Ci sono nomi che non si possono sentire
In alcuni paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente dare un nome non tradizionale ai propri figli è ancora un problema, ma le cose stanno cambiando
Nella regione cinese dello Xinjiang, dove risiede la minoranza musulmana degli uiguri, è proibito chiamare i bambini “Muhammad” o “Jihad” per questioni religiose. In Svezia, invece, non si può chiamare una bambina “Ikea” e nemmeno un bambino “Brfxxccxxmnpcccclllmmnprxvclmnckssqlbb11116”, il nome che due genitori avrebbero voluto dare al loro figlio (secondo loro, pronunciato “Albin”).
Se in Italia la legge vieta soltanto di «imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come nome, e nomi ridicoli o vergognosi», in alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente chiamare i propri figli con nomi non convenzionali può essere un problema. In particolare, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno proibito l’utilizzo di nomi considerati blasfemi o inappropriati, ma a poco a poco le cose stanno cambiando.
L’Economist ha raccontato che secondo diversi paesi a maggioranza musulmana i nomi tradizionali rafforzerebbero l’identità nazionale e culturale delle comunità, che di norma è quella dei maggiori gruppi etnici o religiosi. In paesi come il Marocco e l’Algeria, i nomi devono “suonare” marocchini e algerini. In Turchia, invece, erano stati proibiti i nomi curdi e quelli armeni; similmente, dopo la rivoluzione che cambiò l’Iran, nel paese furono vietati i nomi occidentali, così come quelli persiani.
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Uno dei casi che fece più parlare fu quello dell’Arabia Saudita, che nel marzo del 2014 aggiunse 51 nuovi nomi all’elenco di quelli vietati dalla legge perché avevano un’origine straniera, come “Linda” e “Maya”, o perché erano tra i preferiti della minoranza sciita che abita nel paese. Anche l’utilizzo del nome “Basmala”, che in arabo significa “nel nome di Dio”, era ritenuto quantomeno controverso. Tra le altre cose, come aveva spiegato al Washington Post Gregory Gause, professore esperto di questioni del Medio Oriente, il divieto dei nomi che non erano coerenti con le tradizioni saudite fu emanato in un momento di repressione delle fasce più progressiste della popolazione.
In Afghanistan, dove usare il nome di una donna in pubblico può essere considerato anche un insulto, di recente è stato stabilito che il nome delle madri possa comparire sui documenti dei figli assieme a quello dei padri. Tuttavia, quando nel 2016 due genitori di un villaggio rurale decisero di chiamare il loro figlio Donald Trump in segno di buon auspicio, ricevettero minacce di morte e furono costretti a trasferirsi a Kabul – la capitale dell’Afghanistan – per aver sfidato la tradizione dando al bambino un nome non musulmano, “da infedele”.
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Negli ultimi tempi le cose hanno iniziato a cambiare, specialmente nei paesi del Nord Africa ma non solo. In Iran, con l’eccezione dei nomi degli antichi re e scià, adesso vengono tollerati alcuni nomi persiani tradizionali, mentre in Iraq nel 2005 venne cancellata l’“arabizzazione” forzata dei nomi.
Attualmente in Algeria sono ammessi circa 300 nomi di origine berbera, la popolazione autoctona che abita nel Nord Africa, eppure nel paese viene evitato il nome di “Kahina”, la regina berbera che nel Settimo secolo lottò contro l’invasione araba. A un algerino chiamato Labadi, ha raccontato l’Economist, non piaceva nessuno dei nomi ammessi dalla legge del paese, così sua figlia rimase ufficialmente senza un nome per circa quattro anni; Labadi riuscì infine a vincere una causa in tribunale e a chiamare la figlia “Tanila”, che in lingua berbera significa “colomba”.
Uno dei paesi che si sono aperti maggiormente alle diversità in questi anni è la Tunisia, che lo scorso luglio ha rimosso il divieto di utilizzare nomi stranieri. Secondo il ministro per gli Affari interni tunisino Lotfi Zitoun, il divieto andava sia contro la Costituzione del paese, sia contro le Convenzioni internazionali sui diritti degli uomini, delle donne e dei bambini. Tempo fa, ha spiegato poi l’Economist, in Egitto un parlamentare aveva proposto di vietare tutti i nomi stranieri, ma ritirò la proposta quando gli venne fatto notare che la moglie dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, morto il 25 febbraio 2020, si chiamava Suzanne.