Il conflitto in Nagorno-Karabakh si sta allargando
Nello scontro tra Armenia e Azerbaijan la Turchia si è schierata con quest’ultimo e potrebbe costringere Putin a intervenire, controvoglia
Da qualche giorno sono ricominciati gli scontri tra Armenia e Azerbaijan in Nagorno-Karabakh, un territorio separatista collocato in Azerbaijan ma controllato dall’Armenia. Il conflitto in Nagorno-Karabakh è scoppiato all’inizio degli anni Novanta e non è mai davvero terminato. Gli scontri tra gli eserciti armeno e azero riprendono periodicamente (le ultime volte nel 2012 e nel 2016), ma sono quasi sempre a bassa intensità e si risolvono nel giro di poche settimane.
Negli ultimi giorni, invece, i combattimenti sono stati più violenti. Sono morte almeno 84 persone, tra cui alcuni civili, ed entrambi gli eserciti hanno usato artiglieria, mezzi pesanti e hanno mobilitato i riservisti, segno che i combattimenti potrebbero essere più estesi e intensi rispetto agli anni scorsi.
Una delle ragioni per cui gli scontri questa volta potrebbero essere più gravi è che alcune potenze regionali, in particolare la Turchia, sono intervenute nel conflitto, che potrebbe allargarsi e trasformarsi da disputa territoriale di un’area montagnosa nel Caucaso meridionale a qualcosa di più grande.
Il Nagorno-Karabakh è un territorio di circa 11 mila chilometri quadrati che si trova all’interno dell’Azerbaijan ma la cui popolazione è a maggioranza armena e cristiana (la religione più comune in Azerbaijan è l’islam sciita). Nel 1988 dichiarò la sua indipendenza, sostenuto dall’Armenia: seguirono anni di scontri etnici molto violenti, fino alla guerra tra Armenia e Azerbaijan, che cominciò nel 1992, finì nel 1994 e provocò almeno 30 mila morti. Decine di migliaia di persone, inoltre, furono cacciate dalle loro case o costrette a emigrare. Oggi il Nagorno-Karabakh si dichiara stato indipendente ma non è riconosciuto da nessuno paese al mondo, nemmeno dall’Armenia. Nella pratica, la regione è controllata dall’Armenia, anche se agli occhi della comunità internazionale farebbe ancora parte dell’Azerbaijan.
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I combattimenti tra Armenia e Azerbaijan sono ricominciati domenica. I due paesi si accusano reciprocamente di aver aperto il fuoco, e non è ancora chiaro chi l’abbia fatto per primo. Si sa per certo invece che i preparativi andavano avanti da tempo: il New York Times ha raccontato che negli ultimi mesi c’erano stati molti segnali d’allarme e molti sintomi del fatto che si stesse preparando uno scontro ampio e grave, ma che la diplomazia non si è mossa in tempo: «C’erano tutti i segnali, tutto ci diceva che stava arrivando un’escalation», ha detto Olesya Vartanyan, analista dell’International Crisis Group. A luglio, inoltre, c’erano già stati alcuni scontri ed erano morti almeno 16 soldati, tra cui un generale azero. In quei giorni a Baku, la capitale dell’Azerbaijan, migliaia di persone avevano manifestato per chiedere al governo di recuperare il controllo del Nagorno-Karabakh.
Il ruolo più importante nella pacificazione è toccato fin qui alla Russia. Armenia e Azerbaijan sono entrambi paesi ex sovietici. Mosca inoltre è uno dei principali partner commerciali di entrambi e vende loro armi. È anche la forza principale dentro al Gruppo di Minsk, cioè quel gruppo di tre paesi (oltre alla Russia anche Stati Uniti e Francia) che nel 1994 negoziò il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaijan e che da allora cerca, faticosamente e senza successo, di arrivare a un accordo di pace. Negli ultimi due decenni, è sempre stata la Russia a convincere i due paesi a un cessate il fuoco quando riprendevano gli scontri.
