L’insidioso pompelmo
È uno dei pochi agrumi nati in America e non in Asia, non fa bene alla salute come si pensa e, anzi, interagisce con alcuni farmaci
In Italia il pompelmo è un agrume rimasto un po’ in disparte, battuto in popolarità da arance, mandarini, clementine e limoni, e scelto spesso per motivi dietetici e salutisti: ha fama di essere un frutto salutare ma – come noto ormai da 30 anni – può interferire con alcuni farmaci ed essere pericoloso. Non si conoscono ancora con certezza le sue origini, ma si sa che è uno dei pochi agrumi non nati in Asia ma in America, dove venne chiamato, pare, “frutto d’oro” e “frutto proibito”. Il sito Atlas Obscura ha messo insieme quel che si sa della sua storia e un po’ di aneddoti interessanti, a partire dall’etimologia del suo nome inglese, grapefruit.
Gli agrumi sono originari delle zone tiepide e umide del Sud-est asiatico e, secondo le teorie più accreditate, discendono da un antenato comune originatosi 20-30 milioni di anni fa. Circa sei milioni di anni fa questo agrume originario si diversificò in altre specie, probabilmente a causa di cambiamenti climatici. Tre in particolare si diffusero in abbondanza: il cedro, il mandarino e il pomelo. Quest’ultimo in Italia è poco conosciuto: ha forma di pera, buccia verde e liscia e polpa dal giallo al rosso; è l’agrume dai frutti più grandi di tutti e può pesare fino a 1-2 chili. Tutti gli altri agrumi conosciuti derivano da incroci naturali o realizzati dall’uomo di queste tre specie, la maggior parte delle quali avvenuti in Asia.
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Il pompelmo invece comparve a Barbados, probabilmente verso la metà del XVII secolo. Discende dagli agrumi portati in America dagli europei: il primo a farlo fu Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio, nel 1493, quando fece seminare cedri, aranci e limoni, come racconta Bartolomé de Las Casas (1489-1566) nella sua Storia delle Indie. Nel Cinquecento i francescani portarono gli agrumi in Florida e infine, nel 1769, arrivarono in California, dove i missionari spagnoli li coltivavano nei loro orti. In America le varie specie iniziarono a mescolarsi tra loro e a creare ibridi, cosa che gli agrumi fanno con facilità. «Mescolando pomeli e mandarini viene fuori un arancio amaro», spiega Atlas Obscura. «Poi incrociando questo arancio amaro con un cedro viene fuori un limone. È un po’ come mescolare e rimescolare i colori primari. Il pompelmo è un ibrido tra il pomelo e l’arancio dolce, che a sua volta è un ibrido tra il pomelo e il mandarino».
Della storia del pompelmo si sa poco anche perché non si conosce il suo nome originario. Nel 1837 il botanico britannico James MacFayden gli diede il nome ufficiale di Citrus paradisi ma nel 1750 il naturalista Griffith Hughes parlava, nella sua Natural history of Barbados, di golden orange (arancio d’oro) e di forbidden fruit (frutto proibito), che dalle descrizioni ricordano entrambi il pompelmo. C’era anche un frutto conosciuto come shaddock, nome che derivava probabilmente da quello del mercante e capitano Philip Chaddock, che pare lo avesse introdotto a Barbados. Alcuni ricercatori, studiando attentamente le descrizioni di questi frutti, sono convinti che lo shaddock fosse il pomelo, il golden orange il pompelmo, e il forbidden fruit qualcosa di diverso ancora, che potrebbero aver scoperto sull’isola di Santa Lucia nel 1990.
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Il nome italiano dovrebbe derivare dalla parola tamil pampa limāsu passando dal portoghese pomposos limões, che significa “grosso limone”. È più divertente l’etimologia del suo nome in inglese, grapefruit, cioè frutto dell’uva. La maggior parte degli studiosi spiega che, crescendo in grappoli, i frutti del pompelmo ricordano gli acini d’uva, ma Atlas Obscura aggiunge un’altra possibile spiegazione. Nel 1664 il medico olandese Wouter Schouden andò alle Barbados e descrisse il sapore del cedro locale come quello «dell’uva acerba»; nel 1814 John Lunan, un proprietario di terre e schiavi della Giamaica, disse che il nome del frutto era stato scelto perché «ricordava il sapore dell’uva». In realtà, almeno fino al 1698 a Barbados non c’era uva e gli abitanti non ne conoscevano il sapore. Era invece diffusa la cosiddetta sea grape, uva di mare, cioè la coccoloba uvifera, una pianta sempreverde con piccoli fiori e frutti a bacca che ricordano gli acini dell’uva all’aspetto ma non al sapore: sono aspri e amari, come i frutti del pompelmo.
