11 giocatori in 1 miliardo e mezzo di persone
Come procede la gigantesca riforma del calcio con cui la Cina vuole creare una nazionale vincente e una vera industria sportiva nei prossimi trent'anni
Finora la Cina è rimasta di fatto esclusa dal calcio. Nonostante abbia oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti, la sua Nazionale maschile conta un solo Mondiale disputato: nel 2002, edizione in cui la sua presenza fu favorita dall’assenza di Giappone, Corea del Sud e Australia dalle qualificazione asiatiche. Oggi il suo livello si assesta attorno alla settantaseiesima posizione nel ranking FIFA, tra Bolivia e Uganda. Nel ranking femminile la posizione è migliore (quindicesima, dietro l’Italia), ma perché il movimento femminile è ancora giovane e presenta molte disparità. Le cose potrebbero cambiare presto, comunque: il calcio cinese ha obiettivi e ambizioni senza precedenti nella storia della disciplina.
Gli acquisti eclatanti e gli altissimi stipendi dei club cinesi, per i quali il calcio locale ha fatto parlare di sé negli ultimi anni, rappresentano solo una parte marginale di quello che il governo ha in programma nei prossimi trent’anni. Il presidente Xi Jinping ne ha parlato come «i tre sogni della Coppa del Mondo», ovvero ritornarci il prima possibile, ospitarne una edizione e arrivare a vincerla: una visione riassunta bene in questo spot di Nike (sponsor di tutte le squadre del campionato nazionale, la Super League). I piani della Cina sono scanditi in sintesi da due date, 2030 e 2050, entro le quali ambisce a diventare una delle migliori nazionali asiatiche e tra le più forti al mondo.
Per rispettare questi obiettivi il governo si sta preparando ad abbattere ostacoli culturali, demografici e infrastrutturali, gli stessi che finora hanno impedito la diffusione del calcio nel paese più popolato al mondo. Infatti, per gran parte del Novecento la pratica sportiva – generalmente considerata un intralcio allo studio e al lavoro – è stata pressoché assente dai programmi governativi, i quali determinano più di ogni altra cosa interessi e quotidianità della popolazione.
Dal 2016 il calcio è entrato nella cosiddetta “agenda del governo”, che ha iniziato introducendo la pratica calcistica nelle scuole e diffondendo la disciplina tramite la propaganda. A livello infrastrutturale, però, la situazione è molto più complessa. Il governo ha pianificato l’istituzione di circa 20.000 accademie e la costruzione di fino a 70.000 campi da gioco per poter ospitare inizialmente oltre 30 milioni di studenti divisi tra scuole primarie e secondarie. L’intenzione è costruire questi impianti il più vicino possibile ai centri abitati, cosa per nulla scontata per molte delle grandi e sovraffollate città del paese. È stata favorita quindi la costruzione di campi di piccole dimensioni, in materiale sintetico, a uso non esclusivo e aperti al pubblico.
A mancare, però, non sono soltanto le strutture. In un paese senza tradizione calcistica la carenza più grande riguarda arbitri e soprattutto allenatori. Per dirigere le partite di campionato vengono ancora chiamati arbitri stranieri, mentre per sopperire alla mancanza di allenatori di base vengono tuttora assunti professionisti europei, i quali negli ultimi quattro anni hanno aiutato a formare circa 38.000 preparatori per un totale di 60.000 qualificati. A livello giovanile la maggioranza dei professionisti contattati provengono dalla Germania, paese con cui la Cina ha stretto un accordo di collaborazione a lungo termine che prevede un continuo scambio di conoscenze. Secondo uno di questi preparatori, Marco Pezzaiuoli, allenatore delle giovanili del Guangzhou Evergrande, c’è ancora molto da fare: «Il calcio lotta ancora per ottenere un suo riconoscimento. Raramente per strada si vedono bambini che ci giocano. Vedi canestri da basket e tavoli da ping ping occupati dalla mattina alla sera, ma non campi da calcio. Il movimento però sta iniziando a svilupparsi».
Tra la Super League e la Nazionale, invece, gli italiani hanno avuto i ruoli più significativi. La Serie A è stato a lungo il campionato europeo più popolare in Cina e questo ha agevolato i rapporti tra i paesi. Nell’ultima stagione gli allenatori italiani sotto contratto erano Fabio Cannavaro, che ha vinto il campionato con il Guangzhou, e Roberto Donadoni. Prima di loro ci sono stati Fabio Capello, Alberto Zaccheroni, Marcello Lippi e Ciro Ferrara, oltre a una lunga lista di collaboratori. Lippi ha avuto il ruolo più importante: ha vinto tre campionati, la prima Champions League asiatica con una squadra cinese e ha allenato la nazionale per tre anni, oltre a ricoprire il ruolo di direttore tecnico. È stato tra i primi a introdurre metodi di lavoro di alto livello, trovandosi spesso a spiegare anche cose più ovvie, come in questa sua famosa conferenza stampa. Si è dimesso lo scorso novembre definendo “inammissibile” l’atteggiamento della squadra dopo una sconfitta contro la Siria.
Secondo il presidente federale Chen Xuyuan, per mettere in moto davvero la riforma servono altri 40.000 allenatori. Xuyuan è stato nominato a capo della federazione cinese (CFA) lo scorso anno. In precedenza è stato presidente della SIPG, l’autorità portuale di Shanghai, proprietaria di una delle squadre di club più forti della Super League. Ai livelli più alti del calcio professionistico, la riforma per ora ha favorito cambiamenti sotto l’aspetto burocratico.
Il cambiamento più significativo riguarda la stessa federazione, resa indipendente dall’autorità sportiva nazionale. È stata una decisione non di poco conto che il governo ha ritenuto necessario innanzitutto per allontanare ogni ipotesi di corruzione, dato che in passato furono proprio dei casi di combine a rovinare l’immagine del calcio locale. Un organo più indipendente dovrebbe semplificare la gestione e attirare altri investimenti privati.
«La Super League e le leghe minori del campionato si sono sviluppate rapidamente negli ultimi anni, ma il professionismo sta ancora vivendo una grossa crisi», ha detto Xuyuan poco dopo la sua elezione. «I nostri club riescono a malapena a sostenersi. I proprietari hanno investito molto ma guadagnano poco. Le squadre devono essere finanziariamente indipendenti, ma siamo ancora lontani».
Per raggiungere l’indipendenza finanziaria il calcio cinese dovrà diventare un’industria, ed è proprio questo a cui mirano i progetti del governo. Con lo sviluppo del calcio la Cina vuole istituire una vera industria sportiva – finora di poco conto e costituita perlopiù dagli sport individuali – per diversificare l’economia, creare consumi e nuovi posti di lavoro e infine ritagliarsi uno spazio nel calcio internazionale. Le potenzialità del mercato interno sono ancora sconfinate. Secondo un recente studio, nell’ultimo anno più di 300 milioni di cinesi hanno guardato il calcio almeno una volta alla settimana: di questi, 250 milioni lo descrivono come il loro sport preferito.
Ci vorranno ancora degli anni prima di vedere gli effetti degli investimenti. Nel frattempo, però, la Cina vuole tornare ai Mondiali il prima possibile e per questo ha studiato un piano a breve termine. Dopo aver inizialmente scartato la possibilità di naturalizzare calciatori stranieri, autorità e federazione hanno ammorbidito le loro posizioni per aiutare la scalata della Nazionale maschile. Un anno fa l’attaccante brasiliano Elkeson, in Cina da sette anni e fra i migliori marcatori del campionato, è diventato il primo calciatore senza origini cinesi a essere convocato in nazionale. È stato naturalizzato con il nome cinese di Ai Kesen.
Nel frattempo le squadre di club stanno continuando a naturalizzare gli stranieri, soprattutto brasiliani poco conosciuti altrove ma in grado di fare la differenza nel calcio asiatico. Il flusso di stranieri in arrivo in Super League rimane costante, anche se i grandi ingaggi sono diventati più rari con l’introduzione di un tetto salariale. Le regole del campionato, inoltre, vietano la registrazione di più di quattro giocatori stranieri e un massimo di tre in campo per ogni squadra, mentre i portieri possono essere solo di nazionalità cinese. Gli stranieri più noti tuttora in Cina sono i brasiliani Oscar, Paulinho e Hulk, l’italiano Stephan El Shaarawy e l’austriaco Marko Arnautovic, che con un costo di 25 milioni di euro è stato l’ultimo acquisto più costoso dello Shanghai SIPG.
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