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  • Mercoledì 7 ottobre 2020

La storia del migrante 15enne morto a Palermo

Era stato soccorso dalla ONG Open Arms, le sue condizioni si erano aggravate durante l'isolamento sulla nave Allegra

Migranti soccorsi dalla Open Arms diretti sulla nave Allegra per l'isolamento, Palermo, 17 settembre 2020
(ANSA/CARMELO SUCAMELI)
Migranti soccorsi dalla Open Arms diretti sulla nave Allegra per l'isolamento, Palermo, 17 settembre 2020 (ANSA/CARMELO SUCAMELI)

La procura di Palermo ha aperto un’inchiesta sulla morte di un migrante minorenne non accompagnato, avvenuta il 5 ottobre dopo che il ragazzo era sbarcato d’urgenza dalla nave Allegra, dov’era tenuto in isolamento a causa delle misure di contenimento del coronavirus: la legge prevede che chi chiede protezione internazionale resti in isolamento per 14 giorni a partire dal suo arrivo nel paese. Il ragazzo si chiamava Abou, aveva 15 anni e veniva dalla Costa d’Avorio. L’inchiesta è stata aperta in seguito alla denuncia della sociologa Alessandra Puccio, nominata sua tutrice dal tribunale dei minori. Oggi, mercoledì, verrà eseguita l’autopsia.

La ONG spagnola Open Arms ha ricostruito la storia del ragazzo dal momento in cui lo aveva soccorso, il 10 settembre, mentre si trovava su una nave insieme ad altri migranti. Secondo il medico di Emergency a bordo di Open Arms, «Abou non riportava sintomi particolari, se non una forte denutrizione, comune alla maggior parte delle persone che erano sulla sua barca». Il 17 settembre aveva iniziato ad avere febbre e un forte dolore lombare, gli era stato fatto il test per il coronavirus ed era risultato negativo; i medici lo avevano reidratato con una flebo, gli avevano somministrato il paracetamolo e una terapia antibiotica sospettando una infezione alle vie urinarie. Al momento di lasciare l’ambulatorio, la febbre gli era scesa.

La mattina seguente, il 18 settembre, Abou venne nuovamente visitato: aveva febbre bassa e stava meglio. Il medico gli somministrò un antibiotico, gli fece un’ecografia addominale che non diede risultati preoccupanti e lo sottopose a un altro test per il coronavirus, di nuovo negativo. «Abou è stato tenuto in osservazione per circa due ore, durante le quali non ha dato segni particolari di malessere e ha chiesto di poter avere qualcosa da mangiare», scrive Open Arms.

La ONG aggiunge di non essere mai riuscita a comunicare direttamente con il ragazzo a causa della barriera linguistica, ma di averlo fatto attraverso la mediazione di un suo amico che parlava francese. Lo staff medico ha anche detto che le cicatrici sul corpo di Abou non sembravano dovute a torture e maltrattamenti recenti, come confermato anche «da un amico che faceva da interprete» per cui «si trattava di lesioni molto vecchie che risalivano al periodo dell’infanzia».

Alle 14 del 18 settembre Abou venne trasferito sulla nave Allegra, dove avrebbe trascorso i 14 giorni di isolamento. Aveva ancora la flebo al braccio e il medico di Emergency consegnò al medico della Croce Rossa una relazione sulla sua situazione di salute. Da questo momento non ci sono molte notizie, a parte un referto medico del 28 settembre, in cui si legge che Abou venne visitato da un medico «chiamato dai compagni del paziente visibilmente allarmati dalle sue condizioni», perché non parlava e non mangiava da tre giorni. Sempre nel referto medico, riporta il quotidiano Avvenire, si legge che «il paziente è apiretico, apparentemente disorientato, poco collaborante. All’ispezione sono visibili numerose cicatrici verosimilmente conseguenti a torture. Il pazienta lamenta dolore in sede lombare bilaterale» e che «si sospetta un coinvolgimento renale conseguente a stato di disidratazione».

Dopo essere risultato negativo a due tamponi del coronavirus, venne fatto sbarcare dall’Allegra e trasferito d’urgenza nell’ospedale Cervello di Palermo. Qui, «psicologi e mediatori culturali hanno provato a comunicare con lui ma continuava a non parlare», ha raccontato la sua tutrice Puccio a Repubblica. Sabato è entrato in coma ed è stato trasferito all’ospedale Ingrassia, perché nell’ospedale Cervello non c’erano posti in rianimazione, dov’è poi morto lunedì 5 ottobre, verso le 15:30.

Puccio ha detto che «voglio andare a fondo in questa vicenda, perché quello che è accaduto non si verifichi più. Mi hanno detto che per giorni c’è stato solo un medico per i 600 migranti della nave quarantena, oggi ne è arrivato un altro». Anche Open Arms ed Emergency hanno ribadito «la necessità che [le persone migranti] vengano fatte sbarcare in un porto sicuro nel più breve tempo possibile e che venga loro permesso di trascorrere i giorni di quarantena in strutture adeguate dove vengano garantite loro le cure necessarie e dove i loro diritti vengano rispettati».