Il batterio nell’ospedale di Verona
Dopo quattro neonati morti e altri con gravi infezioni, una relazione ha ricostruito che il problema esisteva da anni, arrivando a coinvolgere «il 75 per cento dei soggetti ricoverati»
Lunedì è stata depositata la relazione stilata dalla Commissione istituita dal presidente del Veneto Luca Zaia per indagare sul caso di infezioni causate dal batterio Citrobacter koseri nei reparti di Terapia intensiva neonatale e pediatrica nell’Ospedale Donna e Bambino di Borgo Trento, a Verona. La relazione, lunga 52 pagine, conclude che si è verificato un «evento epidemico» e che dall’apertura della struttura, il 4 aprile 2017, al 17 luglio 2020 «sono stati identificati 91 soggetti positivi per Citrobacter koseri»; 9 neonati «hanno sviluppato una patologia invasiva causata da Citrobacter koseri» e tra questi 5 hanno riportato gravi lesioni cerebrali e 4 sono morti.
Il Citrobacter koseri fa parte della stessa famiglia della Salmonella e della Escherichia, infetta sia uomini sia animali e si trova nelle acque e nei cibi contaminati. Colpisce soprattutto i neonati, i nati prematuri e gli adulti immunodepressi, e causa sepsi, meningite e danni al sistema nervoso.
La Commissione nota che il primo caso si manifestò nel novembre del 2018 e che per tutto il 2019 non ci furono segnalazioni per identificare il problema nonostante tre nuovi casi, che aumentarono ulteriormente nel 2020 probabilmente a causa dell’aumento delle«attività di screening sistematiche» per identificare i pazienti positivi al batterio, «non previste fino al 2019». Infatti, «nei primi 5 mesi del 2020 sono stati interessati il 33,6 per cento dei neonati e, in alcuni momenti, come riportato dai verbali, il coinvolgimento ha riguardato il 75 per cento dei soggetti ricoverati».
La Commissione non è stata in grado di stabilire le cause della presenza del batterio ma, stando ai dati raccolti e alle analisi fatte, è probabile «che il reparto si sia trovato di fronte ad una contaminazione a partenza ambientale che ha portato ad una diffusione del patogeno, con comparsa di infezioni invasive, con una iniziale sottostima e con il riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici della TIN (la terapia intensiva neonatale, ndr) e con conseguente scarso coinvolgimento del Comitato Infezioni Ospedaliere almeno fino al 1° trimestre del 2020».
In particolare, le analisi condotte a giugno 2020 hanno rilevato la presenza del batterio sui rompigetto di alcuni rubinetti nelle terapie intensive neonatale e pediatrica e sulle superfici interne ed esterne dei biberon utilizzati da due neonati risultati positivi. Per lavare i bambini si può usare l’acqua prelevata da rubinetti dotati di filtro antibatterico che però, stando ai verbali, sono stati aggiunti solo a luglio 2020. Non è poi chiaro se gli operatori, i genitori e i visitatori si igienizzassero le mani con una soluzione alcolica, raccomandata nei reparti di Terapia intensiva neonatale e pediatrica e necessaria in seguito al ritrovamento nell’acqua di un altro batterio, la Pseudomonas aeruginosa, nel maggio del 2020.
Il rapporto sottolinea che l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona (AOUIV), cioè la struttura sanitaria di cui fa parte l’Ospedale Donna e Bambino di Borgo Trento, non ha mai comunicato i casi né alla Regione né ad Azienda Zero, l’ente che amministra la sanità veneta, come avrebbe invece dovuto e che i casi vennero inizialmente denunciati dai giornali, in particolare dall’Arena di Verona.
Le indagini erano iniziate dopo l’esposto alla procura di Genova di Francesca Frezza, una donna che aveva partorito una bambina nell’ospedale di Verona nell’aprile del 2019 e che l’aveva poi fatta trasferire all’ospedale Gaslini di Genova a causa della malattia. La bambina morì a novembre e dall’autopsia venne fuori che la causa era un’infezione provocata dal Citrobacter koseri. Frezza denunciò allora il caso alla procura di Verona e la Regione Veneto nominò due commissioni: una esterna, coordinata dal professor Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova, e un’altra composta da membri dell’amministrazione regionale. Intanto il 12 giugno Francesco Cobello, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, aveva disposto la chiusura e la sanificazione del reparto di Ostetricia, che comprende il Punto nascite, la Terapia intensiva neonatale e la Terapia intensiva pediatrica. Il reparto ha riaperto ieri, martedì 1 settembre.