Israele accoglierà duemila cittadini etiopi di origine ebraica
Ma non tutti gli ottomila della comunità "Falash Mura", ed è una storia che va avanti da molti anni
Lunedì il governo israeliano ha approvato il trasferimento in Israele di duemila cittadini etiopi della comunità conosciuta come “Falash Mura”, formata dai discendenti di etiopi ebrei che oltre un secolo fa si convertirono al cristianesimo, spesso sotto la costrizione dei missionari europei. Da allora molti hanno ricominciato a praticare l’ebraismo, ma per il governo israeliano non hanno mai potuto usufruire della cosiddetta “Legge del ritorno”, quella che garantisce a tutte le persone di religione ebraica di insediarsi in Israele e ottenere la cittadinanza israeliana. La misura approvata lunedì, seppur considerata un primo passo per risolvere la disputa in corso da decenni sui Falash Mura, è stata criticata da molti attivisti israeliani etiopi, che vorrebbero che tutti i membri della comunità, circa ottomila persone, venissero accolti in Israele.
La storia dei migranti etiopi ebrei in Israele è piuttosto complessa ed è al centro di accese discussioni da anni.
La comunità ebraica in Etiopia è conosciuta con il nome di Beta Israel, che significa Casa di Israele. Per moltissimo tempo i suoi membri furono esclusi dalle correnti principali dell’ebraismo, ma le autorità israeliane continuarono a riconoscerli come ebrei destinatari della Legge del ritorno: a partire dagli anni Settanta, infatti, decine di migliaia di etiopi ebrei arrivarono in Israele dall’Etiopia, paese in cui venivano perseguitati. Per loro, però, le condizioni di vita in Israele si rivelarono complicate, con atti di razzismo ed episodi di uso eccessivo della forza da parte della polizia.
Molti degli israeliani di origine etiope che vivono oggi in Israele, circa 150mila persone in tutto, non sono riusciti a integrarsi nella società israeliana, vivono in povertà e hanno difficoltà a trovare lavoro.
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La situazione dei Falash Mura, che fanno parte della più ampia comunità di Beta Israel, è ancora più complicata, perché il governo israeliano non li riconosce come “completamente ebrei”: per migrare in Israele hanno bisogno di un permesso speciale e una volta entrati nel paese sono sottoposti a un processo di conversione, destinato anche a chi pratica già la religione ebraica.
Nel 2015 Israele approvò un piano per accogliere tutti i Falash Mura ancora in Etiopia, circa 10mila persone, entro la fine del 2020. Il piano fu però sospeso qualche mese dopo, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu annunciò che non c’erano soldi a sufficienza, e ad emigrare furono solo in duemila.
Anche il piano presentato lunedì non ha soddisfatto gli attivisti etiopi israeliani, che vorrebbero che l’iniziativa del governo israeliano si rivolgesse a tutti i membri della comunità, molti dei quali stanno cercando di trasferirsi in Israele da oltre vent’anni. In risposta alle critiche, Pnina Tamano-Shata – ministra dell’Immigrazione di Israele e prima politica nata in Etiopia ad ottenere un seggio al Parlamento israeliano – ha detto di avere intenzione di presentare al suo governo un piano più ampio per accogliere migliaia di altri etiopi ebrei nei prossimi tre anni.