È finita la più grande missione artica di sempre
Dopo un anno di ricerche e raccolte di dati, la Polarstern è tornata a casa trovando un mondo diverso
Lunedì la Polarstern, la nave rompighiaccio che da oltre un anno era il centro e il mezzo di locomozione della più grande missione di esplorazione scientifica dell’Artico di sempre, è attraccata al porto di Bremerhaven, in Germania. Per 389 giorni oltre 300 scienziati da 20 paesi diversi hanno condotto ricerche e raccolto campioni, isolati dalla pandemia globale che nel frattempo ha cambiato la vita nel resto del mondo: «Torniamo con dati e campioni che cambieranno la ricerca sull’Artico per lungo tempo» ha detto Markus Rex, capo della spedizione.
La Polarstern era partita nel settembre del 2019 da Tromsø, in Norvegia, con il preciso obiettivo di piazzarsi su una banchisa di ghiaccio nel mare di Laptev, al largo delle coste siberiane, sulla quale rimanere incagliati. E da lì lasciarsi trasportare alla deriva sfruttando le correnti marine per esplorare ampie porzioni del circolo polare artico. La nave ha percorso in totale circa 3.400 chilometri, finché lo scorso 31 luglio il blocco di ghiaccio su cui stava viaggiando si è spezzato in migliaia di pezzi. Da giorni, gli scienziati a bordo avevano iniziato a preoccuparsi per il progressivo scioglimento della piattaforma, e il giorno prima che si rompesse avevano ritirato per precauzione gli ultimi strumenti disposti intorno alla nave.
– Leggi anche: È sorto il sole sull’ultimo continente senza coronavirus
La Polarstern in realtà aveva già lasciato la banchisa originale a maggio, quando per via della pandemia da coronavirus aveva dovuto riorganizzare la logistica per portare i nuovi scienziati sulla nave a sostituire quelli in servizio già da mesi. Aveva dovuto raggiungere due navi più piccole, partite dalle isole Svalbard con gli scienziati a bordo, lasciando la posizione per circa un mese: ma gli strumenti automatici hanno continuato a raccogliere parte dei dati.
– Leggi anche: Questa nave sta andando a intrappolarsi nel ghiaccio
La spedizione, costata circa 150 milioni di euro e organizzata dall’Alfred Wegener Institute, istituzione scientifica tedesca, serviva a raccogliere informazioni, dati e campioni per aiutare gli studi in molti campi diversi, dall’ecosistema artico alla formazione e al movimento degli iceberg, ma principalmente per quelli sullo stato di scioglimento del Polo Nord causato dal riscaldamento globale. La spedizione ha monitorato l’andamento in quattro stagioni diverse – compresa quella invernale, per la prima volta così vicino al polo – di oltre 100 parametri, che saranno utili per prevedere il progredire dei fenomeni atmosferici nella regione per i prossimi decenni.
La pandemia da coronavirus non ha cambiato di per sé la vita a bordo: gli scienziati hanno continuato a vivere a bordo più o meno normalmente, condividendo gli stretti spazi della nave. Anzi: l’equipaggio ha dovuto entrare nell’ordine di idee che la vita gomito a gomito della missione non sarebbe più stata possibile, tornati a casa. Le precauzioni sono state prese nella gestione degli arrivi, con tutti gli scienziati e i membri dell’equipaggio sottoposti a quarantena prima di arrivare alla nave, tanto da far slittare di un paio di mesi alcuni turni. La difficoltà, per chi era sulla nave, è stata soprattutto la lontananza dalle proprie famiglie e dai propri affetti in un momento così difficile, hanno raccontato.
Complessivamente, la Polarstern è stata visitata da una sessantina di orsi polari, spesso incuriositi dalle strumentazioni allestite dagli scienziati intorno alla nave. Ma secondo Rex, quello a cui hanno assistito le persone a bordo per la maggior parte del tempo è stato «come l’oceano Artico sta morendo», in quanto «epicentro del cambiamento climatico». Addirittura in corrispondenza del Polo Nord, ha spiegato, «abbiamo trovato un ghiaccio sottile, molto eroso e fragile».