Facebook e Twitter hanno limitato la circolazione di un articolo su Joe Biden
L'ha pubblicato il tabloid New York Post, contiene accuse gravi ed è basato su fonti poco affidabili: Trump e i Repubblicani parlano di censura
Tra mercoledì e giovedì Facebook e Twitter hanno limitato la diffusione di post che facevano riferimento a una storia non confermata e critica nei confronti del candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, Joe Biden, pubblicata dal tabloid New York Post in prima pagina. La decisione dei due social network è stata molto criticata dal presidente Donald Trump e da gran parte dell’establishment del Partito repubblicano, secondo i quali la mossa sarebbe un modo per censurare notizie che potrebbero mettere in difficoltà la campagna elettorale di Biden.
Il New York Post mercoledì ha pubblicato un lungo articolo che accusava il figlio di Biden, Hunter, di aver organizzato un incontro tra suo padre e il consigliere di una compagnia energetica ucraina, la Burisma. Al tempo, nel 2015, Joe Biden era vicepresidente degli Stati Uniti e Hunter faceva parte del consiglio di amministrazione di Burisma. L’incontro, ha sostenuto il New York Post, sarebbe la prova che Joe Biden interveniva nella politica ucraina per favorire gli affari di suo figlio, in un momento in cui, peraltro, il paese attraversava un periodo di transizione dopo la rivoluzione, e in cui l’influenza degli Stati Uniti era molto grande.
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In realtà la rivelazione del New York Post è praticamente impossibile da confermare indipendentemente, e si basa su fonti molto peculiari, che la maggior parte degli osservatori ritiene poco sicure. Secondo il racconto fatto dal tabloid, che appartiene alla famiglia Murdoch, la mail che descrive l’incontro tra Biden e il consigliere ucraino è stata trovata su un computer portatile portato a riparare in un negozio nel Delaware, lo stato della famiglia Biden. Non si sa chi abbia portato il computer a riparare e, scrive il New York Post, nessuno è mai tornato a riprenderlo. Sul portatile, però, il negoziante avrebbe trovato delle mail e dei video compromettenti. Il tabloid scrive che il negoziante avrebbe contattato l’FBI, ma che prima di consegnare il computer avrebbe fatto una copia dell’hard disk e l’avrebbe data a Robert Costello, l’avvocato di Rudy Giuliani.
Giuliani è l’ex sindaco di New York ed è a sua volta l’avvocato personale di Donald Trump. Secondo quanto scrive il tabloid, sarebbe stato Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump arrestato ad agosto per truffa e riciclaggio di denaro, a parlare al New York Post dell’esistenza dell’hard disk, che poi sarebbe stato consegnato ai giornalisti da Giuliani.
Lo staff di Joe Biden ha smentito il contenuto dell’articolo e ha fatto sapere che nell’agenda dell’allora vicepresidente non ci sono notizie del presunto incontro.
La storia del New York Post ricalca alcune teorie molto in voga nella destra americana sulle presunte interferenze di Joe e Hunter Biden sulla politica ucraina. Queste teorie sono state inoltre riprese dalla propaganda russa. Giuliani, a settembre, è stato accusato di aver usato come fonte contro Biden un uomo ucraino che secondo il dipartimento del Tesoro americano è un “agente attivo” dell’intelligence russa. L’anno scorso, Donald Trump è stato oggetto di una procedura di impeachment perché, secondo l’accusa, fece pressioni sul presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, per aprire un’indagine infondata contro Joe Biden. Trump è poi stato assolto, con un voto del Senato a maggioranza repubblicana.
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Poiché l’articolo del New York Post si basa su fonti poco trasparenti ed è molto difficile da confermare, dunque, Facebook e Twitter hanno deciso di limitarne la diffusione. Andy Stone, un membro del team di comunicazione di Facebook, ha scritto su Twitter che la storia del New York Post è oggetto di fact checking da parte dei partner esterni del social network, e che mentre il processo di ricontrollo dell’articolo è in corso Facebook ha deciso di “limitare la sua distribuzione sulla nostra piattaforma”. Nella pratica, significa che l’algoritmo di Facebook proporrà con frequenza minore sulle bacheche degli utenti i post che riportano l’articolo. Secondo Stone, questa è una pratica comune.
Twitter invece ha adottato una politica più rigorosa. Siccome l’articolo del New York Post trascrive nomi, numeri di telefono e indirizzi email di numerose persone coinvolte, il social network l’ha considerato come una violazione delle sue regole sulla privacy. Inoltre, poiché le email e altre informazioni sarebbero state estratte da un computer altrui, l’articolo viola anche le regole sugli hackeraggi, come ha scritto il team di sicurezza del social network. Per questo, Twitter ha deciso di bloccare i tweet di chiunque cerchi di condividere il link dell’articolo. Ha inoltre bloccato l’account Twitter del New York Post e altri account molto noti che avevano condiviso il link, come per esempio quello di Kayleigh McEnany, la portavoce della Casa Bianca. L’account di McEnany è stato sbloccato dopo poco tempo; quello del New York Post, invece, è rimasto inattivo fino al giorno dopo.
Giovedì sera, però, dopo 24 ore di critiche da parte dei Repubblicani, Twitter ha annunciato un cambiamento nelle sue politiche: i contenuti che violano le regole sugli hackeraggi non saranno più bloccati, ma sarà applicata loro un’etichetta che avverte i lettori della loro provenienza sospetta, ha scritto Vijaya Gadde, capa del settore legale del social.
Wow. twitter going even further than FB and is no longer letting ppl tweet the NYPost story. This is what pops up if you try. https://t.co/YVlOTeF1iX pic.twitter.com/66kzYdwq21
— Alex Thompson (@AlexThomp) October 14, 2020
Donald Trump e molti esponenti del Partito repubblicano hanno accusato Facebook e Twitter di censurare il New York Post per non danneggiare Joe Biden. Il tabloid, sulla sua prima pagina di giovedì, ha scritto in grandi caratteri che il suo articolo è stato “censurato”. Sul suo profilo, Trump ha definito l’articolo come una “pistola fumante”, ha definito Biden “un politico corrotto” e ha chiesto di eliminare la “sezione 230”, cioè una parte di una legge del 1996 che garantisce ai siti internet un certo livello di impunità per le cose pubblicate da terzi.
Giovedì Ajit Pai, capo della Federal Communications Commission, ha detto che la sua agenzia intende procedere con un “chiarimento” della legge già chiesto in precedenza dall’amministrazione Trump. È inoltre già previsto che gli amministratori delegati di Facebook, Google e Twitter si presentino in udienza davanti alla Commissione sul commercio del Senato per discutere proprio della Sezione 230 il prossimo 28 ottobre.
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Trump inoltre ha ritwittato numerosi sostenitori ed esponenti del Partito repubblicano che hanno condannato i social network e rilanciato la storia del New York Post. Nonostante le accortezze di Facebook e Twitter, la storia ha comunque girato molto. Il sito ufficiale del Partito repubblicano alla Commissione giustizia della Camera ha ripubblicato per intero il contenuto dell’articolo sul suo sito e l’ha diffuso. Altri account hanno diviso il testo della storia in moltissimi tweet e li hanno pubblicati in thread.