – molto in sintesi – criticava le grandi aziende tecnologiche per aver fatto fino a quel momento troppo poco per fermare la disinformazione.
Sempre in quel periodo Baron Cohen aveva parlato, fuori da ogni suo personaggio, a un importante evento della Lega antidiffamazione (un’importante associazione contro la discriminazione razziale e sessuale che in passato aveva criticato il personaggio di Borat, dicendo che incitava all’antisemitismo). Tra le altre cose, Baron Cohen fece notare che sebbene certi segmenti dei suoi film potessero sembrare «immaturi e puerili» erano volti a «rivelare l’indifferenza delle persone verso l’antisemitismo».
«Quel discorso» ha detto Baron Cohen a Dowd «era del tutto fuori dalla mia zona di comfort, perché non ho mai voluto diventare una celebrità e usare la mia fama per far passare certe idee politiche». E anche perché, ha aggiunto Baron Cohen, «era la prima volta che facevo un discorso così importante con la mia vera voce».
Baron Cohen è nato nel 1971 in una famiglia di ebrei ortodossi. Suo padre è gallese ma discendente di ebrei lituani, la madre è israeliana e figlia di una ballerina ebrea scappata dalla Germania nazista nel 1937. “Baron” è la versione inglese di Baruch, un nome proprio diffuso tra gli ebrei.
Baron Cohen ha studiato a Cambridge e al New York Times ha raccontato che gli capitò in più di un’occasione di occuparsi di antisemitismo e che la sua tesi fu sul movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, con particolare attenzione a una sorta di alleanza, in quel movimento, tra neri ed ebrei. Dopo la laurea, e dopo che già si era appassionato al teatro, Baron Cohen – che dice di essere grande fan dei Monty Python e di Peter Sellers – iniziò a proporsi su alcuni canali televisivi britannici. Già nei primi anni Novanta, per esempio, intepretò il personaggio di Kristo, un reporter televisivo albanese (una sorta di prima versione di quello che sarebbe poi diventato Borat).
In genere, ogni personaggio pensato e interpretato da Baron Cohen è particolarmente appariscente e sopra le righe, ed è pensato per muoversi nel mondo reale intervistando e interagendo con vere persone – famose e non – e, con la sua apparente ingenuità e sfrontatezza, rivelare qualcosa in più su quelle persone.
Il primo personaggio con cui Baron Cohen divenne davvero famoso fu Ali G, un rapper che scimmiotta i grandi e famosi rapper americani ma in realtà vive in un paesello di provincia e ha una vita molto poco gangsta, nonostante lui si impegni molto per far sembrare che invece lo sia. Ali G esiste dalla fine degli anni Novanta: prima come ospite di un programma di Channel 4, poi come protagonista del Da Ali G Show e di un film girato nel 2002 (Ali G). Nei panni di Ali G Baron Cohen intervistava importanti personalità britanniche e non. Tra gli altri: Buzz Aldrin, David Beckham, Donald Trump e Noam Chomsky.
Spesso, soprattutto agli inizi, chi parlava con Ali G non era sempre consapevole del fatto che stesse parlando con un personaggio finto, creato e interpretato da Baron Cohen. Questo fatto, unito alle cose che Baron Cohen faceva dire ad Ali G, era alla base della comicità del personaggio, ma anche della sua capacità – a volte – di tirare fuori dai personaggi intervistati cose che difficilmente avrebbero detto durante una normale intervista.
Negli anni, Baron Cohen si è specializzato nell’interpretare i suoi personaggi in dei mockumentary: dei finti documentari in cui, di nuovo, molte delle persone che interagiscono con i suoi personaggi non sono consapevoli che siano tali e non persone vere. Un po’ come se Paolo Villaggio avesse finto di essere davvero Ugo Fantozzi, interpretando il personaggio nella vita reale, come se Fantozzi fosse stato il protagonista di un documentario su un impiegato e sulla sua vita. O come se Cetto La Qualunque, uno dei personaggi di Antonio Albanese, si candidasse davvero alle elezioni, facendo veri comizi e andando come vero ospite a talk show politici.
Ma Baron Cohen ha anche recitato in film di finzione, anche con ruoli drammatici e, in più di un’occasione, dimostrando di cavarsela piuttosto bene anche con il canto. Ha recitato in Hugo Cabret, Les Misérables, Alice attraverso lo specchio, nella serie Netflix The Spy (sull’agente segreto Eli Cohen) e, di recente, ha interpretato l’attivista Abbie Hoffman per il film Netflix Il processo ai Chicago 7. Aaron Sorkin, sceneggiatore e regista del film, ha detto che il giorno in cui Baron Cohen doveva girare una delle scene più importanti del film, che prevedeva un importante discorso, gli ha ricordato la scena di Jack Nicholson in Codice d’onore.
