Il Regno Unito potrebbe aver comprato i satelliti sbagliati
Dopo Brexit non potrà usare il sistema europeo per il posizionamento satellitare: l'alternativa scelta dal governo sembra non convincere gli esperti
In vista della definitiva uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito sta cercando di riorganizzare il proprio sistema di navigazione e posizionamento satellitare. È un servizio importante alla base di moltissimi strumenti che usiamo tutti i giorni, a cominciare dagli smartphone, e indispensabile nelle situazioni d’emergenza: dopo Brexit, i britannici potrebbero avere qualche difficoltà nell’utilizzarne uno.
Una volta concluso il periodo di transizione di Brexit, il Regno Unito non potrà più far parte del sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) che consente l’uso di parte dei servizi di posizionamento satellitare nell’UE: è il cosiddetto sistema Galileo, che peraltro in passato il governo britannico aveva partecipato a finanziare con 1,2 miliardi di sterline (circa 1,3 miliardi di euro). Il Regno Unito ha deciso di investire 500 milioni di sterline (circa 550 milioni di euro) nell’azienda spaziale privata OneWeb, a lungo criticata dagli esperti e fallita lo scorso marzo a causa di mancati finanziamenti, per provare a compensare, ma non è chiaro se la soluzione scelta dal governo britannico sia una vera soluzione.
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Galileo esiste dal 2003 grazie alla collaborazione tra l’Unione Europea e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Il sistema comprende 30 satelliti – 26 in orbita e 4 di riserva – e rende i paesi dell’Unione meno dipendenti dal sistema GPS statunitense. È una risorsa strategica non solo perché consente di avere un sistema di riserva (e più accurato) nel caso di malfunzionamenti del GPS, ma anche perché offre alcuni servizi per la trasmissione di dati e informazioni in forma criptata, utile per i servizi di sicurezza di diversi paesi.
Con la firma del Withdrawal Agreement, approvato a dicembre 2019 dal Parlamento britannico e poi anche dal Parlamento europeo, il Regno Unito è entrato in un periodo di transizione – che durerà fino al 31 dicembre 2020 – in cui godrà dei benefici di uno stato membro ma senza prendere parte ai processi decisionali. Fin dai precedenti negoziati l’Unione Europea aveva messo in chiaro che dopo Brexit il Regno Unito non avrebbe più potuto far parte di Galileo: nonostante il sistema sia gestito dall’ESA, è la Commissione europea che fornisce i soldi e decide come vengono spesi.
Gli avvocati della Commissione hanno deciso che la gestione di Galileo non può essere condivisa con paesi esterni all’Unione, per questioni di sicurezza; una specifica sezione del progetto, chiamata Public Regulated Service (PRS), consente alle autorità nazionali di trasmettere messaggi in forma ultraprotetta, ed è considerata molto importante e delicata per l’autonomia strategica della UE.
La decisione di escludere il Regno Unito aveva fatto arrabbiare David Davis, il segretario del governo britannico con delega a Brexit del governo di Theresa May, che aveva sarcasticamente chiesto indietro il miliardo di sterline investito dal governo nel sistema Galileo e spiegato che il Regno Unito avrebbe istituito un proprio sistema di posizionamento satellitare. Nel 2018 May annunciò l’intenzione di finanziare un sistema esclusivamente britannico, con un investimento tra i 3 miliardi e i 5 miliardi di sterline, ma la decisione fu poi accantonata proprio per i costi molto elevati.
Il suo successore Boris Johnson ha poi deciso di acquistare una parte dell’azienda spaziale OneWeb, con un investimento di 500 milioni di sterline (circa 550 milioni di euro, quindi molti meno soldi rispetto al piano di May). Non tutti però ritengono che OneWeb sia in grado di realizzare un’alternativa a Galileo.
