Gli antinfiammatori steroidei riducono il rischio di morte nei pazienti gravi con COVID-19
Lo ha confermato l'Organizzazione Mondiale della Sanità sulla base di una nuova analisi, raccomandandone l'uso nelle terapie intensive
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha da poco raccomandato l’uso degli antinfiammatori steroidei per il trattamento dei pazienti con sintomi gravi da COVID-19, la malattia causata dall’attuale coronavirus. La revisione delle linee guida è stata effettuata in seguito ai risultati di un’analisi di sette diversi test clinici, che hanno permesso di rilevare i benefici portati da questo tipo di farmaci, comunemente disponibili e a prezzi accessibili rispetto ad altri trattamenti più costosi e che non sempre portano a miglioramenti apprezzabili nei pazienti. La decisione dell’OMS riprende quella assunta da diverse altre istituzioni sanitarie, in seguito agli esiti di un grande test clinico già pubblicato lo scorso giugno.
Test e analisi
La nuova analisi è stata realizzata prendendo in considerazione sette diversi test clinici, che nel complesso hanno interessato 678 pazienti con sintomi gravi da COVID-19 sottoposti a trattamenti con antinfiammatori steroidei e altri 1.025 pazienti, trattati invece con altri tipi di farmaci o con un placebo (una sostanza che non fa nulla). Tutti i coinvolti nei test avevano già ricevuto una diagnosi di COVID-19 ed erano ricoverati in ospedale: la maggior parte di loro era intubata in terapia intensiva.
L’analisi dei test clinici, pubblicata sulla rivista scientifica JAMA, ha evidenziato una sensibile differenza nella letalità, segnalando nel complesso una riduzione del 34 per cento del rischio di morte tra i pazienti trattati con gli steroidi. La differenza statistica è stata giudicata rilevante da buona parte degli osservatori e, insieme ad altre evidenze portate nell’analisi, ha comportato la revisione da parte dell’OMS delle linee guida per i trattamenti dei pazienti gravi.
Il ridotto rischio di mortalità si è mantenuto a prescindere dalla tipologia di antinfiammatori steroidei somministrati, dalla dose e dalla presenza di altri trattamenti, compresi quelli meccanici per aiutare i pazienti a respirare. Circa il 18 per cento dei pazienti ha segnalato alcuni effetti collaterali, contro il 23 per cento dei pazienti trattati con altri farmaci o con placebo. Gli effetti indesiderati sono stati vari e più difficili da tracciare tra i sette test clinici, ma nel complesso non sono emerse controindicazioni tali da rendere ingiustificato il ricorso agli antinfiammatori steroidei.
Antinfiammatori steroidei
Semplificando molto, gli antinfiammatori steroidei (cortisonici) agiscono bloccando l’attività di varie sostanze sfruttate dal sistema immunitario per innescare i processi infiammatori (attraverso i quali offre protezione dagli agenti esterni), o per modificare l’attività dei globuli bianchi, che si occupano di attaccare ed eliminare gli agenti infettivi come virus e batteri. Fino a qualche mese fa questi farmaci non erano stati presi molto in considerazione, perché si riteneva che fossero datati e che sopprimendo l’attività del sistema immunitario potessero causare più danni che benefici nei pazienti che stanno cercando di superare un’infezione da coronavirus.
In alcuni casi, però, il sistema immunitario può essere sopraffatto dal coronavirus che continua a replicarsi sfruttando le cellule del nostro organismo, al punto da portare a una risposta molto violenta e distruttiva che contribuisce al peggioramento delle condizioni del paziente. Se si verifica questa circostanza, i medici provano a modulare la risposta immunitaria con alcuni farmaci, cercando di ridurre la portata della reazione distruttiva.
A metà giugno, uno studio su un ampio numero di pazienti aveva segnalato i benefici portati dal desametasone, un antinfiammatorio steroideo piuttosto comune ed economico, sintetizzato per la prima volta alla fine degli anni Cinquanta e utilizzato soprattutto per trattare malattie come l’artrite reumatoide, l’asma, alcuni tipi di allergie gravi e patologie croniche che interessano l’apparato respiratorio. Gli esiti della ricerca avevano indotto diverse istituzioni sanitarie a consigliare l’impiego del desametasone per i pazienti gravi con COVID-19, portando l’OMS a fare ulteriori valutazioni su questo tipo di antinfiammatori.
Linee guida
Nell’aggiornamento alle sue linee guida basato sulla nuova analisi, l’OMS consiglia di rendere gli antinfiammatori steroidei il nuovo standard per il trattamento dei pazienti con forme gravi di COVID-19 e in condizioni critiche. La raccomandazione è di fare ricorso a questi farmaci per almeno una settimana, ma facendo attenzione a non abusare della soluzione, evitando per esempio di somministrarla anche a pazienti con forme di COVID-19 meno gravi, e per i quali possono essere impiegati altri trattamenti meno pesanti. Oltre alla tutela dei pazienti, questa raccomandazione è anche stata formulata per evitare che ci sia un ricorso indiscriminato agli antinfiammatori steroidei, con il rischio di non avere scorte a sufficienza per i malati gravi di COVID-19.
L’analisi su cui sono basate le nuove linee guida lascia comunque alcuni margini di incertezza sui protocolli da adottare nei trattamenti. A oggi non ci sono dati a sufficienza per dire se l’avvio delle terapie con antinfiammatori steroidei debba avvenire basandosi sugli indizi che potrebbero indicare un rapido peggioramento del paziente, o se invece sia opportuno attendere che sia chiara l’evoluzione della malattia. Diversi medici e ricercatori ritengono che sia rischioso anticipare la somministrazione, perché ci potrebbe essere il rischio di bloccare prematuramente la risposta immunitaria, impedendo all’organismo di tenere sotto controllo la replicazione del coronavirus.
Ulteriori test clinici sono in corso su diversi altri farmaci già disponibili, e sulla loro combinazione per ottenere i migliori risultati nei malati gravi di COVID-19. Gli studi riguardano diversi approcci, compresa la possibilità di somministrare sia gli antinfiammatori steroidei sia i farmaci antivirali, in modo da ridurre la velocità di replicazione del virus mentre viene ridotta la reazione del sistema immunitario.