L’Unione Europea avrà una legge Navalny?
La vicenda del dissidente russo potrebbe portare a una norma simile al Magnitsky Act in vigore negli Stati Uniti, che punisca con sanzioni mirate chi viola i diritti umani
Nelle settimane in cui si è parlato molto dell’avvelenamento del dissidente russo Alexei Navalny e della repressione violenta delle manifestazioni di protesta in Bielorussia, si è riaperto il dibattito sulla necessità che l’Unione Europea adotti un meccanismo di sanzioni più efficace per chi viola i diritti umani nel mondo, sulla scorta del Magnitsky Act in vigore dal 2012 negli Stati Uniti.
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«Potremmo chiamarlo il “regime sanzionatorio Navalny”», ha proposto l’Alto rappresentante degli Affari esteri dell’UE, Josep Borrell, durante una recente audizione al Parlamento Europeo. Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha auspicato l’approvazione di una legge del genere nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, una decina di giorni dopo che la sua introduzione era stata auspicata dagli editorialisti del Washington Post.
L’Unione Europea è storicamente molto attenta alle violazioni dei diritti umani compiute al suo interno e nei paesi con cui intrattiene relazioni diplomatiche e commerciali. Eppure fra gli strumenti legislativi a sua disposizione non ha ancora una legge simile al Magnitsky Act, e non è chiaro se le cose potranno cambiare a breve.
In passato l’Unione Europea ha emanato sanzioni, cioè nella maggior parte dei casi ha vietato di entrare nel territorio comunitario a persone legate a regimi responsabili di violazioni dei diritti umani come Iran, Cina e Venezuela, e congelato beni conservati in Europa. Il problema è che il normale regime sanzionatorio è ancora molto legato ai singoli paesi – prima si sceglie il paese da punire, e solo in un secondo momento le persone da sanzionare – e viene attivato soprattutto in situazioni che minacciano la sicurezza e la pace, più che durante palesi violazioni di diritti umani.
Il Magnitsky Act originale fu approvato dal governo statunitense proprio per creare un regime sanzionatorio più mirato ed efficace, che possa essere attivato su alcuni specifici individui per crimini circoscritti senza al contempo coinvolgere il loro stato di appartenenza (e quindi guastare i rapporti diplomatici fra i due paesi). La legge prende il nome da Sergei Magnitsky, un avvocato russo oppositore di Putin morto in carcere alla fine del 2009. Magnitsky era stato arrestato con l’accusa di frode fiscale, e rimase in carcere per più di un anno in attesa di essere processato: il 16 novembre morì in circostanze molto sospette: la versione più attendibile è che sia stato picchiato a morte, anche se ufficialmente le autorità russe parlarono di arresto cardiaco.
Inizialmente il Magnitsky Act colpì 13 fra funzionari e giudici russi, ma negli anni l’amministrazione statunitense l’ha attivato nei confronti di un ex presidente del Gambia, un trafficante d’armi serbo, e persino contro cittadini di paesi che ancora oggi sono stretti alleati degli Stati Uniti, come Israele e l’Arabia Saudita (a causa dell’omicidio del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi). «Non ci sono prove che queste misure abbiano inciso sulle relazioni di Washington con i paesi d’origine delle persone colpite», scrive il think tank del Parlamento Europeo.
La proposta di approvare un Magnitsky Act europeo fu avanzata nel 2018 dai Paesi Bassi, e secondo Euronews in questi anni è stata sostenuta soprattutto dai paesi del nord come Danimarca e Svezia, in cui l’elettorato è spesso più sensibile al tema dei diritti umani che altrove. Da allora ci sono state diverse novità: nel marzo del 2019 il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione e al Consiglio con una risoluzione approvata a larga maggioranza di istituire un nuovo regime sanzionatorio basato sulle violazioni dei diritti umani, simile al Magnitsky Act, e il think tank del Parlamento ha di fatto appoggiato la proposta, sottolineando la necessità di avere misure più mirate e decise in maniera più snella, senza passare per il lungo iter legislativo consueto.
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Al momento, infatti, le sanzioni applicate dall’Unione Europea vengono decise dal Consiglio, cioè l’organo dove sono rappresentati i governi dei 27 paesi: che peraltro le può approvare soltanto all’unanimità, cosa che concede ai singoli governi un enorme potere di veto (come in questi giorni ha dimostrato il caso di Cipro e la Bielorussia). Se poi un nuovo regime sanzionatorio basato sui diritti umani dovesse davvero entrare in vigore, l’Unione Europea dovrebbe aprire un altro fronte con la Cina, considerato uno dei paesi che meno rispetta le leggi internazionali sui diritti umani.
Per tutte queste ragioni non è chiaro se l’eventuale proposta della Commissione per una “legge Navalny” abbia qualche possibilità: per entrare in vigore dovrebbe passare dal Consiglio, e ricevere un’approvazione unanime.