Come ripartirà l’economia
Le misure del governo per sostenere la baracca – la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti – hanno limitato i danni, ma non andranno avanti per sempre: e dopo?
Per limitare i danni causati all’economia dalla pandemia da coronavirus, il governo italiano ha introdotto una serie di misure a sostegno di imprese e lavoratori, spendendo complessivamente circa 60 miliardi di euro: ha introdotto un sussidio per i lavoratori autonomi, ha esteso l’accesso alla Cassa integrazione, ha imposto un divieto ai licenziamenti e ha introdotto diverse agevolazioni fiscali, dal rinvio del pagamento di alcune imposte all’esonero totale del pagamento di altre.
Al netto di grandi lentezze e qualche aspetto critico, secondo gli esperti le misure prese per tutelare i lavoratori e sostenerne il reddito hanno grossomodo funzionato, nel senso che la perdita di posti di lavoro è stata contenuta: tuttavia qualcuno comincia a chiedersi cosa ci aspetta dopo che le principali misure di emergenza andranno a scadenza. Entro la fine dell’anno dovrebbe finire il blocco dei licenziamenti – che come vedremo ha qualche eccezione – e non sono previste ulteriori proroghe, mentre la Cassa integrazione dovrebbe essere prorogata con la prossima manovra di bilancio. Cosa succederà, dopo?
Prima di tentare di rispondere a questa domanda bisogna fare un passo indietro per capire meglio in cosa consistono, in concreto, la Cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti.
Le misure
La Cassa integrazione è un sussidio gestito dall’INPS che serve per integrare il reddito dei lavoratori di cui l’azienda non ha bisogno, anche per periodi di tempo limitati: lo scopo del sussidio è quindi proteggere i posti di lavoro, aiutando le imprese a superare periodi di crisi durante i quali, senza la Cassa integrazione, sarebbero state costrette a licenziare. Normalmente ci sono regole piuttosto stringenti a cui bisogna aderire per ottenere la Cassa integrazione e non tutte le imprese possono farlo, ma il governo ha deciso di derogare a queste regole vista la situazione straordinaria: per questo si parla di Cassa integrazione “in deroga”, che può essere richiesta da tutte le imprese, comprese le ditte individuali e le aziende con meno di cinque dipendenti.
Per attutire le conseguenze della fine del blocco dei licenziamenti, il governo dovrebbe prorogare la Cassa integrazione “in deroga”: il Sole 24 Ore e altri giornali hanno scritto che probabilmente alle aziende saranno fornite altre 18 settimane di Cassa, la stessa quantità erogata con il precedente decreto, e che saranno a disposizione solamente delle aziende che hanno avuto una perdita del fatturato.
Il divieto dei licenziamenti, invece, sembra che non sarà rinnovato. È stato introdotto a marzo e poi già prorogato una volta lo scorso agosto, con alcune novità: l’azienda ora può riprendere a licenziare dopo aver utilizzato tutto il periodo di Cassa integrazione a sua disposizione (vale a dire 18 settimane), o dopo aver utilizzato tutti i mesi di esonero dal pagamento delle tasse (che sono in totale 4), o ancora nel caso fallisca, venga messa in liquidazione o cessi la sua attività: questo significa che potenzialmente molte aziende potrebbero tornare a licenziare già a metà novembre dopo aver esaurito tutte le 18 settimane, le quali potevano essere utilizzare a partire dal 13 luglio.
Per questo motivo la probabile proroga della Cassa su cui sta lavorando il governo dovrebbe essere retroattiva: partirà il 1° gennaio e le aziende potranno utilizzarla anche per l’eventuale periodo in cui sono rimaste scoperte tra novembre e dicembre.
– Leggi anche: Cosa sono questi “cashback”
Sul blocco dei licenziamenti c’è stato un lungo dibattito, a causa del fatto che molti l’hanno ritenuta una misura troppo drastica: il governo non prende un provvedimento simile dall’immediato dopoguerra. I critici – tra cui l’ex direttore dell’INPS Tito Boeri – sostengono che il divieto dei licenziamenti non giovi all’occupazione: al contrario, oltre a limitare la mobilità all’interno del mercato del lavoro, cosa che ostacolerebbe la ripresa, sarebbe anche un disincentivo per le imprese a fare nuove assunzioni.
Un articolo di fine agosto della Voce si chiedeva proprio se il blocco dei licenziamenti fosse o no una misura utile, dato che tra febbraio e giugno ci sono stati comunque 600mila occupati in meno in Italia: la conclusione dell’articolo è che non si possono ancora fare «valutazioni definitive».
Quindi hanno funzionato davvero?
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio «l’estensione della CIG [Cassa Integrazione Guadagni, ndr], unita al divieto di avviare procedure di licenziamenti collettivi o individuali […], ha preservato la base occupazionale, mantenendo le competenze professionali dei lavoratori all’interno dell’azienda».
Anche Daniele Checchi, economista e direttore del centro studi dell’INPS, pensa che la Cassa integrazione abbia aiutato a contenere la crisi, ma ne evidenzia anche alcuni aspetti critici: «È una misura concessa seguendo l’idea di “helicopter money“, cioè dare i soldi direttamente ai cittadini, e noi del centro studi abbiamo cercato di dimostrare che non è stata utilizzata sempre in modo adeguato. Soprattutto le imprese ritenute essenziali, che quindi sono rimaste aperte durante il lockdown, ne hanno fatto un uso eccessivo», dice Checchi. «Infatti da agosto abbiamo cominciato a introdurre dei disincentivi, ma in ogni caso non c’è dubbio che la misura sia servita ad attenuare la crisi».