Un rapporto commissionato dal governo avverte che l’interruzione dell’accesso del Regno Unito a un sistema completo come Galileo potrebbe causare l’interruzione delle applicazioni militari e commerciali, la vulnerabilità nelle telecomunicazioni e compromettere molto altro, dalla distribuzione di energia attraverso la rete nazionale ai segnali ferroviari, al mercato azionario e all’accesso ai bancomat. I problemi potrebbero presentarsi soprattutto nel caso di malfunzionamenti temporanei del GPS statunitense.
La scelta di acquistare OneWeb è stata molto discussa soprattutto dagli esperti del settore; la società infatti dispone di satelliti in orbita bassa, diversi da quelli di Galileo. Oltre rappresentare un problema per via del loro inquinamento luminoso, sembra che al momento non ci siano prove che satelliti del genere siano in grado di garantire il livello di precisione richiesto dai servizi di navigazione.
L’agenzia spaziale del Regno Unito (UKSA) sostiene infatti che siano necessari ulteriori investimenti per completare la costellazione di satelliti di OneWeb e che ci siano molti ostacoli tecnici e operativi da superare. Bleddyn Bowen, esperto di politica spaziale presso l’Università di Leicester, ha detto in un’intervista al Guardian: «Il punto è che abbiamo comprato i satelliti sbagliati».
Il progetto originario di OneWeb, prima del fallimento, prevedeva infatti di usare satelliti per fornire Internet ad alta velocità in tutto il mondo dallo Spazio. Per raggiungere questo scopo si utilizzano satelliti più piccoli di quelli usati per fornire i servizi di navigazione, e che si trovano in un’orbita terrestre piuttosto bassa: circolano infatti a 1.200 chilometri di altezza, contro i circa 20mila di Galileo e degli altri sistemi in uso.
Il governo britannico sperava di poter riconvertire i satelliti di OneWeb a una funzione diversa da quella per cui erano stati costruiti e lanciati, ma riadattarli per fornire servizi di navigazione sembra praticamente impossibile: quando i satelliti si trovano in un’orbita bassa, girano molto velocemente e forniscono dati poco accurati.
Secondo gli esperti, nemmeno spostandoli più in alto si risolverebbe il problema: sono anche troppo piccoli per essere adattati alle funzioni assolte da quelli di Galileo. Spiega Bowen: «Quello che è successo è che i talentuosi lobbisti di OneWeb hanno convinto il governo di poter ridisegnare completamente alcuni dei satelliti. Si vuole applicare una tecnologia mai provata a una mega costellazione di satelliti progettata per fare altro».
OneWeb è fallita a marzo, quando il suo più grande investitore, il conglomerato giapponese Softbank Group, aveva deciso di non finanziare ulteriormente la società. Il governo britannico era poi subentrato alla fine di giugno, quando il primo ministro Boris Johnson e il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak – l’equivalente del nostro ministro dell’Economia – avevano firmato l’accordo per acquistare quote di OneWeb e poter usufruire dei suoi satelliti per sviluppare il nuovo piano di navigazione satellitare, in un consorzio alla pari con il gruppo di telecomunicazioni indiano Bharti, il terzo più grande gruppo di telefonia mobile al mondo.
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Prima di concludere l’acquisto, però, il governo non aveva consultato il suo consigliere scientifico più esperto, Patrick Vallance, e nemmeno il ministero della Difesa. Sam Beckett, segretario del dipartimento per le imprese, l’energia e la strategia industriale, aveva sollevato le sue obiezioni sull’acquisto di OneWeb, richiamando le perplessità dell’Agenzia spaziale britannica. Nonostante l’obiezione, il segretario di Stato per le imprese, l’energia e la strategia industriale Alok Sharma aveva forzato la decisione di acquistare la società.
Per cercare di fare chiarezza su come sono andate le cose, Darren Jones, parlamentare Laburista e presidente della Commissione parlamentare per la strategia industriale, ha avviato un’indagine parlamentare sull’acquisto di OneWeb e sulla condotta del governo. Nel frattempo, non è chiaro come il governo britannico gestirà i sistemi di posizionamento in tutto il paese, se come sembra uscirà definitivamente dall’Unione Europea fra tre mesi.