I problemi dell’isola creata per evitare problemi
Hulhumalé è un'isola artificiale costruita per fare spazio agli abitanti delle Maldive, ma il grandioso progetto sta mostrando alcuni notevoli limiti
È noto da tempo che le Maldive rischino di essere sommerse dall’acqua e scomparire entro il 2100 per effetto dei cambiamenti climatici, ma si è parlato meno degli interventi per trovare soluzioni. Uno dei progetti più ambiziosi è la costruzione dell’isola artificiale di Hulhumalé, che si trova a pochi chilometri a nord di Malé, la capitale delle Maldive, realizzata per ospitare le persone che oggi vivono in aree densamente popolate o che potrebbero non avere più una casa in futuro. Hulhumalé è stata nominata la «Città della speranza», ma nonostante l’ambizioso progetto di geo-ingegneria restano ancora diverse questioni difficili da risolvere.
I lavori per la realizzazione di Hulhumalé iniziarono nel 1997. Nella prima fase della costruzione, che si concluse nel 2002, vennero pompati diversi milioni di metri cubi di sabbia dai fondali oceanici attorno alle isole preesistenti, per creare la “base” dell’isola. Hulhumalé, che occupa una superficie di circa 4 chilometri quadrati, si trova a più di 2 metri sopra il livello del mare; venne inaugurata nel 2004, quando arrivarono i primi mille abitanti, e a oggi la realizzazione delle infrastrutture è in fase di completamento.
Le Maldive sono da sempre considerate uno dei posti di vacanza più costosi al mondo; si trovano nell’oceano Indiano, circa 1.000 chilometri a sud-ovest dello Sri Lanka, e sono formate da più di mille isole. Tra i principali problemi dell’arcipelago, oltre alla minaccia ambientale e alla mancanza di lavoro – la maggior parte della popolazione vive di pesca e agricoltura e secondo un rapporto della World Bank la disoccupazione giovanile è al 15 per cento – c’è la densità abitativa: circa 130mila degli abitanti di Malé, che è una delle città più densamente popolate del mondo, vivono in circa un miglio quadrato (pressappoco 2,5 chilometri quadrati).
Per risolvere almeno in parte il problema abitativo di Malé, il governo maldiviano ebbe l’idea di realizzare un’isola artificiale non distante dai servizi che già c’erano, come l’aeroporto, ma sufficientemente grande sia per sviluppare infrastrutture e creare posti di lavoro, sia per dare alloggio agli abitanti delle isole che rischiano per prime di essere sommerse. La consapevolezza dell’emergenza crebbe in particolare dopo lo tsunami del dicembre 2004, che uccise almeno 230mila persone in diverse aree dell’oceano Indiano e spinse il governo a studiare un piano per aumentare la resistenza delle isole agli eventi climatici. Come aveva detto nel 2010 l’allora vicepresidente, Mohammed Waheed Hassan, le Maldive sono «uno dei paesi più vulnerabili del mondo», e pertanto devono «adattarsi».
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Areen Ahmed, responsabile dello sviluppo del progetto curato dalla società Housing Development Corporation, ha spiegato che i progetti per la realizzazione di Hulhumalé seguono criteri di sviluppo urbano sostenibile. Per esempio, oltre un terzo dell’energia elettrica è ricavata da pannelli solari e sono stati realizzati impianti per la conservazione dell’acqua piovana. Nell’idea del governo maldiviano, Hulhumalé rappresenta la tenacia delle Maldive e un’ulteriore apertura verso la crescita del turismo per favorire lo sviluppo di tutto il paese, tuttavia la realizzazione dell’isola artificiale ha messo di fronte anche a delicate situazioni ambientali.
Come ha osservato Holly East, ricercatrice del dipartimento di Geografia e Scienze ambientali della Northumbria University (Inghilterra) ed esperta nello studio della barriera corallina maldiviana, il movimento della terra per la realizzazione dell’isola «non soltanto può distruggere i coralli, ma anche creare creste di sedimenti che danneggiano altri coralli, impedendo alla luce di filtrare e compromettendo la loro capacità di nutrirsi, crescere e riprodursi». Alcuni coralli sono anche stati “traslocati”, ma ci vorrà molto tempo prima che si adattino a un nuovo ecosistema – se mai vi si adatteranno.
Un’altra questione cruciale è quella dei rifiuti: sia quelli che derivano dalla costruzione dell’isola, sia quelli prodotti dagli abitanti. Per far fronte a questo problema, ha spiegato la consulente ambientale Kate Philpot, è stata costruita un’ulteriore isola artificiale, Thilafushi. Siccome attualmente Hulhumalé ha oltre 50mila abitanti e il progetto prevede che nei prossimi anni la popolazione raggiungerà le 240mila persone, la situazione dello smaltimento dei rifiuti potrebbe diventare un’emergenza.
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Ahmed ha spiegato che per la realizzazione dell’isola sono state messe in atto «tutte le misure per ridurre al minimo l’impatto della costruzione sull’ambiente circostante» e ha chiarito che tutte le attività vengono monitorate dall’Agenzia di protezione ambientale delle Maldive. Ha aggiunto anche che per la realizzazione di Hulhumalé si è prestata «scrupolosa attenzione ai cambiamenti climatici» sia a livello architettonico che demografico, raccontando che il progetto ha dato spazio ad aree verdi e i servizi come scuole e moschee sono facilmente raggiungibili a piedi da ogni parte dell’isola, per scoraggiare l’uso delle automobili.
Nonostante ciò, la preoccupazione per il futuro delle Maldive rimane. Non è la prima volta che alcuni paesi sperimentano la realizzazione di isole artificiali: lo avevano fatto per scopi diversi sia Dubai sia la Cina, e lo sta facendo anche la Danimarca. Tuttavia, per via dei problemi ambientali che ha posto la realizzazione di Hulhumalé e del rischio che anche quest’isola possa subire danni e allagamenti in futuro – oltre alla questione della costruzione di un’isola artificiale in sé – alcuni ritengono che il progetto di Hulhumalé dopotutto non sia poi così sostenibile.
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