Il Kentucky Derby quest’anno è diverso
Nella corsa ippica più importante degli Stati Uniti, da sempre riservata ai bianchi, c'è un cavallo di proprietà di un afroamericano
La 146ª edizione del Kentucky Derby, la gara ippica più importante degli Stati Uniti in programma sabato 5 settembre, rappresenta il ritorno delle grandi corse di cavalli dopo la sospensione forzata dalla pandemia. Ma è anche un evento che, per il luogo e il tempo in cui si svolge, assume significati simbolici nella lotta alle discriminazioni razziali, e per due motivi.
Il primo è che si tiene a Louisville, città nella quale a marzo Breonna Taylor, infermiera afroamericana, venne uccisa dalla polizia che era entrata nella sua abitazione alla ricerca di due sospettati. Prima ancora della morte di George Floyd e dei successivi abusi compiuti dalla polizia, l’episodio è diventato uno dei casi più citati dagli attivisti di Black Lives Matter.
Il secondo motivo è che il Kentucky Derby, la corsa più prestigiosa al mondo, è anche l’evento più rappresentativo dell’alta società bianca negli stati del sud degli Stati Uniti. Si corre ininterrottamente nello stesso posto, all’ippodromo Churchill Downs, fin dal 1875. Così come in molte altre gare ippiche negli Stati Uniti, nel giorno delle gare la divisione di ruoli fra chi ci partecipa è lampante. I proprietari sono bianchi, il pubblico è a stragrande maggioranza bianca e le minoranze etniche si dividono tra fantini, allenatori e stallieri, perlopiù sudamericani. Gli afroamericani sono pressoché assenti. Ma quest’anno c’è una novità: uno dei cavalli in gara è di proprietà di Greg Harbut, 35 anni, afroamericano e discendente di una famiglia afroamericana dedita all’ippica da oltre un secolo.
Harbut è proprietario del cavallo Necker Island, qualificato al Kentucky Derby grazie a un terzo posto in una precedente gara statale. Tom Harbut, suo nonno, fu allevatore e proprietario di un cavallo che corse il Derby negli anni Sessanta, mentre il bisnonno, Will, fu tra gli stallieri di Man o’ War, uno dei cavalli da corsa più famosi di sempre, se non il più famoso. Harbut è uno dei rari proprietari di cavalli afroamericani al giorno d’oggi, e l’unico fra quelli in gara sabato a Louisville, cosa che ha commentato dicendo: «Vedere afroamericani in una di queste gare è come vedere un unicorno».
Il primo Kentucky Derby della storia fu vinto proprio da un fantino afroamericano, Oliver Lewis. Negli anni successivi alla Guerra di secessione americana, la maggioranza dei fantini più richiesti era infatti afroamericana, tanto che questi arrivarono a vincere 15 delle prime 28 edizioni della gara. La situazione però cambiò via via nel tempo, soprattutto dopo le cosiddette leggi “Jim Crow” emanate dagli stati del sud a partire dal 1876 che contribuirono a sistematizzare la segregazione razziale. Anche per questo dal 1921 al 2000 nessun fantino afroamericano ha preso parte al Kentucky Derby.
Nel tempo gli afroamericani sono di fatto quasi spariti dall’ippica: una delle più grandi associazioni ippiche americane, il Jockey Club, non conta nessun membro afroamericano e fra i suoi 286 dipendenti ci sono appena cinque persone nere.
Se però negli stati del sud le minoranze etniche sono ancora quasi completamente escluse dalle posizioni di rilievo nel settore delle corse, la consapevolezza di una questione razziale nell’ippica sta aumentando. Lo scorso giugno, per esempio, i fantini in gara a Belmont Park, nello stato di New York, hanno osservato un minuto di silenzio per le vittime della pandemia e poi, alcuni di loro, guidati dall’afroamericano Kendrick Carmouche, si sono inginocchiati in segno di solidarietà alle proteste iniziate dopo la morte di George Floyd. Il loro “palcoscenico” è sicuramente minore rispetto a quello che hanno a disposizione i giocatori di basket e football, ma lo spazio guadagnato dalle rivendicazioni in un ambiente “ostico” come l’ippica è un fatto già di per sé molto importante.
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Il movimento di protesta Black Lives Matter, che manifesterà nei pressi dell’ippodromo di Churchill Downs nel giorno del Kentucky Derby, aveva rivolto degli appelli ad Harbut e al suo socio, Ray Daniels, affinché rinunciassero a partecipare alla gara in segno di protesta, ma Harbut, dopo alcune riflessioni, ha deciso che ci sarà perché, come ha spiegato al New York Times, suo nonno, proprietario di un cavallo in gara nel 1962, non potè nemmeno sedersi sugli spalti: «Tutto questo fa parte della storia della mia famiglia, ed è un’opportunità per ricordare al grande pubblico che la storia dell’ippica inizia con gli afroamericani».