Il video della morte di Mohammed al Dura, vent’anni fa
Diventò il simbolo delle rivolte palestinesi della seconda intifada e innescò una polemica che ancora non si è risolta davvero
Il 30 settembre di vent’anni fa, durante il telegiornale della sera, il canale televisivo francese France 2 mandò in onda un video di 59 secondi che mostrava una sparatoria tra l’esercito israeliano e manifestanti palestinesi a un incrocio non lontano da Netzarim, un villaggio di coloni israeliani nella striscia di Gaza. Nel video si vedono un bambino, Mohammed al Dura, e suo padre Jamal rannicchiati dietro a un cilindro di cemento che probabilmente faceva parte del sistema fognario, mentre intorno a loro ci sono spari con armi da fuoco. Il padre cerca di proteggere il bambino con il braccio destro, poi fa dei gesti a qualcuno fuori dall’inquadratura. Arriva una raffica di proiettili e si alza un polverone, la videocamera va fuori fuoco, e quando torna sui due il bambino è accasciato per terra e il padre sembra in confusione.
Durante il servizio tv, la voce fuori campo del giornalista Charles Enderlin raccontò gli eventi in modo drammatico, dicendo che il bambino era morto e che a sparare erano stati i soldati dell’esercito israeliano: «Qui, Jamal e suo figlio Mohammed sono l’obiettivo del fuoco dalle postazioni israeliane. Mohammed ha dodici anni, suo padre sta cercando di proteggerlo. Gesticola. Un’altra raffica di proiettili. Mohammed è morto e suo padre è ferito gravemente». Il servizio poi continua mostrando dei feriti (non i due al Dura) caricati su un’ambulanza.
Le immagini crude della morte di Mohammed al Dura furono poi trasmesse in tutto il mondo. Le rivolte palestinesi della seconda intifada erano cominciate soltanto da un paio di giorni, l’attenzione dei media di tutto il mondo era concentrata sul conflitto israelo-palestinese, e Mohammed al Dura divenne un simbolo. Non soltanto i palestinesi, ma tutto il mondo arabo vide in al Dura un martire-bambino, e indicò il video come la prova della violenza dell’esercito israeliano su civili innocenti. Nel corso degli anni, alcuni paesi arabi hanno dedicato ad al Dura parchi pubblici e piazze e hanno emesso francobolli con l’immagine del bambino e del padre. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, in uno dei suoi comunicati Osama bin Laden citò la morte di al Dura come uno degli atti per cui l’America e Israele sarebbero stati puniti: «Bush non deve dimenticare la morte di al Dura», disse, citando l’allora presidente americano George W. Bush.
Attorno al video di al Dura, però, sono nate polemiche che sono durate più di 15 anni. Se nei giorni immediatamente successivi alla messa in onda del video l’esercito israeliano si assunse la colpa della morte di al Dura e chiese scusa, in seguito cambiò versione e disse che dal video non era possibile giudicare chi avesse sparato, e che anzi era probabile che a uccidere al Dura fosse stata una raffica di proiettili sparata dai palestinesi. Il video stesso fu messo in dubbio, con la pubblicazione di tutto il girato, senza i tagli fatti da France 2. Un gruppo minoritario di sostenitori di Israele arrivò a dire che l’intera sequenza fosse una messa in scena per accusare l’esercito israeliano. In generale, come ha scritto James Fallows in un lungo reportage per l’Atlantic nel 2003, il caso ha ossessionato per anni «tutta una serie di accademici, ex soldati, blogger», che hanno cercato di attribuire la responsabilità della morte all’una o all’altra parte.
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Il video della morte di Mohammed al Dura fu girato due giorni dopo l’inizio della seconda intifada. Intifada è una parola araba che significa “sussulto”, “rivoluzione”, e la seconda intifada fu un lungo periodo di proteste violente cominciate il 28 settembre del 2000 quando Ariel Sharon, politico di destra del partito Likud, visitò la Spianata delle Moschee a Gerusalemme, luogo sacro sia per gli israeliani sia per i musulmani, e molto conteso. La visita fu vista come una provocazione dai musulmani, che fin dal giorno dopo cominciarono a protestare con violenza. Tra il 2000 e il 2005 morirono circa un migliaio di israeliani e quattromila palestinesi, in attacchi terroristici e scontri violenti (ci fu anche una prima intifada, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, ma fu meno violenta).
Gli scontri tra palestinesi e soldati israeliani all’incrocio fuori dal villaggio di Netzarim erano cominciati il mattino del 30 settembre. Gli israeliani avevano messo un contingente a protezione dell’incrocio perché tre giorni prima una bomba al lato della strada aveva ucciso un soldato. Ad assistere agli scontri erano presenti anche molti giornalisti tra cui il cameraman palestinese Abu Rahma, che poi avrebbe filmato l’uccisione di al Dura e inviato il video a France 2.
