A che punto siamo con i vaccini antinfluenzali
Le Regioni hanno dosi a sufficienza per i soggetti a rischio, ma la domanda più alta causata dalla pandemia potrebbe portare a qualche carenza per tutti gli altri
Nei prossimi mesi l’arrivo dell’influenza stagionale potrebbe influire sulla pandemia in corso, per esempio rendendo più difficoltose le diagnosi di COVID-19, i cui sintomi iniziali possono essere confusi con quelli influenzali. Per questo motivo il ministero della Salute già lo scorso giugno aveva invitato le Regioni, che hanno la responsabilità di gestire l’assistenza sanitaria, ad anticipare a ottobre la campagna di vaccinazione antinfluenzale per gli individui a rischio, contemplando la possibilità anche per i ritardatari, che potrebbero decidere di vaccinarsi oltre i tempi solitamente previsti per farlo.
Tendiamo a pensare all’influenza stagionale come a una malattia che comporta qualche fastidio, come febbre e spossatezza, ma priva di particolari rischi. In realtà i virus influenzali sono la causa ogni anno di centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo, e per questo è importante che le persone a rischio (come gli anziani) si sottopongano al vaccino antinfluenzale, in modo da ridurre la probabilità di sviluppare sintomi gravi e complicazioni che potrebbero rivelarsi letali.
Ogni anno le campagne di vaccinazione consentono di tutelare la vita di milioni di persone, e richiedono uno sforzo produttivo e logistico notevole, che aziende farmaceutiche e sistemi sanitari hanno imparato a padroneggiare e a gestire senza particolari problemi. La pandemia in corso potrebbe però complicare le loro attività, anche a causa di una domanda di vaccini che potrebbe essere più alta rispetto a quella degli altri anni. Molte persone non a rischio, ma rese più sensibili al tema delle vaccinazioni in questi mesi di circolazione del coronavirus, vorranno vaccinarsi per evitare almeno l’influenza, o per ridurre i rischi di diagnosi scorrette nel caso di sintomi che non consentano da subito di determinare se si tratti di influenza o COVID-19.
La Fondazione GIMBE, che si occupa di analizzare efficienza e possibilità di miglioramento della sanità in Italia, ha di recente svolto un censimento piuttosto accurato per verificare se le dosi di vaccini contro l’influenza disponibili in Italia saranno sufficienti per soddisfare la domanda. Il risultato dell’indagine non indica particolari difficoltà per gli individui a rischio, ma segnala comunque che il vaccino potrebbe non essere facilmente reperibile in farmacia per il resto della popolazione.
Negli ultimi mesi, le Regioni si sono aggiudicate scorte di vaccino dai produttori per un totale di circa 17,9 milioni di dosi. Queste si rivelerebbero insufficienti se decidesse di vaccinarsi il 100 per cento degli individui ritenuti a rischio (per lo più anziani), ma non accade mai che si raggiungano percentuali così alte (la vaccinazione è consigliata, ma comunque facoltativa).
I dati del ministero della Salute sulle coperture vaccinali delle stagioni influenzali precedenti confermano questa circostanza. Nella popolazione anziana con più di 65 anni, per la quale il vaccino è gratuito, nella scorsa stagione (2019-2020) si è vaccinato il 54,6 per cento, nella precedente si era vaccinato il 53,1 per cento. Il tasso di vaccinazione antinfluenzale nella popolazione generale è invece sensibilmente più basso e intorno al 17 per cento.
In Italia la quantità di anziani che si vaccinano è ancora comunque ridotta. Le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale del ministero della Salute indicano come obiettivo minimo il 75 per cento di vaccinazioni tra gli ultra sessantacinquenni e negli altri gruppi a rischio.
Considerata la pandemia in corso, quest’anno è stato previsto l’accesso gratuito alla vaccinazione anche nella fascia di età 60-64 anni, con ulteriori raccomandazioni a vaccinarsi per il personale sanitario e per chi lavora in particolari strutture, come quelle di accoglienza per anziani dove nel corso dell’emergenza sanitaria di marzo e aprile si era registrato un picco di casi di positivi e di decessi riconducibili alla COVID-19.
Basandosi sui dati della campagna vaccinale 2019-2020 e sulle dosi acquistate dalle Regioni per quella 2020-2021, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ritiene che i 17,9 milioni disponibili possano rispondere ampiamente alle necessità, considerato che nella stagione precedente erano stati distribuiti 12,5 milioni di dosi. Al momento non è però semplice fare previsioni sull’effettivo numero di richieste, in una situazione straordinaria come quella di quest’anno condizionata dalla pandemia.
La domanda da parte di chi è in una categoria a rischio sarà probabilmente più alta, mentre è difficile prevedere di quanto potrà essere maggiore in generale e quindi tra milioni di persone che solitamente non prendono in considerazione la possibilità di vaccinarsi (a proprie spese). Diverse aziende si sono inoltre organizzate per incentivare le vaccinazioni tra i loro dipendenti, provvedendo in alcuni casi ai costi per effettuarle, in modo da ridurre le incertezze legate a eventuali contagi tra gli impiegati.
Considerate le quantità a disposizione, le Regioni per ora hanno fornito alle farmacie circa 250mila dosi del vaccino, con accordi per fornirne altre nel caso in cui fosse necessario o ci fossero possibilità di ottenere nuovi rifornimenti. Le farmacie dovrebbero ottenerne di propri dall’estero, con la possibilità di arrivare a un ulteriore milione di dosi disponibili per la popolazione generale.
L’analisi svolta da GIMBE (qui i dettagli sulla metodologia) è basata sui dati derivati dai bandi di gara per le forniture, o contattando i responsabili dei bandi e gli assessorati regionali che si occupano di sanità e dei servizi farmaceutici. Ci potrebbe quindi essere qualche discrepanza, ma i dati presi nel loro complesso sono affidabili.
La scarsa disponibilità, per lo meno in questa fase, del vaccino antinfluenzale nelle farmacie per la popolazione generale è dovuta in parte all’aumento della domanda sui mercati internazionali, che ha reso più complicato l’approvvigionamento delle dosi. GIMBE segnala inoltre che alcune Regioni “non hanno previsto con largo anticipo la necessità di aumentare le scorte per la popolazione non a rischio”, con ritardi che si sono poi concretizzati in una maggiore difficoltà con gli ordini.