Questo partito di Carlo Calenda
Lui lo conosciamo, mentre di Azione si sa poco: a quasi un anno dalla sua nascita abbiamo cercato di capire che cosa sia
Carlo Calenda, 47 anni, europarlamentare ed ex ministro dello Sviluppo economico, è tra i politici più in vista d’Italia: compare molto nei talk show e i giornali parlano spesso di lui a causa della sua intensa attività su Twitter, attraverso la quale risponde in modo diretto e informale a utenti e giornalisti, aprendo dibattiti su varie questioni di attualità. L’attenzione che giornali e televisioni dedicano a Calenda è nata nel 2017, quando era ministro nel governo Gentiloni, ed è cresciuta dopo le elezioni del 2018, quando si iscrisse al Partito Democratico poco dopo la brutta sconfitta alle elezioni politiche.
Lo spazio mediatico che Calenda occupa non è però paragonabile a quello del partito che ha fondato a novembre del 2019, dopo la sua rottura con il PD dovuta all’accordo di governo con il Movimento 5 Stelle. Il partito si chiama Azione e si sa poco di cosa sia e come si stia organizzando, a quasi un anno dalla sua fondazione: nel dibattito politico viene percepito da molti come un omologo di Italia Viva di Matteo Renzi, vale a dire un partito di centro con tratti liberali. I due partiti si somigliano anche per il peso che viene dato loro nei sondaggi nazionali, circa il 3 per cento.
Ma se Italia Viva è un partito già strutturato (ha un’assemblea nazionale, una dirigenza con ruoli definiti e una rete territoriale ben avviata), Azione è in una fase più embrionale. Il primo congresso, il momento in cui di solito un partito politico decide in maniera collegiale quale indirizzo darsi, è in programma per la fine dell’anno e per il momento non c’è una dirigenza, fatta eccezione per i due principali e noti esponenti, Calenda stesso e Matteo Richetti.
Fondazione e struttura
La formazione di un nuovo partito fu annunciata da Calenda il 21 novembre 2019, in opposizione alla decisione del PD di allearsi con il M5S. Per dirla con le parole di Calenda, Azione dovrebbe costituire il pilastro di «un grande Fronte Repubblicano e Democratico capace di ricacciare populisti e sovranisti ai margini del sistema politico».
Le radici culturali del partito sono il liberalismo (quello dell’antico Partito d’Azione da cui prende in prestito il nome) e il popolarismo di don Luigi Sturzo, cioè quella dottrina centrista che fu alla base della Democrazia Cristiana, tra le altre cose. Pur favorevole a un’economia di mercato e a politiche che valorizzino e tutelino l’impresa, nelle intenzioni del suo fondatore Azione dovrebbe avere un’attenzione particolare per le classi sociali svantaggiate.
Per esempio, Azione ha elaborato un piano dettagliato a sostegno della sanità pubblica, di cui Calenda è un grande sostenitore (l’ha definita «la più grande conquista» degli ultimi secoli). Il piano è stato messo a punto dal consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi, sulla base del fatto che la sanità italiana non è più sostenibile a causa della mancanza di risorse e del progressivo invecchiamento della popolazione. Si articola in 10 punti e prevede lo stanziamento di 13 miliardi in 5 anni per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) da usare per finanziare 13mila borse di specializzazione medica, per l’assunzione di nuovi infermieri, per migliorare le strutture sanitarie e per incentivare la digitalizzazione del sistema. «Non bisogna demonizzare il “privato”», ha detto Ricciardi presentando il piano alla fine dello scorso anno. «Però ci deve essere un “pubblico” forte che regola e protegge i cittadini».
Attualmente, Azione è costituito dal Comitato promotore, dai Gruppi d’Azione e da uno staff a supporto del partito. Lo staff si occupa di coordinare e rielaborare le proposte locali in un’ottica nazionale. Il Comitato promotore è composto da 43 membri tra i primi sostenitori di Azione, ed è una sorta di Direzione nazionale: per intenderci, nel PD, la Direzione è quell’organo che si riunisce a cadenza più o meno regolare per discutere e prendere decisioni su questioni politiche rilevanti, e ne fanno parte parlamentari, ministri e altri esponenti politici di rilievo, nominati dall’Assemblea nazionale: anche Calenda era membro della Direzione del PD prima delle sue dimissioni, un anno fa.
Oltre a Calenda e al senatore ex PD Matteo Richetti, fanno parte del Comitato promotore di Azione anche l’ex deputato di Forza Italia Enrico Costa, il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi, l’ex Capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare Vincenzo Camporini e l’industriale Luciano Cimmino, proprietario della società che controlla i marchi Yamamay e Carpisa.
I Gruppi sono invece gli avamposti territoriali del partito, quelli che in Italia Viva si chiamano comitati e nel PD circoli. Ne esistono di due tipi: i Gruppi territoriali, che si occupano delle comunità locali, e i Gruppi tematici, che si occupano invece di un’area di competenza specifica – sanità, istruzione, giustizia – ma che fanno comunque riferimento a una città: per esempio a Roma ci sono Gruppi che si occupano di innovazione, di tutela dell’ambiente e di politiche sociali.
