La squadra che ha rotto il calcio danese
Il Midtjylland ha rovesciato gli equilibri del suo campionato guardando il calcio in modo diverso dagli altri, prima degli altri
di Pietro Cabrio
Il Midtjylland, squadra vincitrice dell’ultimo campionato danese, prende il nome dalla regione in cui si trova, lo Jutland centrale. Herning è una città con meno di novantamila abitanti immersa nella campagna: niente a che vedere con la capitale Copenaghen, dove hanno sede le squadre più titolate della Danimarca. Eppure, da circa sei anni, Copenaghen non vince più a mani basse come in passato.
Con appena vent’anni di storia, il Midtjylland è riuscito a imposi rapidamente come la miglior squadra danese conquistando tre campionati nelle ultime sei stagioni e ottenendo visibilità anche nelle coppe europee, dove quest’anno ha raggiunto i gironi di Champions League per la prima volta nella sua breve storia. Ciò che rende speciale il Midtjylland, però, sono i modi con i quali è arrivato fino a qui.
Le vittorie sono iniziate infatti nel 2014 con l’acquisto della società da parte di Matthew Benham, investitore e scommettitore inglese, già proprietario della piccola squadra londinese del Brentford. Dopo aver studiato fisica a Oxford, aver lavorato per Bank of America ed essersi arricchito con le scommesse – sia come scommettitore professionista che come imprenditore – otto anni fa Benham entrò nel calcio individuando alcuni aspetti del gioco fino ad allora trascurati, ma potenzialmente in grado di capovolgere i rapporti di forza.
Fu così che prima al Brentford e poi al Midtjylland, Benham e i suoi collaboratori iniziarono a guardare il calcio in modo diverso, applicando innanzitutto modelli statistici per guadagnare vantaggi inaspettati sulle concorrenti più ricche e meglio attrezzate. Ma ciò che non riuscì immediatamente al Brentford in un contesto molto competitivo come quello del calcio inglese, riuscì invece rapidamente al Midtjylland nel più equilibrato campionato danese.
Al primo anno con la nuova società — affidata da Benham a Rasmus Ankersen, ex calciatore danese esperto di statistica dello sport — il Midtjylland vinse il suo primo titolo nazionale mandando in tilt le statistiche del campionato. Segnò 24 gol in più della seconda classificata, numero che rispecchiava quasi esattamente i 25 gol segnati su calci piazzati, più del doppio delle altre squadre, il cui massimo era di 11 reti. Dietro questa sproporzione ci fu l’intuizione di Benham, il quale notò che i calci piazzati potevano essere sfruttati di più e meglio. All’inizio di quella stagione l’assistente tecnico Brian Priske — nel frattempo diventato capo allenatore — venne quindi incaricato di allenare la squadra specificatamente sui calci piazzati, cosa che fece con risultati determinanti nella vittoria del campionato.
Ted Knutson, ex capo degli analisti delle squadre di Benham e fondatore del sito Statsbomb, scrisse nel 2018: «Penso che abbiamo rotto la Danimarca». Accadde infatti che il risultato eclatante ottenuto da un piccola e sconosciuta squadra di provincia venne analizzato in lungo e in largo, e i segreti saltarono fuori. Nel giro di due anni tutte le squadre del campionato danese migliorarono i loro calci piazzati arrivando quasi al livello del Midtjylland, il cui specialista Brian Priske venne addirittura assunto dal Copenaghen per vincere il campionato, riuscendoci.
La netta differenza fatta dal lavoro sui calci piazzati non potè essere tenuta nascosta a lungo, ma nel frattempo il Midtjylland aveva già spostato le sue attenzioni su altri aspetti trascurati del gioco: per esempio le rimesse laterali, per le quali venne assunto Thomas Gronnemark, ex atleta della nazionale danese di bob. Tramite lo studio di schemi pensati per situazioni diverse — simili a quelli molto dettagliati del football americano – e l’allenamento della tecnica, in una stagione il Midtjylland diminuì sensibilmente il numero di palle perse sugli sviluppi di rimesse laterali e arrivò a segnare 35 gol su azioni collegate. Gronnemark ora collabora con il Liverpool campione d’Inghilterra.
Mentre a Brentford è stato deciso di smantellare il settore giovanile, considerati gli scarsi benefici dati dal mantenerne uno nell’affollato e competitivo calcio locale londinese, il Midtjylland lo ha potenziato, espandendo la sua rete di ricerca e reclutamento, e stabilendo contatti con numerose società satellite partendo dallo Jutland centrale. I risultati di questi investimenti si sono visti nelle recenti operazioni di mercato che hanno coinvolto giocatori cresciuti “in casa”, da Paul Onuachu, venduto al Genk per 6 milioni di euro, a Rasmus Kristensen e Andreas Poulsen, venduti ad Ajax e Borussia Mönchengladbach per circa 10 milioni complessivi.
Nel frattempo la prima squadra continua a essere costruita seguendo nuovi modelli statistici, come furono nei primi anni gli Expected Goals (sigla xG), un modello che riduce in una singola statistica il potenziale offensivo di una squadra e che rivela graduatorie spesso diverse rispetto alle classifiche usate comunemente.
L’esempio più calzante rimane quello del centrocampista finlandese Tim Sparv (ora in Grecia), finito sotto osservazione nel 2014 perché la sua precedente squadra, il Greuther Fürth, risultava fra le grandi squadre europee nelle classifiche complessive degli Expected Goals. La dirigenza danese valutò la squadra tedesca nei dettagli e notò che Sparv aveva indici di prestazione simili a quelli di un giocatore di un grande campionato. Lo comprò e lui divenne fondamentale nelle prime vittorie del Midtjylland, grazie alle quali è diventato il capitano della prima nazionale finlandese qualificata agli Europei.
Al Midtjylland i dati non vengono usati soltanto in campo. Come Ankersen ha spiegato tempo fa al Guardian, negli intervalli delle partite, prima di parlare ai giocatori ed eventualmente alla stampa, gli allenatori in carica ricevono dei messaggi che sottolineano i dati più rilevanti raccolti dallo staff durante gli incontri, per poter comunicare in modo più efficace sia alla stampa che alla squadra nello spogliatoio: «Possiamo vincere e ricevere complimenti, mentre i nostri dati ci dicono che abbiamo giocato terribilmente e siamo stati soltanto molto fortunati: è questo il messaggio che dovremmo trasmettere. Nessuno vuole dire di essere stato fortunato a vincere, ma spesso nel calcio il successo trasforma la fortuna in genialità».
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