Distratta tuttavia dall’emergenza sanitaria per il coronavirus e dalla crisi in Bielorussia, questa volta Mosca non ha prestato abbastanza attenzione a quello che stava succedendo nel Caucaso, ha scritto il New York Times. Invece è intervenuta la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, schierandosi con molta forza in favore dell’Azerbaijan. La Turchia ha sempre sostenuto politicamente l’Azerbaijan, ma adesso sembra pronta a dare anche aiuto militare.
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A luglio, dopo i primi scontri limitati, il ministro della Difesa turco disse che l’Armenia avrebbe «pagato» per l’uccisione di soldati azeri. La Turchia inviò anche aerei da combattimento F-16 in Azerbaijan per esercitazioni congiunte. Dopo l’inizio degli scontri degli ultimi giorni, poi, Erdogan ha scritto su Twitter che l’Armenia è “la più grande minaccia per la pace nella regione” e che “la nazione turca sostiene i fratelli azeri con tutti i mezzi, come sempre”.
Così lunedì, un giorno dopo l’inizio dei combattimenti, l’esercito azero ha pubblicato un comunicato in cui annunciava, in pratica, di voler rompere lo status quo e riconquistare il Nagorno-Karabakh: “Le unità azere portano avanti operazioni di combattimento per distruggere il nemico e liberare le nostre terre occupate”. I media turchi hanno scritto che gli azeri hanno già usato droni militari di fabbricazione turca.
Il governo armeno lunedì ha accusato la Turchia di aver inviato in Azerbaijan mezzi aerei e consiglieri militari, e soprattutto di aver mandato a combattere gruppi irregolari di guerriglieri provenienti dai territori della Siria sotto il controllo turco. L’Azerbaijan ha negato le accuse, ma Reuters ha parlato con due ex ribelli siriani che hanno detto che sono stati loro offerti 1.500 dollari per andare a combattere in Nagorno-Karabakh. Uno dei due fa parte di Ahrar al Sham, un gruppo islamista radicale sostenuto dalla Turchia. Anche il Guardian ha parlato con altri combattenti siriani che confermano che saranno inviati nella regione.
L’intervento della Turchia in un conflitto che finora era stato gestito quasi in solitaria dalla Russia mette in difficoltà il presidente russo Vladimir Putin, perché se è vero che la Russia cerca di mantenere un equilibrio e si dice alleata di entrambi i paesi, in realtà la sua posizione strategica favorisce l’Armenia.
La Russia ha una base militare in Armenia e ha firmato un patto di difesa reciproca che obbliga entrambi i paesi a intervenire se l’altro dovesse subire un’aggressione dei suoi confini. Il Nagorno-Karabakh è fuori dal territorio armeno, e dunque non rientra nei criteri del patto, ma l’Armenia ha detto negli ultimi giorni che l’artiglieria azera ha colpito anche all’interno del suo territorio.
Tevan Poghosyan, direttore dell’International Center for Human Development, un think tank basato a Yerevan, la capitale dell’Armenia, ha detto al Post che «per la Russia è contro il suo interesse lasciare che la Turchia si espanda troppo nel Caucaso meridionale. Oggi l’Armenia è l’unico vero alleato russo nell’area». È molto difficile però che la Russia decida di intervenire, e per ora Mosca sta cercando una soluzione diplomatica. Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, lunedì ha detto che «ciò che è importante adesso è fermare i combattimenti e non cercare di capire chi ha ragione e chi torto». «La Russia ha sempre avuto una posizione equilibrata e ha buone relazioni sia con l’Armenia sia con l’Azerbaijan».
Se il conflitto in Nagorno-Karabakh dovesse finire per coinvolgere anche Russia e Turchia, una al fianco dell’Armenia e l’altra a fianco dell’Azerbaijan, quella nel Caucaso sarebbe la terza “guerra per procura” che le due potenze regionali combattono su fronti opposti, dopo quella in Siria e quella in Libia.
Martedì Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha parlato al telefono con il primo ministro armeno e con il presidente azero e ha chiesto di interrompere immediatamente i combattimenti. Anche l’Unione Europea ha un interesse nella regione: in Azerbaijan, non lontano dal Nagorno-Karabakh, passano alcuni importanti gasdotti e oleodotti che riforniscono tra gli altri il mercato europeo.