In Giappone i tifosi sono tornati allo stadio, ma in silenzio
C'è un divieto di cori e urla, per evitare di diffondere i droplet: è un po' surreale, ma secondo tutti è meglio di niente
In Giappone i tifosi sono ritornati negli stadi di calcio fin da luglio: con le mascherine, seduti a diversi posti di distanza l’uno dall’altro, e soprattutto in silenzio. Una delle misure di sicurezza decise per prevenire eventuali contagi da coronavirus durante gli eventi sportivi è stata infatti proibire i cori, per la preoccupazione che cantando i tifosi possano spargere nell’aria droplet e aerosol contenenti il virus. Il risultato è surreale, e più simile al teatro che allo sport a cui siamo abituati. Come ha raccontato sul New York Times la giornalista Motoko Rich, durante una partita allo stadio si sente il rumore del sacchetto delle patatine mangiate da uno seduto quattro file più avanti.
A chi non conosce il calcio asiatico, la richiesta di non intonare cori potrebbe sembrare una rinuncia da poco per i tifosi giapponesi. Ma in realtà la J1 League, il più importante campionato di calcio del paese, conta diverse tifoserie assai organizzate e rumorose, quando si tratta di cori, che sono spesso originali ed eseguiti con grande coordinazione, potenza e precisione per tutta la durata della partita. Metterli a tacere è stato un compromesso necessario per tornare a popolare gli stadi, che in diversi paesi europei come Italia e Regno Unito sono completamente vuoti da marzo, nonostante si parli di tornare a consentire l’accesso ai tifosi con una capienza ridottissima.
In Giappone, come in Francia, lo hanno deciso già un paio di mesi fa, con un limite di 5.000 tifosi a partita. Rich è andata a un incontro del FC Tokyo, raccontando che gli spettatori erano «scrupolosamente silenziosi, a eccezione di un occasionale rumore di cibo o di qualche applauso spontaneo». Si sentivano addirittura le cicale fuori dallo stadio, ha scritto. «E quando i tifosi hanno applaudito un gol o una grande parata, ha dato alla partita un’atmosfera da concerto sinfonico, con il pubblico che applaude tra i movimenti».
Il Giappone non ha mai fatto ricorso alle rigide misure di lockdown viste in Europa, e ha finora avuto meno di 1.500 morti legati al coronavirus: un bilancio che ha permesso un approccio all’epidemia più rilassato e improntato alla convivenza con il virus, un aspetto su cui aveva insistito molto l’ex primo ministro Shinzo Abe. Una regola simile a quella degli stadi era stata introdotta per i parchi divertimenti, le cui attrazioni erano state riaperte con la richiesta che le persone “urlassero internamente”: «per favore, urlate dentro i vostri cuori».
Rich ha raccontato che all’ingresso dello stadio viene misurata la temperatura a tutti, le code sono organizzate con dei segni per terra che regolano il distanziamento, e i tifosi sono seduti a due posti di distanza: anche tra i componenti dello stesso nucleo famigliare. Metà stadio rimane vuota, e gli spettatori devono rimanere al proprio posto durante la partita. Il nominativo e il contatto di ciascun tifoso è poi associato al suo posto, in modo da poterlo rintracciare in caso qualcuno seduto vicino a lui risulti positivo al coronavirus nei giorni immediatamente successivi. Finora però non è mai successo.
Secondo Kentaro Iwata, esperto di malattie infettile all’ospedale universitario di Kobe, ha detto al New York Times che agli attuali ritmi dell’epidemia – negli ultimi giorni sono stati superati più volte i 1.000 casi quotidiani – la presenza ridotta di tifosi negli stadi all’aperto è un rischio accettabile. Il problema semmai è tutto quello che c’è prima e dopo, come l’afflusso dei tifosi con i mezzi pubblici.
Uno dei principi delle regole è evitare situazioni in cui, presi dall’entusiasmo sportivo, i tifosi abbandonino le precauzioni di distanziamento fisico. «Siamo umani, sventolare una bandiera o usare i tamburi esalta la gente, e questo può portarla ad assembrarsi e ad alzare la voce». Per evitare problemi, infatti, negli stadi è vietata la vendita di alcol. I tifosi sembrano accettare di buon grado le regole, anche se dopo qualche partita è stato permesso di “applaudire ritmicamente”, pratica all’inizio vietata ma che si era verificata senza particolari conseguenze. Kiyomi Muramatsu, tifoso dell’FC Tokyo e spettatore abituale allo stadio, ha detto al New York Times che uno dei motivi per cui queste regole vengono rispettate è che i tifosi non vogliono tornare agli stadi vuoti. Secondo Kenta Hasegawa, l’allenatore della squadra, è comunque positivo che ci siano spettatori, anche se non fanno un vero tifo: «Anche se non ci sostengono con la voce e il rumore, tutto l’entusiasmo sta dentro i loro applausi».