Visto che un evento nazionale per indirizzare il partito ancora non c’è stato, l’assetto di Azione appare fluido e in via di formazione. Non ci sono ancora segretari e presidenti e non sono stati incaricati ufficialmente i responsabili provinciali e regionali: sono ruoli che dovrebbero essere istituiti al congresso di fine anno. Nel frattempo i Gruppi vengono gestiti da un referente volontario, e da un coordinamento provinciale o regionale (nei casi in cui si sono formati spontaneamente). Gli iscritti totali sono circa 17mila, ha fatto sapere il partito al Post, ma come vedremo solo una parte viene coinvolta nelle iniziative locali del partito.
A Bologna
Domenico Papaleo ha 43 anni ed è referente del Gruppo Bologna Est, che copre tre dei sei quartieri della città. Prima della pandemia da coronavirus gestiva un appartamento per turisti che dava in affitto tramite Airbnb, poi durante il lockdown ha dovuto chiudere l’attività. Nel frattempo si è offerto per fare il referente del Gruppo dopo la sua nascita lo scorso febbraio. «Il compito del referente è quello di fare da connettore tra gli iscritti e il partito, nulla di più e nulla di meno», ha spiegato Papaleo al Post. «Deve mettere in contatto le persone e tirare fuori idee per costruire qualche iniziativa locale».
Papaleo è stato per anni iscritto al Partito Democratico, per il quale è stato responsabile provinciale per il turismo. Ma non è raro, tra i nuovi iscritti ad Azione, trovare persone che con la politica non hanno mai avuto molto a che fare: «Nel nostro Gruppo siamo una quarantina di membri attivi, e c’è gente di tutte le età e di tutti gli orientamenti politici. Nell’intera provincia di Bologna ci sono circa un migliaio di iscritti “dormienti”: speriamo di coinvolgerli di più nei prossimi giorni facendo campagna per il referendum e per le elezioni comunali».
Gli iscritti “dormienti” a cui si riferisce Papaleo sono quelli che hanno pagato la quota ma che non fanno parte di nessun Gruppo. L’iscrizione non è subordinata all’adesione al Gruppo della propria città o del proprio quartiere, come avviene nel Partito Democratico con i circoli territoriali. Azione ha un approccio al coinvolgimento degli iscritti che Papaleo ha definito «laico»: partecipa alla vita di partito solo chi contatta spontaneamente il referente di un Gruppo, cosa che avviene anche in un altro partito fondato nell’ultimo anno, cioè Italia Viva.
Tanto i Gruppi territoriali quanto quelli tematici sono nati soprattutto grazie a iniziative autonome: è per questo che in molti comuni di media grandezza ancora non ci sono Gruppi. Per fondarne uno basta essere iscritto ad Azione (la quota è di 10 euro) e «avere quattro amici». Papaleo ha spiegato al Post che il Comitato promotore – in cui ci sono membri con deleghe su specifiche regioni – si mette in contatto con un Gruppo nuovo quando viene aperto, così da monitorare la situazione. L’idea, però, è rendere in futuro la procedura più semplice possibile, senza troppi ostacoli.
Secondo Papaleo la mancanza di una struttura rigida serve a evitare «derive organizzative», per trovare la forma più giusta poi al congresso: «Azione non vuole essere un partito “piramidale”, con una struttura verticale, vuole che l’iniziativa parta dal basso e credo che in questa fase pre-congressuale non dobbiamo rinchiuderci troppo». Anche volendo evitare di darsi una struttura rigida, però, i referenti dei Gruppi bolognesi si sono spontaneamente coordinati creando una sorta di segreteria provinciale: si riuniscono una volta a settimana e sono circa una decina, compreso Papaleo. A fare da coordinatrice regionale è invece la consigliera dell’Emilia-Romagna Giulia Pigoni.
In Lombardia
Mariasole Mascia fa l’avvocato e ha un’esperienza politica quasi decennale nella sua città, Vimercate, in provincia di Monza e Brianza. Ha iniziato come consigliera comunale del PD, con cui è stata anche assessora tra il 2013 e il 2016, e ora è tra i coordinatori regionali di Azione in Lombardia. In questo caso, lei e altri iscritti hanno deciso autonomamente di darsi una struttura più tradizionale: c’è una specie di segreteria regionale, di cui Mascia fa parte insieme ad altri sei membri, e c’è quello che loro chiamano “direttivo” con i referenti di vari Gruppi provinciali.
Mascia ha confermato al Post che l’unica indicazione arrivata dall’alto è quella di creare due tipi di Gruppi, uno territoriale e uno tematico. Per il resto sono liberi di organizzarsi liberamente. «C’è una persona dello staff nazionale che si occupa nello specifico della Lombardia», ha raccontato Mascia. «Ma ci aiuta soprattutto nella parte legislativa e in quella dell’organizzazione di eventi, per esempio gli incontri in cui Calenda ha presentato il suo libro. Quando abbiamo una proposta ne parliamo per condividerla».