Secondo gli studiosi fu il francese Odet Philippe a portare il pompelmo nell’America continentale negli anni Venti dell’Ottocento. Si stabilì in modo permanente a Pinellas County, in Florida, dove si trova l’odierna Tampa, piantò un po’ di pompelmi e regalò dei semi ai vicini: erano il suo agrume preferito. Nel 1892 Kimball Chase Atwood si trasferì da New York in un terreno di 100mila ettari che aveva acquistato a sud della Baia di Tampa. Bruciò gli alberi della foresta e piantò 16mila pompelmi. Nel 1910, uno dei suoi lavoratori scoprì un albero dai frutti rosa anziché gialli e fu così che nacque il pompelmo rosa: una mutazione casuale registrata dall’azienda nel 1929. In poco tempo Atwood divenne il più grande produttore di pompelmi al mondo, un mercato rivolto alle élite ricche e aristocratiche.
La Florida, insieme alla California, è ancora il più grande produttore di pompelmi. Oltre alle figure di Philippe e Atwood, ciò si deve anche alla stagione di gelo e maltempo del 1835, che distrusse le coltivazioni di pompelmo in Carolina e in Georgia, costringendo a spostarle nel Sud della Florida. A fine Ottocento lo stato, noto per il clima umido e paludoso e per i frequenti uragani, si dotò di ferrovie per trasportare i pompelmi negli altri stati americani – una linea si chiamava Orange Belt Railway – ma che contemporaneamente lo resero accessibile ai visitatori. Dal 1920 le agenzie immobiliari iniziarono a vendere lotti di terra presentando la Florida come il posto ideale dove andare in vacanza: la Florida che conosciamo oggi, piena di gente che si gode la pensione al sole, è nata grazie agli agrumi.
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Nell’Ottocento si consolidò anche la fama del pompelmo come agrume salutare, probabilmente grazie al suo sapore aspro e amaro. Negli anni Trenta del Novecento si affacciò la dieta del pompelmo, che in svariate forme è ricomparsa più volte nel tempo e ha contribuito alla tenuta delle vendite dell’agrume. È un’evoluzione particolarmente ironica – scrive Atlas Obscura – visto che il pompelmo «è in realtà uno dei nemici più distruttivi della medicina moderna nell’intero mondo alimentare», come scoprì nel 1989 il ricercatore di farmocologia clinica David Bailey.
All’epoca Bailey lavorava con il governo canadese per studiare gli effetti dei farmaci sugli umani. In particolare stava osservando la felodipina, usata contro l’ipertensione arteriosa e alcune forme di angina. Bailey suddivise i partecipanti dello studio in due gruppi: uno doveva assumere il farmaco con l’acqua e l’altro con l’alcol ma senza accorgersene per non inficiare il risultato. Era necessario trovare una sostanza che camuffasse il sapore dell’alcol e dopo molti tentativi Bailey scoprì che il succo di pompelmo riusciva a farlo: così somministrò a un gruppo il succo di pompelmo e all’altro il succo insieme alla vodka. Scoprì che in entrambi i gruppi le dosi di felodipina nel sangue erano quattro volte superiori al dovuto e capì che era colpa del succo di pompelmo.
Accade perché il pompelmo è ricco di furanocumarine, sostanze organiche che lo proteggono da infezioni di funghi e che inibiscono il citocromo P450 epatico, un gruppo di enzimi del fegato che serve, tra le altre cose, per metabolizzare i farmaci. In presenza di furanocumarine, il corpo non riesce a usare il citocromo P450 che ha a disposizione e deve produrne altro; intanto la quantità di farmaco nel sangue, che non viene metabolizzata, è più alta di quanto previsto dai medici in base alla dose prescritta. Tra i farmaci che vengono alterati dal pompelmo e dal suo succo – secondo i medici basta anche un bicchiere – ci sono lo Xanax, il Valium, il Viagra, il paracetamolo e farmaci contro il colesterolo (trovate un elenco qui). In Canada, il foglietto illustrativo di questi farmaci mette in guardia dal consumo di pompelmo e alcune confezioni hanno anche un’etichetta che raccomanda di non assumerli insieme al frutto.