Quante cose ha fotografato Margaret Bourke-White
E molte per prima: le sue celebri immagini che hanno fatto la storia della fotografia, e anche quelle un po' meno conosciute, sono in mostra a Palazzo Reale a Milano
Il 23 novembre del 1936 uscì il primo numero di Life, che diventò poi la più famosa rivista illustrata al mondo e la più importante nell’ambito del fotogiornalismo, facendone la storia: in copertina c’era una foto della diga di Fort Peck, in Montana. Quell’immagine imponente l’aveva scattata Margaret Bourke-White, che a sua volta è stata una delle fotografe più famose di sempre, il cui successo è fortemente intrecciato a quello della rivista. Il lavoro di Margaret Bourke-White è ora raccontato nella mostra Prima, Donna al Palazzo Reale di Milano, che si potrà visitare fino al 14 febbraio 2021, accompagnata da un catalogo edito da Contrasto.
Curata da Alessandra Mauro, la mostra raccoglie oltre 100 immagini provenienti dall’archivio Life di New York divise in 11 sezioni che raccontano cronologicamente la vita e la carriera della fotografa. Dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e i progetti commerciali, fino ai grandi reportage per Fortune e Life; la Seconda guerra mondiale, i ritratti di Stalin prima e di Gandhi poi; il Sudafrica dell’apartheid, l’America dei conflitti razziali fino alle immagini aeree del continente americano, concentrandosi sulle tante occasioni in cui Bourke-White è stata pioniera di qualcosa: è stata la prima corrispondente donna americana accreditata durante la Seconda guerra mondiale e la prima autorizzata a volare in missione di combattimento.
È stata una delle prime a mostrare i campi di sterminio, l’ultima persona a intervistare e fotografare Gandhi, sei ore prima che venisse ucciso, l’unica fotografa straniera in Unione Sovietica a scattare foto alle industrie al lavoro per i piani quinquennali sovietici, nei primi anni Trenta, e anche l’unica fotografa americana in Unione Sovietica nel 1941, durante l’invasione tedesca a Mosca. Sempre durante la Seconda guerra mondiale seguì le operazioni in Africa, trascorse alcuni mesi sul fronte italiano (a Napoli, Cassino e Roma: le foto di quel periodo sono raccolte nel libro They Called it Purple Heart Valley) e poi in Germania. Ad aprile 1945 fu tra i primi ad entrare e fotografare nel campo di concentramento di Buchenwald liberato.
Margaret Bourke-White nacque a New York il 14 giugno 1904. Dopo aver frequentato la Columbia University e seguito alcune lezioni di fotografia con Clarence H. White, nel 1928 aprì il suo studio personale a Cleveland, dedicandosi alla fotografia pubblicitaria e facendosi conoscere come una delle prime fotografe industriali grazie a una predilezione nei confronti delle macchine e una curiosità per la tecnologia tramandatele dal padre inventore.
Bourke-White iniziò ad occuparsi di fotogiornalismo nel 1929 quando Henry Luce, già fondatore di Time, la coinvolse nella sua nuova rivista Fortune. Da quel momento Bourke-White si trasferì a New York alternando la fotografia pubblicitaria a quella fotogiornalistica di reportage. La svolta arrivò però con Life, nel 1936: grazie alla sua collaborazione costante con la rivista, per cui realizzò la prima e altre copertine, Bourke-White diventò una specie di personaggio pubblico e un simbolo di eccellenza associato al giornale.
Una delle sue foto più famose, che è passata tra le pagine e la copertina di Life, riguarda l’alluvione in Kentucky del 1937: fa parte di un reportage sulle conseguenze dell’esondazione del fiume Ohio e mostra un gruppo di afroamericani in coda per ricevere cibo e vestiti da un centro di soccorso della Croce Rossa, mentre sopra di loro campeggia un cartellone dello stereotipo americano: una coppia di bianchi sorridenti con i loro due figli e un cane in automobile vicino allo slogan “I più alti standard di vita del mondo. Non c’è altra strada che quella americana”. Il forte contrasto e l’ironia di questa immagine ne fecero un simbolo “del divario tra la rappresentazione propagandista della vita americana e le difficoltà economiche affrontate dalle minoranze e dai poveri”, come spiega il Whitney Museum di New York.
Margaret Bourke-White morì nel 1971, a 67 anni, dopo aver fatto i conti per il ventennio precedente con il morbo di Parkinson. Anche questo pezzo della sua storia personale è stato raccontato con le immagini in un reportage sulla sua malattia realizzato per Life, dove appare in molte foto realizzate dal collega e amico Alfred Eisenstaedt.