Trump è riuscito per anni a non pagare tasse
Lo mostra una grossa inchiesta del New York Times, che ha ottenuto le dichiarazioni dei redditi del presidente mai diffuse finora, e ne ha esposto le «manovre discutibili»
Il New York Times ha pubblicato una grossa inchiesta sulle dichiarazioni dei redditi del presidente statunitense Donald Trump, riferita a un periodo di quasi vent’anni. I documenti, che finora non erano mai stati diffusi, mostrano tra le altre cose come in 10 degli ultimi 15 anni il presidente non abbia pagato alcuna tassa sul reddito, grazie soprattutto alle perdite riportate nelle dichiarazioni fiscali dalla sua azienda, la Trump Organization. I documenti mostrano inoltre come la sua situazione finanziaria potrebbe complicarsi ulteriormente, a causa di centinaia di milioni di dollari di debiti accumulati e di una contesa decennale con l’Internal Revenue Service (IRS, agenzia governativa che si occupa di riscuotere i tributi) sulla legittimità di un rimborso fiscale di 72,9 milioni di dollari che Trump aveva ottenuto dopo avere dichiarato perdite enormi.
L’inchiesta giornalistica, firmata da Russ Buettner, Susanne Craig e Mike McIntire, è particolarmente importante perché Trump è il primo presidente dagli anni Settanta a non avere voluto rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi (cosa che non è obbligatorio fare, ma che da quarant’anni tutti i candidati fanno per ragioni di trasparenza). Le grosse perdite che emergono dai documenti, inoltre, sono in contrasto con l’immagine che Trump ha sempre voluto dare di sé, cioè quella di un imprenditore di enorme successo.
Tra le altre cose, l’inchiesta ha rivelato come in 11 dei 18 anni esaminati, Trump abbia dichiarato perdite tali da non aver pagato tasse sul reddito, mentre in altri due anni, nel 2016 e nel 2017, abbia pagato solo 750 dollari di tasse. Trump, ha scritto il New York Times, «è riuscito ad evitare di pagare le tasse pur facendo una vita da miliardario – cosa che lui rivendica di essere – mentre le sue compagnie hanno pagato i costi di quelle che molti considererebbero spese personali». Negli ultimi due decenni, Trump avrebbe pagato circa 400 milioni di dollari in meno in tasse federali sul reddito rispetto a quello che avrebbe dovuto fare per legge una persona ricca quanto lui; e ha inoltre pagato meno tasse rispetto a Barack Obama e George W. Bush, i due presidenti che l’hanno preceduto, che versavano più di 100mila dollari di tasse federali all’anno mentre erano in carica.
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Nel corso degli anni, Trump ha ottenuto di pagare poche tasse con quelle che il New York Times ha definito «manovre discutibili», tra cui un rimborso fiscale di 72,9 milioni di dollari che dal 2011 è oggetto di verifica da parte dell’Internal Revenue Service, il corrispettivo americano dell’Agenzia delle Entrate. Il rimborso ha ridotto la sua imposta sul reddito tra il 2000 e il 2017 a 1,4 milioni di dollari, molti meno rispetto ai 25 milioni di tasse federali calcolate per un americano medio con simile reddito.
Trump ha ottenuto di pagare poche tasse anche per le enormi perdite derivanti da alcune attività della Trump Organization, un insieme di circa 500 entità, quasi tutte interamente di proprietà di Trump: dal 2000, per esempio, Trump ha perso più di 315 milioni di dollari dalle attività derivanti dai suoi campi da golf, che lui ha descritto spesso come il cuore del suo impero economico. Le perdite sono state così grandi da permettere alla Trump Organization di sostenere di non guadagnare, e quindi di dover pagare meno tasse.
L’inchiesta ha rivelato inoltre come nel corso degli anni Trump abbia considerato gran parte delle sue spese personali come spese a carico delle sue aziende, riducendo così ulteriormente le imposte: le sue residenze, i suoi campi da golf, l’aereo usato per spostarsi da una casa all’altra e i tagli dei capelli sono tutte spese finite nei bilanci aziendali.
A ridurre le imposte sono state anche le numerose “spese di consulenza” inserite in quasi tutti i progetti avviati da Trump nel corso degli anni, definite dal New York Times molto spesso «inspiegabili». L’inchiesta ha rivelato per esempio come Ivanka, figlia di Trump, sia stata la destinataria di alcune di queste spese di consulenza, nonostante fosse una dei dirigenti più importanti della Trump Organization. I registri ottenuti dal giornale mostrano come in un’occasione la società di Trump pagò 747.622 dollari di commissioni a un consulente anonimo per la realizzazione di progetti alberghieri alle Hawaii e a Vancouver, in Canada; nello stesso periodo Ivanka Trump, figlia del presidente, ottenne un importo identico attraverso una società di consulenza di cui era comproprietaria.
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Sembra inoltre che Trump ci abbia guadagnato, a diventare presidente, ricevendo grandi quantità di denaro da lobbisti, politici e funzionari stranieri disposti a pagare per alloggiare nelle sue proprietà o per unirsi ai suoi club. Nei suoi primi due anni alla Casa Bianca, Trump ricevette milioni di dollari grazie a vari progetti in paesi stranieri, tra cui le Filippine (3 milioni), l’India (2,3 milioni) e la Turchia (1 milione). I documenti ottenuti dal New York Times non mostrano collegamenti con la Russia che non fossero già stati resi pubblici in precedenza.
Secondo l’inchiesta, comunque, le finanze di Trump sarebbero sotto grande pressione, soprattutto perché molte delle sue attività continuano ad essere in perdita, e per alcuni grossi pagamenti arretrati da completare. Se dovesse perdere la contesa con l’IRS, inoltre, Trump potrebbe dovere al governo federale più di 100 milioni di dollari.
Il direttore del New York Times, Dean Baquet, ha scritto che il suo giornale non ha pubblicato direttamente i documenti citati nell’inchiesta «per non mettere a repentaglio» le sue fonti, «che hanno preso enormi rischi per informare l’opinione pubblica». Baquet ha aggiunto che l’inchiesta è stata realizzata per permettere ai cittadini di avere più informazioni possibili sui propri leader e rappresentanti, «sulle loro priorità, le loro esperienze e anche le loro finanze».