A San Siro si è giocata una partita storica, femminile
Ed era Milan-Juventus, ma per rendere la Serie A femminile un campionato professionistico la strada è ancora lunga
In 94 anni di storia lo stadio Giuseppe Meazza di Milano ha ospitato tutto il calcio possibile e immaginabile, dalle finali di coppa agli incontri benefici, ma nessuna partita femminile ufficiale, almeno fino a ieri sera. Nel 1974 Italia e Scozia giocarono in effetti una partita amichevole, ma erano due squadre totalmente amatoriali e la partita non era riconosciuta da nessuna associazione calcistica esistente: in pratica fu un incontro di esibizione, visto da diecimila spettatori e raccontato in modo sarcastico sulle pagine della Gazzetta dello Sport, che attribuiva al pubblico l’intenzione di «andarsi a fare quattro risate».
Quarantasei anni dopo Italia-Scozia, lunedì sera San Siro è tornato a ospitare due squadre femminili, il Milan e la Juventus, ma questa volta nella prima partita ufficiale giocata nello stadio di calcio più famoso d’Italia, valida per la Serie A.
Tra gli spalti vuoti e davanti a non più di mille spettatori invitati — buona parte dei quali giocatrici delle giovanili del Milan — la Juventus campione d’Italia in carica ha vinto 1-0 grazie al rigore segnato nel primo tempo da Cristiana Girelli, centravanti della Nazionale italiana, in un incontro che si è acceso nel secondo tempo arrivando a toccare ritmi molto alti, sostenuti perlopiù dal Milan, che nonostante gli sforzi non è riuscito a pareggiare.
Come si è potuto vedere a San Siro, Milan e Juventus sono due delle migliori espressioni del calcio femminile italiano e rappresentano l’avanguardia di un movimento che in pochi anni è cresciuto più che nei decenni precedenti, spinto dall’ingresso dei grandi club di Serie A, che negli anni hanno istituito o potenziato le proprie squadre, associando la loro immagine anche a quella del campionato femminile. Fra le varie conquiste ottenute in questo periodo, come le coperture televisive molto più ampie di un tempo — che nel 2019 culminarono con i 6,5 milioni di spettatori per Italia-Brasile dei Mondiali in Francia —, una delle più significative riguarda la parità di trattamento, come ad esempio la possibilità di allenarsi e curarsi sotto gli stessi standard maschili, e di usare le migliori strutture a disposizione delle società.
Una squadra femminile non può garantire un flusso di pubblico paragonabile a quelli generati da squadre come Inter e Milan — le più seguite d’Italia allo stadio — ma l’uso sporadico dei grandi stadi favorisce la visibilità e aiuta a tastare la crescente popolarità del movimento. Da ieri il Meazza è diventato il terzo grande stadio italiano ad aver ospitato una partita di Serie A femminile dopo l’Artemio Franchi di Firenze e l’Allianz Stadium di Torino, dove l’anno scorso quasi 40.000 spettatori guardarono Juventus-Fiorentina, partita decisiva per il campionato.
A un anno di distanza, la Juventus è ancora in testa alla classifica e la Fiorentina la insegue a tre punti di distanza, come il Milan, mentre le altri due grandi società del campionato, Inter e Roma, sono partite a rilento e si trovano a metà classifica. Da quando la Serie A è diventata più appetibile il livello medio delle giocatrici si è alzato costantemente, aiutato anche dalle straniere che ora considerano l’Italia un tappa valida per le loro carriere. Da un anno, per esempio, la qualità del Milan è aumentata notevolmente con l’ingaggio della centrocampista giamaicana Refiloe Jane, tra le migliori in campo a San Siro contro la Juventus, mentre l’Inter ha rinforzato la difesa per la nuova stagione con Kathellen Sousa, giocatrice internazionale nel giro della nazionale brasiliana.
L’ultimo campionato è stato concluso durante la sospensione per la difficoltà di alcune società nel riprendere le attività e assegnato d’ufficio alla Juventus, prima in classifica al momento della sospensione. L’interruzione ha mostrato come il campionato femminile non abbia raggiunto ancora una sua sostenibilità economica, l’ultimo passaggio richiesto per poter diventare un movimento professionistico. Tutte le giocatrici del campionato continuano quindi a svolgere di fatto un lavoro a tempo pieno ma senza contratti di lavoro che garantiscano retribuzioni mensili, compensi previdenziali, tutele assicurative e contrattazioni collettive. Non percepiscono un vero e proprio stipendio, ma dei rimborsi il cui massimo consentito è di 30.658 euro lordi l’anno, ai quali le società, per poter superare il limite, aggiungono saltuariamente premi e bonus.
– Leggi anche: Le atlete italiane potranno diventare professioniste