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Dowd ha scritto che Baron Cohen si definisce «un comico che negli anni si è talvolta cimentato con la recitazione», e ha aggiunto che, nonostante sia difficile crederlo vedendogli fare certe cose nei suoi film, «nella vita vera è una persona riservata, persino un po’ timida».
Al New York Times, Baron Cohen ha raccontato di aver brevemente lavorato come modello quando era giovane («che ci crediate o no, in un periodo in cui non volevano che i modelli sembrassero modelli») e di aver sognato di diventare chef («dopo le superiori sono andato da uno chef con una stella Michelin e ho chiesto di poter lavorare lì: mi disse che ero troppo alto per stare in cucina, e così rinunciai al mio sogno»).
Baron Cohen – che è alto poco più di un metro e novanta centimetri – ha anche detto di essere molto appassionato di violoncello e che la sua prima apparizione in tv fu proprio suonando quello strumento in un programma musicale per ragazzi. E che uno dei suoi film preferiti, che avrebbe voluto fare e che vorrebbe poter rifare, è Zohan – Tutte le donne vengono al pettine, con Adam Sandler.
Parlando invece del nuovo Borat, Baron Cohen ha detto che, per via di certi suoi contenuti politici, ha avuto qualche problema a trovare un servizio di streaming disposto a farlo uscire poco prima delle presidenziali statunitensi, ma che lui ci teneva molto perché voleva che il film «ricordasse alle donne per chi stavano – o non stavano – votando. Se sei una donna e non voti contro questo qui, devi sapere cosa stai facendo». A proposito del film, di cui ancora non sono noti molti dettagli, Dowd – che evidentemente ha potuto vederlo in anteprima – ha scritto che c’è una scena in cui Borat incontra “un importante collaboratore di Donald Trump” e che quella scena «lascia sbalorditi».
Per il nuovo Borat, Baron Cohen ha raccontato anche di aver scelto di vivere per alcuni giorni con due persone che credono a una serie di teorie del complotto «per mostrare che sono solo persone normali e buone, che sono state nutrite con una dieta di bugie», e che per farlo ha dovuto restare nel personaggio «per cinque giorni», da quando si svegliava fino a quando andava a dormire. Significa, in altre parole, che l’attore ha dovuto recitare ininterrottamente, fingendo per giorni di essere Borat e non un attore britannico laureato a Cambridge, che scrive articoli di opinione sul Washington Post e che è appassionato di violoncello. Per giorni, in ogni momento, Baron Cohen ha dovuto vestirsi come Borat, parlare come Borat e avere di ogni cosa l’opinione e le conoscenze che ne avrebbe avuto Borat.
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Parlando di Trump – che incontrò e con il quale litigò nel 2003, quando ancora interpretava il rapper britannico Ali G – Baron Cohen ha detto: «Il suo capolavoro è stato requisire il concetto di “fake news”, che era stato usato contro di lui, e usarlo lui contro ogni giornalista che avesse integrità giornalistica».
Baron Cohen ha detto, parlando delle differenze tra gli Stati Uniti del primo Borat (girato nel 2005) e quelli del nuovo film (in gran parte girato nei mesi della pandemia), che «nel 2005 serviva un personaggio misogino, razzista e antisemita per rivelare i pregiudizi delle persone», mentre ora «quei pregiudizi sono diventati manifesti e i razzisti sono orgogliosi di essere razzisti». A proposito dello scopo del nuovo Borat, Baron Cohen ha detto: «È far ridere le persone, ma rivelando anche la pericolosa deriva verso l’autoritarismo».
A proposito del nuovo Borat – un personaggio ormai piuttosto noto – bisognerà capire anche come e quanto Baron Cohen sia riuscito a interpretarlo senza che le persone sapessero con chi avevano a che fare. Secondo molti, la critica sociale e le provocazioni dei suoi personaggi, infatti, funzionano molto meglio se inserite nella realtà. Altrimenti, sono solo semplici caricature: che possono far ridere per un po’ o per altri motivi, ma che perdono molta della potenza e dell’originalità delle cose migliori per cui Baron Cohen si è fatto notare fin qui.