Il razzismo contro i neri in Iran
Abitano nel sud-est del paese e discendono dagli schiavi africani: ma il resto della popolazione non vuole sentir parlare di "schiavi"
In Iran esiste una minoranza di neri di origine africana, una comunità di persone che negli anni è stata soggetta a episodi di razzismo e discriminazioni. La maggior parte di loro discende dagli africani che arrivarono in Iran come schiavi dall’Africa – fin dal Medioevo e soprattutto nell’Ottocento – e vive nel sud-est del paese, dove si stima che le persone discendenti dagli schiavi siano il 10-15 per cento della popolazione. Il tema è stato rilanciato dal “Collective for Black Iranians”, un’organizzazione non-profit che si ispira al movimento Black Lives Matter e vuole creare consapevolezza attorno a un problema fin qui molto poco discusso e trattato.
La minoranza afroiraniana è molto poco conosciuta anche all’interno dell’Iran, paese che ha oltre 80 milioni di abitanti e una superficie cinque volte più estesa dell’Italia. Malgrado l’Iran sia una Repubblica Islamica governata in maniera autoritaria dai religiosi sciiti, e oltre il 60 per cento della popolazione sia composta da persiani – discendenti dalle antiche popolazioni indoeuropee – nel paese vivono numerose etnie di lingue e culture diverse.
– Leggi anche: Cinque cose per capire l’Iran
Gli iraniani neri abitano per lo più nella provincia del Sistan e Beluchistan, in quella di Hormozgan, a sud-est del paese, e in alcune città portuali che affacciano sul Golfo Persico, come Bushehr. Alcuni migrarono spontaneamente dall’Africa, ma per lo più discendono dagli schiavi che vennero portati in Iran da Tanzania, Kenya ed Etiopia. Come ha detto ad Al Jazeera la fondatrice del collettivo, Priscillia Kounkou-Hoveyda, sono persone che «provengono da culture che stanno a metà tra Africa e Iran».
L’argomento della schiavitù dei neri in Iran praticamente non è mai stato davvero discusso nel paese, e trattato come un fatto storico: il tema della schiavitù in Iran è un tabù, così come il colore della pelle. Come ha detto al Guardian l’antropologo Pedram Khosronejad, per esempio, alcuni discendenti della famiglia dei Qajar – la dinastia che governò la Persia dal 1794 al 1925 – hanno «problemi a usare la parola “schiavo”, e dicono che le loro famiglie avevano dei domestici che non venivano trattati come schiavi».
Secondo quanto hanno ricostruito gli studiosi, schiavi neri lavoravano in Iran già nel Medioevo come domestici, guardie del corpo, miliziani o marinai. Nella storia più recente, prima che la schiavitù venisse ufficialmente abolita nel 1929, si sono trovate testimonianze di donne afroiraniane al servizio di famiglie iraniane e di eunuchi iraniani neri nell’harem delle famiglie reali. Fino al 1979, infatti, in Iran i religiosi avevano un potere molto ridotto; il paese, che prima del 1935 si chiamava Persia, era una monarchia.
– Leggi anche: Il “colorism” in India
Beeta Baghoolizadeh, professoressa associata di storia africana alla Bucknell University, in Pennsylvania (Stati Uniti), ha scritto che gli iraniani di altre etnie vedono gli iraniani neri come «stranieri», perché altrimenti dovrebbero «affrontare il fatto che le leggende nazionaliste sull’omogeneità etnica siano pure invenzioni». Baghoolizadeh ha spiegato che nella provincia del Sistan e Beluchistan, quella più sudorientale, alcune comunità di neri iraniani portano avanti un sistema societario basato su caste e vivono separate dal resto della società e senza opportunità di mobilità sociale. Il problema del razzismo nei confronti degli afroiraniani è particolarmente evidente però nelle comunità meno isolate.
Anche Behnaz Mirzai, professoressa della Brock University dell’Ontario (Canada), ha scritto che tra le comunità di neri iraniani più integrate nella provincia del Sistan e Beluchistan gli episodi di razzismo sono più frequenti.
Come ha spiegato Paul Lovejoy, professore alla York University del Canada ed esperto di storia dell’Africa e diaspora africana, la schiavitù è «un argomento associato a così tanti tabù che nessuno vuole parlarne». Tuttavia, ha aggiunto, «quando il razzismo continua a dilagare l’unico modo che abbiamo per fermarlo non è ignorarlo, bensì capire cosa è successo nel passato, ma anche rendersi conto che non c’è motivo di portare avanti stereotipi e credenze».
– Leggi anche: I problemi delle minoranze musulmane
Il razzismo nei confronti di chi ha un colore della pelle diverso è stato rappresentato nel film iraniano del 1989 Bashu: the Little Stranger, in cui si parla di un bambino afroiraniano che fugge dal proprio villaggio, distrutto durante la guerra tra Iran e Iraq. Bashu arriva nella provincia del Mazandaran, nel nord dell’Iran, sopra la capitale Teheran, dove la donna che lo prende con sé cerca di “lavare” la sua pelle troppo scura; gli altri bambini lo prendono in giro e la gente del nuovo villaggio vede il suo arrivo come un cattivo auspicio.