In Lombardia ci sono circa 5mila iscritti, a Milano 1.300. La pandemia ha impedito di organizzare eventi, ma come Papaleo anche Giancarlo Pignone spera che nelle prossime settimane ci si possa far vedere di più sul territorio. Pignone è dirigente del gruppo Fantinato, che gestisce diversi supermercati a marchio Carrefour in Lombardia, ed è membro del Comitato promotore di Azione e coordinatore regionale insieme a Mascia. Fino a settembre dello scorso anno era membro della Direzione regionale del PD e ha un passato di consulenze in vari ambienti della politica locale. «A livello regionale stiamo lavorando per rendere più salda la rete territoriale», ha detto Pignone al Post. «Ci stiamo attivando per essere nelle piazze con i banchetti e iniziare una campagna di tesseramento. Intanto io, insieme a Mariasole Mascia e al consigliere regionale Niccolò Carretta coordiniamo e sosteniamo tutte le attività dei Gruppi, cercando di coinvolgere nuove forze e nuove energie».
Nel Lazio
A Roma c’è un Gruppo territoriale per ognuno dei quindici municipi della città. A coordinare la loro attività e quella dei dodici Gruppi tematici è Flavia De Gregorio, consigliera nel municipio I, corrispondente al centro storico. De Gregorio ha 31 anni e fa parte sia del Comitato promotore che dello staff del partito. Per coordinare l’attività dei Gruppi, ha detto al Post, è stata istituita una «cabina di regia» e ha contatti quotidiani con i vari referenti.
Gli iscritti ad Azione, a Roma, sono circa 3mila e costituiscono la stragrande maggioranza degli iscritti del Lazio. A differenza delle altre regioni, nel Lazio non si sono formati coordinamenti provinciali: secondo De Gregorio l’attività politica della capitale spesso «si mangia» la provincia, e quindi è stato deciso di lasciare autonomia alle formazioni al di fuori dei confini di Roma.
Lo staff si occupa anche di ricevere le idee e le proposte di tutti i Gruppi del paese: c’è una chat Telegram in cui sono presenti tutti i referenti di tutti i Gruppi, più di 400. Dai referenti arrivano le proposte sui temi che hanno rilevanza locale, e lo staff – che in parte proviene dalle precedenti esperienze politiche di Calenda – le gira verso le competenze dei Gruppi tematici, ne studia la fattibilità e le rielabora, per poi rimandarle ai Gruppi territoriali.
Un partito antipopulista ma “personale”
«Siamo di destra per l’iniziativa privata e di sinistra per la scuola e la sanità pubbliche». Quasi un anno fa Calenda ha risposto così a chi gli chiedeva come si posizionasse il suo partito, aggiungendo di voler creare un fronte «antipopulista e antisovranista». Oggi non ci sono molti altri elementi per inquadrare il partito: visto il peso che ha il suo fondatore nel decidere l’indirizzo nazionale e la sostanziale mancanza di una struttura, Azione appare oggi come un “partito personale” al pari di Forza Italia e Italia Viva. Uno dei pochi partiti a dichiararsi contro il populismo, quindi, sembra sostenersi su uno dei meccanismi più basilari del populismo stesso, cioè il rapporto diretto tra potenziali elettori e un leader carismatico.
Secondo Paolo Carusi, che insegna Storia dei partiti politici all’università di Roma Tre, non c’è da stupirsi che un partito come Azione si sostenga su un leader noto e riconoscibile. «Dopo la caduta del muro di Berlino sono venute meno tutte le culture politiche di cui i principali partiti erano rappresentanti», ha spiegato Carusi. «L’antifascismo, il socialismo, il cristianesimo democratico e il comunismo si sono progressivamente svuotati di significato, però nessuna nuova cultura è nata per sostituire le vecchie. Se oggi vuoi fondare un partito, qual è l’unico riferimento in cui puoi sperare che gli elettori si riconoscano?».
Azione cita il liberalismo e il popolarismo nel proprio manifesto, ma quanti elettori userebbero queste due categorie per identificare il partito – appunto – di Carlo Calenda?
È un tratto comune più o meno a tutti i partiti contemporanei: persino la Lega è nota e riconoscibile soprattutto per il suo ingombrante leader – Matteo Salvini – e per l’approccio netto che ha verso alcuni temi, piuttosto che per una sua ideologia dominante, nonostante sia oggi la formazione politica più antica che c’è in parlamento. L’unica battaglia veramente ideologica che c’è stata negli ultimi anni, secondo Carusi, è quella tra europeisti ed euroscettici: ma chi si è dichiarato esplicitamente europeista, come +Europa e in parte il Partito Democratico, non ne ha tratto un gran vantaggio elettorale. Calenda stesso, che prima di fondare Azione aveva creato una specie di manifesto per una lista unica europea, ha ridimensionato molto lo spazio dedicato all’europeismo nel suo nuovo partito.
«La conseguenza dell’assenza di culture politiche e del successo dei partiti personali è che i nuovi partiti non danno un grande spazio alla democrazia interna», ha detto Carusi al Post. «In un partito “personale” non ci si sognerebbe mai di votare diversamente dalle indicazioni che arrivano dalla dirigenza del partito, mentre nei vecchi partiti era una cosa piuttosto frequente».