I Mapuche vogliono un posto nella Costituzione cilena
Il Cile voterà presto per riscrivere la Carta che risale alla dittatura di Pinochet, e per il popolo indigeno più importante del paese è un'occasione storica
Il prossimo 25 ottobre in Cile si terrà il referendum indetto per modificare la Costituzione del paese, che è in vigore dal 1980 e fu redatta durante la dittatura di Augusto Pinochet. Il referendum costituzionale è una delle principali concessioni ottenute dai manifestanti antigovernativi cileni, che lo scorso autunno avevano iniziato a protestare per chiedere che tra le altre cose il governo affrontasse la questione delle disuguaglianze nel paese. Uno dei gruppi che spera di ottenere qualche vantaggio in più con una nuova Costituzione è quello della popolazione indigena dei Mapuche, che per decenni hanno cercato di ottenere il riconoscimento della loro cultura e il diritto di amministrare le loro terre ancestrali, e che però sono sempre stati repressi.
Al referendum potranno partecipare 14 milioni di elettori, che dovranno anche decidere chi sarà a riscrivere la Costituzione in caso di approvazione: se 155 persone scelte appositamente oppure un gruppo misto, che comprenderebbe anche parlamentari. Tra i punti che verranno affrontati dal governo in caso di approvazione delle modifiche alla Costituzione ci sono la questione di maggiori diritti sociali, politici ed economici per i cittadini, ma soprattutto il riconoscimento dei diritti anche ai popoli nativi che abitano in Cile: come ha spiegato Felipe Agüero, uno scienziato politico dell’Università del Cile, l’attuale Costituzione cilena non solo non riconosce i cittadini indigeni, ma non li nomina nemmeno.
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Secondo il censimento del 2017 circa il 13 per cento della popolazione totale del Cile – poco più di 18 milioni di abitanti – si identificava come indigena. I Mapuche sono il popolo indigeno più numeroso del Sud America e in totale sono circa due milioni: 205mila Mapuche vivono nella zona sudorientale dell’Argentina, mentre la maggior parte di loro abita nel centro e nel sud del Cile, in particolare nella regione dell’Araucanía. Secondo i Mapuche, la loro terra ancestrale viene sfruttata dalle industrie di popoli “forestieri” e il governo non fa nulla per proteggerla: anzi, ignora le loro richieste pacifiche e reprime in maniera autoritaria i pochi che hanno provato a farsi ascoltare in maniera più violenta. Proprio per via dei conflitti tra i colonizzatori spagnoli e i popoli indigeni prima, e con il governo adesso, tra le altre cose l’Araucanía è una delle regioni più povere del Cile.
Verónica Figueroa Huencho, ricercatrice Mapuche all’Università di Harvard, ha spiegato al New York Times che «il conflitto dei Mapuche sta diventando una pentola a pressione».
Le proteste e le rivendicazioni della popolazione indigena iniziarono a crescere in particolare dopo il novembre 2018, quando quattro ex poliziotti vennero arrestati per l’assassinio di Camilo Catrillanca, il nipote di un potente leader Mapuche. Dopo l’uccisione di Catrillanca in Cile si diffuse un sentimento di grande indignazione e sia a Santiago – la capitale del Cile – sia in altre città cilene, e anche al di fuori del paese, vennero organizzate manifestazioni in sostegno alla lotta dei Mapuche. Durante i cortei i manifestanti esibivano sia la bandiera Mapuche, sia cartelli col volto di Catrillanca.
Nell’ottobre 2019, poi, la bandiera dei Mapuche divenne il simbolo della lotta contro le disparità durante le proteste dei manifestanti antigovernativi che contestavano l’aumento del costo dei biglietti della metropolitana. Come aveva spiegato la giornalista Paulina Sepúlveda su La Tercera, uno dei principali quotidiani del Cile, si protestava non tanto per chiedere di non pagare pochi pesos in più, ma per «affrontare la disuguaglianza» intrinseca del paese. Più ampiamente, le proteste di fine 2019 avevano a che vedere con il grande scontento per le varie riforme del sistema didattico, fiscale e sanitario che negli anni erano state promesse e che però o non erano state realizzate o erano considerate insufficienti.
Dopo tre settimane di manifestazioni e scontri repressi con grande violenza, il presidente del Cile, Sebastián Piñera, accettò di avviare il processo per riscrivere la Costituzione e indisse quindi un referendum per il marzo 2020, poi posticipato al 25 ottobre per via della pandemia da coronavirus. Piñera, un conservatore, era già stato presidente dal 2010 al 2014 ed era stato eletto nuovamente nel marzo 2018.
Secondo un rapporto pubblicato nel 2017 dalla sezione cilena dello UNPD – il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – le grandi disuguaglianze della società cilena iniziarono durante l’epoca coloniale spagnola, quando ai discendenti «dei bianchi», cioè degli europei, vennero concessi più potere e diritti dei popoli indigeni. Le iniquità vennero perpetuate nel passaggio alla moderna economia di mercato e sono tuttora intrinseche nella società cilena.
Ancora oggi, ha raccontato al País il professore di Diritto alla Università del Cile Salvador Millaleo, che è Mapuche, i cileni sono abituati a pensare che le popolazioni indigene siano soltanto il 2-3 per cento perché vivono «in una società che ama pensare a se stessa come non indigena». Secondo Millaleo la violenza è una conseguenza dell’esclusione politica dei Mapuche e degli altri «popoli immaginari»: formalmente, sono cittadini, però «il modo in cui è stato costruito lo Stato determina che siano cittadini di seconda categoria e per essere pienamente cileni dovrebbero smettere di appartenere al loro popolo». Per Millaleo, quindi, si tratta di «un problema politico, di potere, tra la società cilena e il popolo Mapuche» e deve essere affrontato proprio in maniera politica.
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Secondo Millaleo, se il sistema politico cileno dice di voler fermare la violenza dovrà «iniziare un percorso verso una soluzione genuina», perché quello che è stato fatto finora l’ha soltanto fatta aumentare. Se la violenza ha avuto un effetto, però, è stato quello di far aumentare l’empatia dei cileni nei confronti delle altre etnie: per Millaleo, infatti, i manifestanti hanno potuto vivere in prima persona le aggressioni da parte delle forze dell’ordine, le violazioni dei diritti umani e la repressione ingiustificata che venivano da tempo denunciate dai Mapuche.
Una delle cose che teme chi si oppone alle modifiche della Costituzione è che siano a rischio l’integrità territoriale e l’unità del Cile. Ciò che viene chiesto, però, è riorganizzare e ridistribuire il potere includendo anche i popoli indigeni, e questo non significa affatto che si debbano separare dal paese, ha spiegato Millaleo. Se il referendum dovesse passare, sia secondo lui sia per altri analisti, sarebbe giusto che il Cile si definisse “stato multietnico”.
Stando ai sondaggi citati dai media locali, il referendum passerà senza problemi. Tuttavia, alcuni esponenti dei partiti che sostengono le modifiche alla Costituzione sarebbero preoccupati dall’eccessivo «rilassamento» a soli 40 giorni dalla votazione: in questo tempo potrebbero ancora cambiare molte cose e una vittoria con poco margine potrebbe oltretutto mettere di fronte ad altri problemi. Come ha scritto di recente La Tercera, inoltre, alcuni temono che si possa verificare un caso simile a quello della Colombia nel 2016, quando il referendum in favore degli accordi di pace con le FARC ottenne a sorpresa un 50,2 per cento di “No”.