Chi c’era a Venezia dieci anni fa
Fotografie dal festival con Quentin Tarantino presidente di giuria – criticato dal ministro Sandro Bondi – e Sofia Coppola premiata col Leone d'oro
A guardare le foto della 67esima edizione della mostra del cinema di Venezia, che si tenne dieci anni fa, dal primo all’11 settembre, si ricordano i film preferiti, ci si stupisce per il tempo passato sui corpi degli attori, per le coppie che si sono lasciate e per gli abiti ormai fuori moda, e si resta un po’ attoniti davanti alle statue di leoni sparpagliate dal vento. Il 3 settembre, infatti, quello che i giornali definirono un “violento nubifragio” si abbatté sulla città: fece aprire molti ombrellini sul red carpet che allagò, costrinse i portieri degli hotel di lusso ad accogliere in impermeabile gli ospiti in Lancia, grondò dal soffitto della sala stampa, si infilò nel piano terra del Casinò e blocco l’uscita della Sala Volpi.
Probabilmente non ricorderete il nubifragio né le polemiche, che non mancano mai. Quell’anno, per esempio, l’allora ministro della Cultura Sandro Bondi se la prese con il direttore della mostra, il critico Marco Müller, e con il presidente di giuria, il regista statunitense Quentin Tarantino, che accusò di essere «espressione di una cultura elitaria, relativista e snobistica» e di aver favorito i film stranieri. Ci furono fischi per Gianni Letta, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e applausi per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che partecipò alla cerimonia di apertura assistendo alla proiezione del primo film in concorso.
Era Il cigno nero di Darren Aronofsky, storia di un insegnante di balletto, Vincent Cassel, che aizza fino al tormento la rivalità di due ballerine, Natalie Portman e Mila Kunis. Napolitano lo definì «bello tosto», ma fece molto parlare anche per il bacio tra Portman e Kunis, definito unanimemente dai giornali “saffico”. Del film che chiuse la rassegna non si parlò, invece, molto: The Tempest, una trasposizione cinematografica della Tempesta di Shakespeare con Alfred Molina e Helen Mirren, non arrivò mai nei cinema italiani.
È impossibile conoscere l’influenza di Tarantino sugli altri membri della giuria – composta dallo scrittore e regista messicano Guillermo Arriaga, dall’attrice lituana Ingeborga Dapkūnaitė, dal regista e sceneggiatore francese Arnaud Desplechin, dal compositore statunitense Danny Elfman e dai registi Luca Guadagnino e Gabriele Salvatores – anche se lui alla cerimonia di premiazione parlò, con una certa esaltazione, di «decisioni tutte unanimi». La più importante, fu di scegliere quale, tra i 36 lungometraggi in concorso, premiare con il Leone d’oro. Vinse Somewhere di Sofia Coppola, un film americano pieno di riferimenti all’Italia a partire da un’esilarante scena della cerimonia di premiazione dei Telegatti, con Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini.
Somewhere non venne apprezzato molto dalla critica ma oggi può toccare qualche corda, visti i tempi che stiamo vivendo. Racconta le indolenti e aride giornate di Jonnhy Marco, interpretato da Stephen Dorff, un divo di Hollywood che vive nel leggendario hotel Chateau Marmont di Los Angeles, fatta di feste, spogliarelli, donne stupende che si porta a letto, un viaggio a Milano ospite dei già citati Telegatti, svariate attività promozionali che vorticano attorno al vuoto della sua vita che scorre senza eventi significativi. In questa vacuità si rinforza il rapporto con Cleo, una già bravissima Elle Fanning, la figlia 11enne dalla cui madre è separato. I giochi, gli scherzi, il gelato mangiato insieme potrebbero far ricordare a più di qualcuno i giorni recenti, costretti in casa da un mondo esterno minaccioso o poco interessante, con la riscoperta di senso negli affetti e il desiderio di cambiare.
Quella fu anche la mostra di La solitudine dei numeri primi, film di Saverio Costanzo tratto dall’omonimo libro di Paolo Giordano; Venere nera di Abdellatif Kechiche (che tre anni dopo vinse la Palma d’oro a Cannes con La vita di Adèle); La versione di Barney di Richard J. Lewis con Paul Giamatti e Rosamund Pike; Noi credevamo di Mario Martone e La pecora nera di Ascanio Celestini, ambientato in un manicomio. I film scelti dalla giuria per il Leone d’argento furono Essential Killing del polacco Jerzy Skolimowski (Gran premio della giuria) e Ballata dell’odio e dell’amore dello spagnolo Álex de la Iglesia (Premio speciale per la regia).
– Leggi anche: Storia e storie dello Chateau Marmont
Le opere di molti grandi registi furono presentate fuori concorso: 1960 di Gabriele Salvatores, A Letter to Elia di Martin Scorsese, Fuga da Hollywood di Dennis Hopper, La congiura della pietra nera del regista di Hong Kong John Woo – che ricevette anche il Leone alla carriera –, Sei Venezia di Carlo Mazzacurati, The Town di Ben Affleck e Sorelle Mai di Marco Bellocchio.
Di questa categoria fanno parte anche Machete di Robert Rodriguez, regista pulp amico di Quentin Tarantino, con protagonista l’attore Danny Trejo, con il riconoscibile volto sfregiato, il corpo pieno di tatuaggi e un passato da eroinomane e criminale; e Joaquin Phoenix – Io sono qui! di Casey Affleck, un mockumentary, cioè un finto documentario, che racconta la vita di Joaquin Phoenix dopo aver abbandonato la carriera da attore per diventare un musicista hip hop.