Sul blocco dei licenziamenti Checchi la pensa diversamente dai principali critici: «Il mio parere è che sia servito soprattutto a dare un segnale forte di una policy efficace, ma alla fine è stata efficace davvero. La prova è il fatto che il numero dei posti di lavoro persi è stato tutto sommato contenuto». Secondo i dati dell’INPS, citati da Checchi, nel 2020 il numero totale dei contratti in meno sarà di 1 milione.
E quando le misure arriveranno a scadenza?
È difficile fare previsioni su come andranno effettivamente economia e occupazione nei prossimi mesi, quando gradualmente la Cassa integrazione terminerà e le aziende potranno di nuovo licenziare. Guardando però alcune analisi, si può osservare che i ricercatori prevedono un’ulteriore riduzione di crescita e numero di occupati nel 2020, a cui dovrebbe seguire un rimbalzo nei primi mesi del 2021: secondo i dati elaborati dall’ISTAT, nel 2021 il PIL dovrebbe crescere del 4,6 per cento rispetto all’anno precedente, mentre le Unità di lavoro (cioè l’unità di misura che l’ISTAT usa per stimare il volume di lavoro impiegato nella produzione di beni e servizi) cresceranno del 4,1 per cento, dopo essersi contratte del 9,3 per cento nel 2020. Il tasso di disoccupazione invece crescerà del 10,2 per cento, secondo l’ISTAT anche a causa della «decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi», cioè quelli che nel 2020 non hanno cercato lavoro e che probabilmente nel 2021, con la ripresa, lo faranno. Su tutte queste previsioni pendono molte importanti variabili, legate all’andamento dell’epidemia e alla disponibilità di un vaccino.
Di incertezze sul futuro del mercato del lavoro si è parlato anche in un articolo della rivista Menabò di Etica ed Economia, lo scorso giugno. Secondo l’articolo – scritto da Michele Faioli, docente di diritto del lavoro alla Cattolica di Milano – nessuno «può prevedere cosa ci sarà dopo e come sarà il mercato del lavoro». Nonostante questo, l’articolo sostiene che le misure di tutela e sostegno del reddito introdotte dal governo guardino soprattutto al breve periodo, mentre i problemi più importanti «verranno nella fase post-emergenziale, quella di medio e lungo periodo». Per affrontare quella fase e iniziare a programmare le soluzioni per il futuro, scrive Faioli, è fondamentale l’intervento europeo.
– Leggi anche: «Potrebbe essere la nostra ultima possibilità perché non si ripeta la situazione della scorsa primavera»
Su questo è d’accordo anche Tania Scacchetti, segretaria confederale della CGIL. Scacchetti dice che l’Europa è uno «straordinario protagonista» a cui guardare nella fase di ripresa, per almeno due motivi: il primo è che si sta invertendo la tendenza generale di attenzione al rigore economico e all’austerità, cosa che permetterebbe all’Italia di correggere alcuni squilibri e intervenire sul tasso di disoccupazione, da tempo uno dei problemi maggiori del sistema economico italiano. Il secondo è che le risorse che verranno messe a disposizione dal Fondo per la ripresa – il principale strumento europeo per stimolare l’economia dopo la pandemia – sono «finalizzate», con un orientamento preciso verso le politiche pubbliche e industriali.
I principali squilibri di cui parla Scacchetti riguardano in buona parte anche il mercato del lavoro. «La pandemia ha reso plastica la frammentazione del sistema», spiega Scacchetti. «Le casse, gli istituti, chi deve concedere le autorizzazioni, le procedure farraginose: il sistema è da semplificare e migliorare. La pandemia ha reso anche chiaro chi è escluso dalle reti di protezione sociale: mi riferisco ai giovani, a chi ha un contratto a termine e non è stato rinnovato, a chi ha una partita IVA “monocommittente” e ovviamente al lavoro in nero». Peraltro, secondo Scacchetti, il blocco dei licenziamenti è stata una misura «straordinaria ma anche straordinariamente giusta». «Trovo le argomentazioni di chi è contrario al blocco un po’ deboli: la mobilità del mercato del lavoro era già bloccata per via della pandemia, non a causa dell’impossibilità di licenziare».
Scacchetti ritiene che ci siano diversi strumenti per attutire il colpo quando la Cassa integrazione straordinaria e il blocco dei licenziamenti non ci saranno più: «Ci sono i contratti di solidarietà, che con la riduzione dell’orario di lavoro possono evitare il licenziamento o permettere nuove assunzioni, ci sono i contratti di espansione finalizzati all’uscita di lavoratori anziani e contemporaneamente l’ingresso di giovani, c’è la staffetta generazionale». Ma non è detto che strumenti pensati per momenti ordinari siano adatti ad assorbire da soli le conseguenze di fatti straordinari.
Ci sono anche altri due temi da tenere a mente per guardare agli scenari futuri. Il primo è che molte imprese, soprattutto quelle medie e grandi, hanno richiesto una quantità di ore di Cassa integrazione maggiore di quelle di cui avevano effettivamente bisogno: significa che la fine di questo strumento sarà più graduale e le imprese avranno ancora ore a disposizione dopo la fine dell’anno, quando sarà finito il blocco dei licenziamenti. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio il numero effettivo di ore di Cassa utilizzate dalle imprese – che in gergo viene definito “tiraggio” – rappresenta il 63 per cento del totale delle ore richieste.
Il secondo tema riguarda il fatto che l’Italia è inserita in un sistema economico globale e interdipendente: la ripresa non dipende solo da noi. «Fare delle previsioni è abbastanza complicato», dice Cecchi. «Ma bisogna tenere a mente che il futuro non dipende solo dalle condizioni della nostra economia: l’Italia è un paese esportatore, perciò molto dipenderà anche da come si riprenderanno le economie degli altri paesi».