Jamal e Mohammed al Dura arrivarono all’incrocio in taxi, dopo aver visitato – avrebbe raccontato in seguito il padre – un mercato di automobili usate. La strada era bloccata e i due tentarono di proseguire a piedi, ma furono bloccati dalle sparatorie. Da qui in poi ci sono versioni contrastanti su molti elementi chiave. Il cameraman Abu Rahma e Jamal al Dura dissero che padre e figlio erano arrivati all’incrocio all’una del pomeriggio e che erano rimasti sotto il fuoco per 45 minuti, rannicchiati dietro al cilindro di cemento. Il servizio di France 2 però disse che la sparatoria sarebbe cominciata alle 15 e in seguito altri osservatori avrebbero sostenuto che sarebbe durata molto meno di 45 minuti. Ci sono anche versioni contrastanti sull’orario di ammissione di Mohammed all’ospedale.
Dopo la morte di Mohammed, nessuno fece un’analisi balistica o cercò di raccogliere prove sul campo. I palestinesi dissero che non ce n’era bisogno perché le prove che fossero stati gli israeliani a uccidere Mohammed al Dura erano schiaccianti; gli israeliani non raccolsero prove perché dissero che era impossibile farlo vista la situazione. Non fu nemmeno fatta un’autopsia completa, anche se un medico esaminò il corpo del bambino: il funerale fu celebrato il giorno stesso. La BBC, mostrandone le immagini, parlò di «martirio di un ragazzino palestinese».
In effetti, inizialmente tutti i racconti erano grossomodo simili. Sia Abu Rahma sia Jamal al Dura, nelle interviste fatte con i media internazionali, dissero che per loro era chiaro che Mohammed fosse stato ucciso dai soldati israeliani. Abu Rahma disse che i soldati miravano direttamente al bambino, mentre Jamal disse: «I proiettili dei sionisti sono i proiettili che hanno ucciso mio figlio». Pochi giorni dopo anche l’esercito israeliano ammise la colpa. Il 3 ottobre, dopo un’inchiesta interna molto rapida, il generale Yom-Tov Samia disse che era «molto probabile» che i soldati, trovandosi in una posizione con una visuale ristretta, avessero sparato nella direzione del bambino scambiandolo per un aggressore.
Nei mesi e negli anni successivi, tuttavia, la versione iniziale dell’uccisione è stata contestata in più modi. Nel novembre del 2000 l’esercito israeliano pubblicò uno studio più approfondito in cui non escludeva che fossero stati i soldati di Israele a uccidere Mohammed al Dura, ma riteneva più probabile che i colpi fossero arrivati dalle postazioni dei palestinesi. Lo studio fu molto criticato anche all’interno di Israele. Nel 2005 l’esercito ritrattò ufficialmente l’ammissione di responsabilità fatta cinque anni prima, e nel 2013 pubblicò uno studio ulteriore che scagionava interamente i soldati e avanzava l’ipotesi che tutto fosse una messa in scena.
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Gran parte delle controversie ruota attorno al video girato da Abu Rahma. Il cameraman inviò a Charles Enderlin, che si trovava a Gerusalemme, sei minuti di girato grezzo, che il giornalista di France 2 tagliò per produrre il servizio televisivo, in cui lo spezzone degli al Dura è lungo soltanto 59 secondi. Negli anni successivi la pubblicazione del video integrale generò molte polemiche. Anzitutto per la sua durata totale: Abu Rahma disse di avere un video della sparatoria che durava 27 minuti, ma Enderlin disse che il video totale era di 18 minuti.
Le polemiche principali riguardarono però i tagli: nel servizio di France 2 Enderlin disse che Mohammed al Dura era morto, ma pochi secondi dopo, in una parte del video non mostrata dalla tv francese, lo si vede muovere debolmente un braccio. Questo non significa che Mohammed al Dura non sia morto – anche se alcuni lo hanno sostenuto e a oggi continuano a sostenerlo – ma che la prima pubblicazione delle immagini è stata oggetto di manipolazione. Inoltre, Abu Rahma non filmò quello che successe dopo. Non ci sono immagini di Mohammed soccorso o portato via dal luogo della sparatoria. Il cameraman disse anni dopo che aveva finito la batteria.
Ci furono anche altre polemiche legate a elementi ulteriori della vicenda, come le ferite riportate da Jamal al Dura, la quantità di proiettili sparati, chi li raccolse da terra o estrasse dal corpo di Mohammed e chi li conservò. Per anni il video e le altre prove sono stati valutati da analisti, giornalisti e da altre persone ossessionate dalla vicenda, che hanno cercato di capire come fossero andate le cose studiando la traiettoria dei proiettili, la quantità di polvere sollevata dai colpi e altri particolari. In Francia, France 2 querelò Philippe Karsenty, il gestore di un sito internet che tratta di media, perché accusò la rete televisiva di aver messo in scena tutta la vicenda. Il processo arrivò in Cassazione, alla fine Karsenty fu condannato per diffamazione.
A vent’anni dall’uccisione di Mohammed al Dura non esiste ancora una versione definitiva dei fatti. Per il mondo arabo, al Dura è un martire ucciso dagli israeliani, mentre le posizioni in Israele, in Europa e negli Stati Uniti sono più contrastate. Alcuni articoli usciti nel corso degli anni (per esempio James Fallows nel suo articolo del 2003) hanno giudicato credibili gli studi dell’esercito israeliano secondo cui la dinamica della sparatoria rende poco plausibile l’ipotesi che al Dura sia stato ucciso da colpi provenienti dalle postazioni israeliane.