Le molte accuse contro Attilio Fontana
Una recente puntata di Report ne ha tirate fuori delle altre, oltre alle note storie sui camici e il conto alle Bahamas
Nelle ultime settimane sono emerse nuove accuse – e nuovi sviluppi su vecchie accuse – nei confronti del presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, da luglio coinvolto in un caso giudiziario e mediatico attorno a una partita di camici ordinata dalla regione all’azienda di sua moglie, che si è aggiunto alle critiche sulla gestione della pandemia da coronavirus. Le inchieste giornalistiche sono state portate avanti dalla stampa e da alcune trasmissioni tv, fra cui soprattutto Report, che ai casi nati intorno a Fontana ha dedicato la sua ultima puntata. Nessuno di questi casi per ora ha avuto rilevanti conseguenze giudiziarie, ma probabilmente continueranno a svilupparsi e far parlare nei prossimi mesi.
La storia dei camici, con gli ultimi sviluppi
Il 16 aprile, nel pieno dell’emergenza coronavirus, la centrale acquisti della Lombardia Aria assegnò una fornitura per camici e altri dispositivi di protezione a Dama S.p.A., società che produce il marchio di abbigliamento Paul & Shark di proprietà di Andrea Dini e, per il 10 per cento, di Roberta Dini, sorella di Andrea e moglie di Fontana. La fornitura riguardava un totale di 82mila pezzi per un valore di 513mila euro. Il conflitto di interessi non fu mai sollevato dalle autorità regionali.
Il 20 maggio, più di un mese dopo l’assegnazione della fornitura, Dini scrisse una mail al direttore di Aria, spiegandogli di aver deciso di trasformare la vendita in una donazione. Intervistato a luglio da Report, Dini aveva spiegato che la vendita dei camici alla regione era stata decisa in un periodo in cui lui non si trovava in azienda e che al suo ritorno aveva subito deciso di annullare tutto perché aveva sempre inteso di voler donare quei camici. In realtà sembra che Dini si sia mosso soltanto dopo che Fontana ricevette una serie di generiche domande di Report sulle forniture di dispositivi di protezione richieste ai privati. In una serie di dichiarazioni, Fontana disse di avere saputo della faccenda soltanto tramite i giornali, a giugno.
Nelle ultime settimane è invece emerso con maggiore chiarezza il ruolo di Fontana in tutta la vicenda. A fine settembre la procura di Milano, chiedendo di poter sequestrare fra gli altri i telefoni di Andrea e Roberta Dini, sostenne che il coinvolgimento di Fontana sia stato «diffuso». La prova principale di questa tesi è che il 19 maggio – il giorno prima che Dini scrivesse ad Aria dicendo di voler trasformare la vendita in donazione – Fontana cercò di fare un bonifico di 250.000 euro da un suo conto personale in Svizzera a Dama S.p.A., in quello che secondo i magistrati fu un tentativo di risarcire Dini per i mancati guadagni a cui sarebbe andato incontro annullando la vendita dei camici. Il bonifico venne bloccato dalla banca di Fontana, che lo giudicò sospetto segnalandolo alle autorità competenti – che al momento stanno indagando su tutta la faccenda – innescando così il secondo caso più noto legato a Fontana.
Il conto in Svizzera
Per risarcire Dini, Fontana fece partire un bonifico da un conto di cui non si conosceva l’esistenza, poi ricostruita nelle settimane seguenti dai giornali. Tutto era iniziato nel 1997 quando la madre di Fontana, l’ex dentista Maria Giovanna Brunella, allora 74enne, aprì un conto da circa 5 milioni di euro alle Bahamas lasciando la procura – cioè la gestione – al figlio, che era da due anni sindaco di Induno Olona, in provincia di Varese. L’origine di quei soldi non è mai stata chiarita, e lo stesso Fontana ha dichiarato di non saperne nulla: poco dopo la notizia del bonifico a Dini gli venne chiesto del conto, lui disse a Repubblica che «non era operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta».
Le cose non stanno esattamente così. Nel 2005, ha ricostruito Domani, il conto fu trasferito su un altro deposito collegato sempre a un trust con sede alle Bahamas, intestato a Brunella e con Fontana indicato come erede beneficiario. Negli anni seguenti ci furono grossi spostamenti di denaro: depositi per 129mila euro nel 2010, prelievi per circa 530mila nel 2011, depositi per 400mila l’anno dopo, sempre secondo la ricostruzione di Domani. Movimenti che contraddicono la versione secondo cui il conto non era operativo, e che hanno fatto emergere dubbi sulla possibilità che la madre di Fontana, allora più o meno novantenne, gestisse davvero di persona il conto all’oscuro del figlio.
Nel 2015 Fontana regolarizzò quei soldi usufruendo di un condono per far rientrare capitali esteri nascosti al fisco senza sanzioni con una dichiarazione volontaria. Non furono però riportati in Italia bensì su un conto in Svizzera, dove sono depositati ancora oggi. Le prime dichiarazioni di Fontana sono ancora più surreali alla luce di una recente inchiesta di Domani secondo cui fu proprio Fontana a pagare alcune multe all’Agenzia delle Entrate relative alla regolarizzazione dei conti della madre, per un totale di 121mila euro.
