Una canzone dei Boomtown rats
"Quella" canzone: che oggi è lunedì
Ho scoperto che ha appena compiuto 40 anni Alibi, un disco su cui ho pareri conflittuali. Fu il disco con cui gli America nel 1980 tornarono a farsi un po’ notare, dopo essere stati fortunosamente e brevemente una delle popolari band della west coast all’inizio dei Settanta. Ma si era capito che, a parte A horse with no name e un’altra manciata di canzoni, non erano proprio all’altezza di quelli più grandi. Alibi non andò granché, fuorché in Italia, anche se le sue canzoni girarono abbastanza nelle radio. Non era male, a risentirlo ora, un po’ troppo svenevole con le vocette (altrimenti I don’t believe in miracles o One in a million sarebbero buone per questa newsletter notturna): ma si sa, ci si affeziona.
Una cosa di dieci anni fa su come risvegliare l’attenzione di noi quasi astemi.
Uh, e dieci anni fa Mariastella Gelmini scoprì la drammatica verità su Albachiara di Vasco Rossi.
I don’t like mondays
Doveva arrivare, un lunedì in cui tornare su I don’t like mondays. Canzone su cui si ammonticchiano ora diverse storie. La prima è quella che racconta, dal 1979 quando venne pubblicata. Era successo all’inizio di quell’anno, vent’anni prima di Columbine, e di tutte le stragi nelle scuole americane che sono diventate purtroppo note al mondo. Brenda Ann Spencer, quasi diciassette anni e con tutti i guai familiari e personali possibili, prese un fucile e sparò verso la scuola elementare di fronte a casa sua a San Diego, uccidendo il preside e un custode e ferendo otto bambini e un poliziotto. Le chiesero perché lo avesse fatto e spiegò che non le piacevano i lunedì. È in carcere da allora, in California, con poche prospettive di uscire.
Bob Geldof usò quella risposta data a un giornalista che riuscì a telefonarle a casa mentre ancora teneva sotto tiro la strada e la scuola. Il “tell me why” del refrain infatti è la domanda del giornalista, che precede la risposta “I don’t like mondays”.
La canzone ebbe un grosso successo britannico, e divenne “la canzone” dei Boomtown Rats, la band di Bob Geldof. Il quale è un’altra storia: leader non così noto nel mondo di una band irlandese assai popolare nelle isole britanniche ma poco conosciuta altrove se non per I don’t like mondays. Nel 1982 Alan Parker si inventò di farne il protagonista del film The wall tratto dal disco dei Pink Floyd, e questo gli diede una visibilità nuova. Ma soprattutto, nel 1984 si inventò (insieme a Midge Ure degli Ultravox) quel progetto benefico che fu la canzone Do they know it’s Christmas prima e il Live aid poi: e con questo finì pure sui rotocalchi da parrucchiere di mezzo mondo.
Non bastasse, c’è però un’altra storia terribile che riguarda Bob Geldof, il quale compie 69 anni il mese prossimo, ed è quella delle tragedie della sua famiglia e delle sue donne, e di Michael Hutchence degli INXS, che è raccontata qui.
E in mezzo a tutti questi alti e bassi delle vite, tragedie e trionfi, c’è di nuovo la canzone dei Boomtown Rats, con quell’inconfondibile attacco di pianoforte di Johnnie Fingers (coautore della canzone, cosa su cui i due hanno parecchio litigato) e la concitazione e struggimento con cui è cantata. I Boomtown Rats hanno fatto un disco nuovo quest’anno, dopo 36 anni e senza Fingers, in cui ci sono ancora un paio di cose non male se la voce di Geldof vi è rimasta addosso come a me.
They can see no reasons
‘Cause there are no reasons
What reason do you need
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