I decreti sicurezza sono stati cambiati
È stata reintrodotta di fatto la “protezione umanitaria” per i richiedenti asilo, e sono state ridotte le multe per le ONG che soccorrono i migranti in mare
Dopo mesi di trattative tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, lunedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato una modifica dei cosiddetti “decreti sicurezza“, le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione e l’integrazione e nei confronti di varie forme di ordine pubblico fortemente volute dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, approvate tra il 2018 e il 2019. La modifica era stata promessa più volte dal Partito Democratico e chiesta tra gli altri anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva segnalato al parlamento diversi problemi con i decreti e chiesto un nuovo intervento legislativo.
Le modifiche riguardano gli articoli 131-bis e 588 del codice penale e intervengono innanzitutto sulle dure regole che erano state imposte alle navi delle ONG impegnate nelle operazioni di soccorso dei migranti nel Mediterraneo. In base ai decreti sicurezza il governo aveva il potere di impedire l’ingresso nelle acque territoriali italiane a navi accusate di violare le leggi italiane sull’immigrazione, con multe che potevano arrivare fino a 1 milione di euro e confisca della nave. Il provvedimento del governo non elimina le multe per le ONG ma prevede che il divieto di ingresso nelle acque territoriali si applicherà solo se le navi impegnate nei soccorsi non avranno comunicato alle autorità italiane e a quelle del paese di appartenenza le loro operazioni; le multe massime non potranno superare i 50mila euro e sono state eliminate le sanzioni amministrative che erano state introdotte, compresa la confisca della nave. È rimasto, per chi violerà il divieto di ingresso, il rischio di reclusione fino a 2 anni «nel caso in cui ricorrano i motivi di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico di migranti via mare».
Per quanto riguarda l’assistenza ai migranti arrivati in Italia, le modifiche volute dal governo reintroducono di fatto la “protezione umanitaria” che era stata cancellata dai decreti di Salvini, mettendo sulla strada migliaia di migranti dotati di regolare permesso di soggiorno. Il primo decreto sicurezza, infatti, cancellava i permessi di soggiorno per ragioni umanitarie, una delle tre forme di protezione che potevano essere accordate ai richiedenti asilo (insieme all’asilo politico vero e proprio e alla protezione sussidiaria).
Il nuovo decreto stabilisce inoltre che sono convertibili in permesso di soggiorno per motivi di lavoro i permessi di soggiorno per protezione speciale – cioè la vecchia protezione per ragioni umanitarie – e i permessi per calamità, per residenza elettiva, per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi e per assistenza minori. La conversione era da anni una richiesta delle associazioni che si occupano dei diritti di migranti e richiedenti asilo.
I richiedenti asilo potranno anche tornare ad accedere al sistema di accoglienza diffusa – ex SPRAR, ora SIPROIMI, giudicati molto più efficaci dei centri più grandi per gestire l’integrazione dei nuovi arrivati – che invece i decreti promossi da Salvini avevano riservato alle persone che hanno già una forma di protezione, rendendoli di fatto inutili (in Italia la protezione viene garantita al termine di un percorso legale che dura diversi anni).
Viene inoltre reintrodotto il divieto di respingimento ed espulsione in stati in cui lo straniero rischi di essere sottoposto «a trattamenti inumani o degradanti e se ne vieta l’espulsione anche nei casi di rischio di violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare». I richiedenti asilo potranno iscriversi di nuovo all’anagrafe comunale – una possibilità che era stata sospesa coi “decreti sicurezza” – e ottenere una carta di identità valida per tre anni. Il testo prevede anche che il periodo massimo nei centri per i rimpatri passi da 180 a 90 giorni, e riduce il termine massimo dei procedimenti per il riconoscimento della cittadinanza da 48 a 36 mesi.
Il provvedimento introduce inoltre un inasprimento del cosiddetto “Daspo urbano”, rendendo possibile il divieto di accesso ai locali pubblici anche nei confronti dei «soggetti che abbiano riportato una o più denunce o una condanna non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, relativamente alla vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope».