Breve guida alle prossime regionali

Le cose principali da sapere prima del voto di domenica: i principali candidati e i sondaggi

(Giulia Molinari/LaPresse)
(Giulia Molinari/LaPresse)

Il 20 e 21 settembre, domenica e lunedì, ci saranno le elezioni amministrative in oltre mille comuni. Si voterà anche per un referendum costituzionale sulla riduzione di un terzo del numero dei parlamentari di Camera e Senato e, in sette regioni, per il rinnovo dei presidenti e delle giunte regionali: in Toscana, Puglia, Marche, Campania, Veneto, Liguria e Valle d’Aosta.

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In generale
Nelle sei regioni a statuto ordinario il nuovo presidente si elegge direttamente: si vota in un turno unico in tutte le regioni, a eccezione della Toscana dove è previsto il ballottaggio nel caso nessuno al primo turno raggiunga il 40 per cento dei voti. In Valle d’Aosta il presidente non è invece eletto dai cittadini ma scelto all’interno del nuovo Consiglio regionale.

Nelle sei regioni a statuto ordinario, sulle schede elettorali ci saranno i nomi dei candidati e, accanto, i simboli delle liste che li sostengono. Con la legge 20 del 2016, il governo nazionale ha introdotto l’obbligo per le leggi elettorali regionali di prevedere un’alternanza di genere nei candidati al Consiglio: è consentito esprimere due preferenze purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Alcune regioni prevedevano già questo sistema, altre no e si sono adeguate (la Liguria, tra quelle che andranno al voto in settembre), e altre ancora devono ancora farlo.

In Puglia, infatti, il consiglio regionale non era riuscito ad approvare la modifica alla legge elettorale che rispettasse le leggi sulla parità di genere ed era dunque intervenuto il governo, introducendola per decreto. Anche in Puglia, dunque, si potranno esprimere due preferenze, secondo quanto indicato dalla normativa nazionale. Votando solo per una lista si dà il voto anche al candidato presidente collegato alla lista. In Campania, Liguria, Puglia, Veneto e Toscana (non nelle Marche) si può anche esprimere il voto disgiunto, cioè votare una lista e contemporaneamente il candidato presidente di un’altra coalizione.

Come ha riassunto qualche giorno fa il Corriere della Sera, delle sei regioni a statuto ordinario che vanno al voto, «tre non hanno conosciuto l’alternanza tra centrodestra e centrosinistra: Veneto (centrodestra), Toscana e Marche (centrosinistra). Oggi 13 regioni sono amministrate dal centrodestra, 6 dal centrosinistra e 2 (Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) da partiti regionalisti».

Toscana
Quelle toscane sono forse le elezioni più raccontate. La regione, considerata insieme all’Emilia-Romagna una “roccaforte” della sinistra, viene ora descritta come “contendibile” e i sondaggi sembrano confermarlo. Il presidente uscente è Enrico Rossi i cui ultimi anni, nel centrosinistra, sono stati politicamente turbolenti: Rossi era stato eletto due volte col PD, nel 2010 e nel 2015, nel 2017 aveva lasciato il partito e poi, nel giugno del 2019, ha ripreso la tessera.

I candidati a presidente sono sette: ciascuno, eccetto i due principali, è sostenuto da una sola lista. Il centrosinistra presenta Eugenio Giani del PD, sostenuto anche da Italia Viva, +Europa, Orgoglio Toscana, Europa Verde, Sinistra Civica Ecologista e Svolta. Ci sono delle divisioni interne alla coalizione, soprattutto su alcuni temi: la lista più di sinistra, Sinistra Civica Ecologista, per esempio ha mantenuto un’autonomia programmatica. Il centrodestra sostiene in modo compatto Susanna Ceccardi, della Lega, prima sindaca leghista della Toscana: nel 2016 fu eletta a Cascina, in provincia di Pisa dove fino a quel momento c’erano stati soltanto sindaci del PDS, dei DS e del PD. Da Cascina, Ceccardi ha guadagnato molto spazio nel partito a livello sia regionale che nazionale, ed è considerata molto vicina a Matteo Salvini. I sondaggi dicono che Giani e Ceccardi sono molto vicini nei loro consensi, mentre tra le liste quella del Partito Democratico risulta oggi in vantaggio.

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La Toscana è l’unica regione in Italia che prevede la possibilità del ballottaggio nelle consultazioni regionali. La legge regionale del 2014 (il cosiddetto “toscanellum”), oltre alla possibilità di esprimere un voto disgiunto, stabilisce l’ipotesi di doppio turno tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti senza raggiungere il 40 per cento. In questo caso, i due candidati più votati andranno al ballottaggio il 4 e 5 ottobre.

Puglia
La Puglia è amministrata dal centrosinistra dall’aprile del 2005, quando fu eletto per la prima volta Nichi Vendola. I candidati alla presidenza sono otto. Il candidato del centrosinistra, il presidente uscente del PD Michele Emiliano, aveva cercato di allargare la coalizione – già oggi molto ampia: va dalla lista dei Pensionati a quelle di ispirazione comunista – anche a parte del Movimento 5 Stelle, senza riuscirci. La candidata del Movimento 5 Stelle in Puglia è dunque rimasta, come nel 2015, Antonella Laricchia, capogruppo del Movimento in consiglio regionale.

Nei sondaggi Emiliano risulta il candidato più conosciuto e gradito, e la coalizione che lo sostiene è data più o meno alla pari con quella del candidato del centrodestra Raffaele Fitto, sostenuto da Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, i leader di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Fitto è stato deputato, ministro per gli Affari regionali, eurodeputato, ma anche presidente della Puglia dal 2000 al 2005. L’elettorato del Movimento 5 Stelle – che nei sondaggi è tra l’11 e il 14 per cento e ha scarse possibilità di vincere da solo – potrebbe dunque essere determinante nell’esito del voto. Ivan Scalfarotto, candidato sostenuto da Italia Viva, Azione (il partito fondato da Carlo Calenda) e +Europa, è dato tra il 4 e il 6 per cento.

Marche
Il presidente uscente Luca Ceriscioli – che dopo aver vinto le primarie del Partito Democratico nel 2015 era stato eletto con poco più del 40 per cento dei voti – ha deciso di non ripresentarsi per un secondo mandato. Tra gli otto candidati, quelli più accreditati in termini di consensi sono Maurizio Mangialardi, per la coalizione di centrosinistra in cui è presente anche Italia Viva, e Francesco Acquaroli, per il centrodestra.

Mangialardi è stato prima consigliere, poi assessore e infine due volte sindaco di Senigallia. È presidente dell’Anci regionale ed è stato rinviato a giudizio lo scorso dicembre per l’alluvione del 2014. Francesco Acquaroli è un deputato di Fratelli d’Italia, ex sindaco di Potenza Picena. Il Movimento 5 Stelle sostiene Gian Mario Mercorelli, dal 2012 consigliere comunale a Tolentino. Nelle Marche i sondaggi sembrano favorire il centrodestra: per l’istituto SWG, Acquaroli è al 51 per cento e Mangialardi al 37.

Campania
Il presidente della Campania è Vincenzo De Luca (PD) che si ripresenta per il centrosinistra in una coalizione con 15 liste, dopo un tentativo di alleanza, non riuscito, con il Movimento 5 Stelle sulla candidatura del ministro Sergio Costa. Per il centrodestra (6 liste) c’è Stefano Caldoro, ex viceministro all’Istruzione ed ex ministro per l’Attuazione del programma con Silvio Berlusconi: è stato indicato da Forza Italia, con qualche malumore tra gli alleati. È la terza volta che De Luca e Caldoro si sfidano alle regionali. Finora hanno vinto entrambi una volta (Caldoro nel 2010, De Luca nel 2015).

Per il M5S si presenta Valeria Ciarambino: è stata eletta come consigliera regionale nel 2015 ed è considerata molto vicina a Luigi Di Maio. In totale i candidati alla presidenza sono sette, compreso Giuliano Granato per Potere al Popolo. Il sondaggio realizzato a fine agosto da Winpoll-Cise per il Sole24Ore dice che Vincenzo De Luca è nettamente in vantaggio su Stefano Caldoro (58 per cento contro il 29 per cento circa), mentre la candidata del M5S non arriverebbe al 10 per cento.

Valle d’Aosta
In Valle d’Aosta, che ha 100mila elettori ed è la più piccola regione italiana, le elezioni sono anticipate, dopo le dimissioni del presidente Antonio Fosson, eletto nel 2018 al posto della leghista Nicoletta Spelgatti, sfiduciata dal Consiglio regionale. Fosson si era dimesso a dicembre del 2019 perché indagato per scambio elettorale politico-mafioso nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Torino sul ruolo avuto dalla ‘ndrangheta nelle elezioni regionali 2018.

La Valle d’Aosta ha un particolare sistema elettorale che non prevede l’elezione diretta del presidente di regione, come avviene in quasi tutte le altre regioni italiane. I 35 membri del consiglio regionale vengono eletti con un sistema proporzionale, e solo in un secondo momento eleggono il presidente. È previsto un premio di maggioranza: la lista che riesce a superare il 42 per cento dei voti ottiene un minimo di 21 seggi: nel 2018 nessuna forza politica ci era andata lontanamente vicino.

Le liste che sono state depositate per le prossime votazioni sono dodici e i candidati al consiglio più di 350. Il centrodestra si presenta diviso: la Lega parteciperà da sola, dato il buon risultato ottenuto alle scorse elezioni (17 per cento, secondo partito della regione), mentre Forza Italia e Fratelli d’Italia si presentano con una lista unica. Nel 2018 sia il PD (che ora si presenta insieme ad altri con la lista Progetto Civico Progressista) che Forza Italia erano rimasti fuori dal consiglio regionale.

Liguria
La Liguria è l’unica regione dove la maggioranza attualmente al governo si presenta unita a sostegno di Ferruccio Sansa, candidato del PD e del Movimento 5 Stelle: è un giornalista ed è alla prima esperienza politica, come Aristide Massardo, ex preside di Ingegneria all’Università di Genova, sostenuto da Italia Viva insieme a +Europa e al Partito Socialista Italiano. Il centrodestra ha invece candidato il presidente uscente Giovanni Toti, che nel 2015 vinse con il 34 per cento circa contro la candidata del centrosinistra Raffaella Paita. Toti ha ottenuto il sostegno sia della Lega che di Forza Italia: nel 2019 Toti era stato nominato coordinatore nazionale del partito guidato da Berlusconi, ma poi ne aveva fondato uno suo.

Nei sondaggi Toti risulta in vantaggio di oltre venti punti su Sansa, la cui campagna elettorale è iniziata con ritardo rispetto a quella di altri, a causa delle lunghe trattative tra PD e M5S. Massardo è fra il 3 e il 5 per cento. La Lega risulterebbe la prima forza politica in regione seguita dal PD.

Veneto
In Veneto il leghista Luca Zaia si presenterà per un terzo mandato con una propria lista, diversa da quella della Lega con cui comunque è alleato: era stato eletto una prima volta nel 2010 e poi una seconda nel 2015. Stando ai sondaggi, che lo danno largamente favorito, quasi sicuramente sarà eletto anche questa volta. La popolarità di Zaia è aumentata molto durante l’emergenza coronavirus, quando si è mosso in modo autonomo e differente rispetto alle posizioni del suo stesso segretario. Va comunque tenuto presente che, nonostante una breve esperienza negli anni Novanta, in Veneto ha sempre amministrato il centrodestra. Per il PD c’è Arturo Lorenzoni: ingegnere, professore universitario, vicesindaco di Padova da tre anni. Il M5S sostiene Enrico Cappelletti, eletto al Senato nel 2013 dove si è occupato soprattutto di giustizia. Per Italia Viva si presenta Daniela Sbrollini, eletta dal 2008 e per due volte alla Camera col PD, dal 2018 senatrice di Italia Viva.

La rielezione di Zaia, considerata scontata, potrebbe non rappresentare una piena vittoria per Salvini. Zaia è considerato un “rivale” interno di Salvini e la sua lista personale, dicono i giornali locali, è data intorno al 40 per cento mentre quella della Lega si fermerebbe tra il 10 e il 15, complice il mancato raggiungimento dell’autonomia regionale con la Lega al governo che il presidente veneto continua a mettere al centro dei suoi programmi.