Il fatto che le multe siano state comminate a Fontana fa pensare che fosse attivamente coinvolto nella gestione dei soldi. «Dai documenti letti», ha raccontato a Domani l’avvocato ed esperto fiscale Sebastiano Stufano, «c’è la ragionevole certezza che fosse delegato a operare sul conto corrente della madre».
Le consulenze alla figlia
Negli ultimi giorni sia Repubblica sia Report hanno raccontato di un altro potenziale conflitto di interessi che potrebbe coinvolgere Fontana. Da alcuni documenti interni della Regione Lombardia è emerso che fin dal 2015 la figlia maggiore di Fontana – Maria Cristina Fontana, avvocato che ha rilevato lo studio Fontana dal padre – ha collaborato con alcune aziende sanitarie lombarde per brevi consulenze legali. Fra il 2015 e il 2017, quando la Regione era già governata dalla Lega ma non da Fontana, ne aveva ottenute sei.
Dopo la nomina di suo padre, la collaborazione si è intensificata: le consulenze sono diventate 5 nel 2018 e 3 nel 2019, a cui si è aggiunta un’altra consulenza legale per l’ospedale Sacco di Milano. Anche in questo caso il potenziale conflitto di interessi non è stato segnalato, e anzi per le consulenze ottenute nel 2019 i documenti segnalano che Maria Cristina Fontana non abbia alcun conflitto di interesse in atto. Non è chiaro se al momento ci siano indagini in corso su questi contratti.
Due fatti durante il suo mandato da sindaco di Varese
Di recente Report ha tirato fuori altre due storie di potenziali conflitti di interessi che invece risalgono al mandato di Fontana da sindaco di Varese, fra il 2006 e il 2016.
La prima riguarda di nuovo Maria Cristina Fontana. Secondo documenti trovati da Report, nel 2012 ha ereditato dalla famiglia un’area di circa 4.000 metri quadri nella zona sud della città, adiacente a una villa. L’area era iscritta al catasto come zona esclusivamente verde, su cui cioè non potevano essere costruite altre strutture. Nel 2013 però, l’anno successivo, la maggioranza del consiglio comunale votò per cambiare la destinazione d’uso del terreno, rendendolo edificabile: secondo Report la modifica ne decuplicò il valore immobiliare. Al momento del voto in consiglio, Fontana era presente in aula e votò a favore della modifica della destinazione d’uso, senza segnalare conflitti di interessi né astenendosi dal voto. Un emendamento dell’opposizione che proponeva di annullare la misura fu bocciato, anche col voto dello stesso Fontana.
Quando era sindaco di Varese, Attilio #Fontana ha votato il cambio di destinazione d’uso del terreno della figlia, moltiplicandone il valore. #Report pic.twitter.com/ms0fKsTBZL
— Report (@reportrai3) October 19, 2020
Un’altra storia riguarda invece una concessione gratuita dal 2014 al 2018 per l’utilizzo di un terreno situato in mezzo all’ippodromo cittadino, garantita dalla società che gestisce l’impianto. La società beneficiaria 443mila euro dalla regione Lombardia per organizzare corsi di equitazione, che in realtà non ha mai svolto. All’epoca l’avvocato che la difendeva era Attilio Fontana. Intervistato da Report, Giancarlo Giorgetti ha risposto che la concessione era del tutto regolare, ma senza fornire ulteriori dettagli.
I rapporti con Nino Caianiello
Buona parte dell’ultima puntata di Report si è concentrata sui rapporti avuti da Fontana con Nino Caianiello, un potente politico locale di Forza Italia, che intervistato da Report ha ammesso di aver preso per anni tangenti – che lui definisce «contributi» necessari alla vita di partito – in cambio di favori in ambito pubblico e privato.
In passato Fontana aveva già ammesso di aver frequentato Caianiello, ma secondo un’intercettazione di una telefonata fra Caianiello e Fontana diffusa da Report, la sua influenza si sarebbe estesa anche alla nomina della giunta regionale lombarda. «Hai visto che i tuoi consigli li ho seguiti quasi tutti», disse Fontana a Caianiello poco dopo la formazione della giunta, secondo l’intercettazione.
A Report, Caianiello ha detto di aver spinto soprattutto per le nomine di Raffaele Cattaneo – ex assessore regionale ai Trasporti che fa parte del potente gruppo cattolico di Comunione e Liberazione – e Giulio Gallera, l’attuale assessore al Welfare della Lombardia, molto criticato per la gestione della pandemia da coronavirus. Stando alla ricostruzione di Report, Caianiello era anche in contatto con alcune famiglie rappresentanti della ‘ndrangheta in Lombardia, che durante l’intervista ha ammesso di avere avvicinato per ottenere voti.