I problemi del nuovo “Mulan”
Non sta piacendo granché, ma soprattutto sta ricevendo molte critiche perché nei titoli di coda ringrazia certe controverse agenzie governative cinesi
Dal 4 settembre Mulan, film Disney con attori veri che è un rifacimento del film di animazione del 1998, è disponibile su Disney+, la piattaforma di streaming di Disney. Se ne sta parlando perché a molti critici non è piaciuto granché, perché è interessante che un film così costoso e per certi versi atteso sia uscito direttamente in streaming, senza passare prima dai cinema, e soprattutto perché sta ricevendo molte critiche per via di certi suoi rapporti con alcune controverse agenzie cinesi che operano nello Xinjiang, la regione di cui negli ultimi anni si è spesso parlato per le attività di sorveglianza e repressione governativa contro gli uiguri, minoranza cinese turcofona prevalentemente musulmana.
Per chi non conoscesse le vicende della leggendaria eroina cinese Hua Mulan – o non avesse visto il film d’animazione che ne trasse spunto prendendosi però molte libertà – Mulan parla di una giovane donna che decide di fingersi uomo per prendere il posto del padre malato nell’esercito. La regista è la neozelandese Niki Caro, la protagonista è l’attrice Liu Yifei, nata a Wuhan ma ora di nazionalità statunitense.
Per vedere Mulan, anche dall’Italia, non basta però essere iscritti a Disney+: visto che il film sarebbe dovuto uscire nei cinema ed è costato almeno 200 milioni di dollari, la società ha deciso che per poterlo vedere bisogna pagare una quota aggiuntiva di 21,99 euro; oppure aspettare dicembre, quando sarà normalmente disponibile con tutti gli altri contenuti della piattaforma.
Mulan è stato accolto piuttosto freddamente da molti critici cinematografici – che spesso lo hanno descritto come un film visivamente potente, ma dalla sceneggiatura piuttosto piatta e senza le profondità e sfaccettature che in tanti si attendevano – ed è anche troppo presto per dire se Disney abbia fatto bene a metterlo su Disney+, scegliendo una strada opposta a quella di Tenet, il primo grande film (tra l’altro con un budget paragonabile a quello di Mulan) a uscire nei cinema nonostante la pandemia.
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Al momento non ci sono dati ufficiali da parte di Disney, ma la società di analisi Sensor Tower ha stimato che nell’ultimo fine settimana, quello dell’uscita di Mulan, i download dell’app Disney+ (un servizio che è però disponibile anche da browser, quindi senza necessità di download di un’app) sono aumentati del 68 per cento rispetto al precedente fine settimana, e che i soldi spesi all’interno dell’app sono aumentati del 193 per cento. Sono dati buoni, ma non senza precedenti: già a luglio, infatti, grazie alla diffusione online del musical Hamilton, Sensor Tower stimò un aumento di download del 79 per cento.
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Oltre che per la sua contrapposizione con Tenet e per le recensioni tutt’altro che entusiastiche, di Mulan si è parlato molto perché è un film ad alto budget di una grandissima azienda statunitense che è però stato in parte girato in Cina (paese in cui uscirà nei cinema e non in streaming). E tutto da parte di un’azienda, Disney, che negli ultimi anni si è spesa molto – con accordi e investimenti di vario tipo – per riallacciare rapporti amichevoli con il governo cinese, dopo che a fine anni Novanta erano diventati piuttosto tesi in seguito alla distribuzione, da parte di Disney, del film di Martin Scorsese Kundun, tratto da un libro dell’attuale Dalai Lama e per questo osteggiato dalla Cina.
Già nell’agosto 2019 si parlò di Mulan perché Liu Yifei scrisse sul social network cinese Weibo di essere vicina alla polizia di Hong Kong impegnata nella repressione delle manifestazioni, in gran parte pacifiche, di chi chiedeva – e continua a chiedere – più democrazia e meno ingerenze da parte del governo cinese. A quel messaggio seguì, sempre sui social, una campagna che chiedeva di boicottare il film.
Negli ultimi giorni, dopo che Mulan è stato messo a disposizione su Disney+, sono arrivate però critiche più grandi, che riguardano l’intera produzione del film e non solo un’opinione espressa dalla sua protagonista. Nei titoli di coda si legge infatti che vengono ringraziate, per il loro contributo alle riprese del film, sei agenzie governative cinesi che operano nello Xinjiang, la regione nel nord-ovest della Cina in cui il governo del paese è accusato – con molte prove – di aver segregato e di voler rieducare o addirittura sterilizzare forzatamente persone di etnia uigura.
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Come ha spiegato BBC, tra le agenzie ringraziate ce n’è anche una che si è occupata, e probabilmente continua a occuparsi, dei campi di rieducazione per musulmani uiguri. Non è chiaro che tipo di rapporti ci siano stati tra le agenzie in questione e Disney, che per ora non ha commentato la questione. È però certo, perché dichiarato da Disney e noto da mesi (per via di alcuni sopralluoghi fatti tra gli altri dalla regista del film), che parte di Mulan è stato girato proprio nello Xinjiang, e che le riprese iniziarono dopo che già, a partire dal 2017, i media mondiali avevano dedicato maggiori attenzioni alla crescente sorveglianza e repressione che il governo cinese stava facendo nei confronti delle minoranze dello Xinjiang (perlopiù musulmani uiguri, ma non solo).
In seguito alle informazioni sui rapporti tra Disney e diversi enti governativi dello Xinjiang, il noto attivista di Hong Kong Joshua Wong – che già aveva chiesto di boicottare il film dopo le dichiarazioni di Liu Yifei – si è di nuovo schierato contro il film, scrivendo che vedendolo «si è potenzialmente complici delle incarcerazioni di massa dei musulmani uiguri».
It just keeps getting worse! Now, when you watch #Mulan, not only are you turning a blind eye to police brutality and racial injustice (due to what the lead actors stand for), you're also potentially complicit in the mass incarceration of Muslim Uyghurs. #BoycottMulan https://t.co/dAMgZ6PWTD
— Joshua Wong 黃之鋒 😷 (@joshuawongcf) September 7, 2020