Padre e figlio, compagni di squadra
Trent’anni fa Ken Griffey e Ken Griffey Jr. si ritrovarono in campo con i Seattle Mariners in una partita di Major League Baseball
Da tempo si parla periodicamente del desiderio di LeBron James di giocare almeno una stagione in NBA con il figlio maggiore Bronny, per diventare la prima coppia padre-figlio nella storia della lega. Ma non è detto che accada. Nonostante LeBron non abbia mai avuto gravi infortuni e in campo faccia ancora cose dell’altro mondo, sta disputando la sua sedicesima stagione in carriera a 35 anni compiuti. Suo figlio ha ancora 15 anni e ne dovrà aspettare almeno altri tre prima di poter entrare in NBA.
La prima volta che un padre e un figlio giocarono insieme nella stessa squadra in uno dei maggiori campionati professionistici (esclusi hockey e cricket, vedremo tra poco perché) risale al 31 agosto 1990, quando Ken Griffey Sr. e Ken Griffey Jr. si ritrovarono sullo stesso campo con la stessa divisa dei Seattle Mariners, in una partita di Major League, il miglior campionato di baseball al mondo.
Tutto iniziò tre anni prima, quando Griffey Jr. venne selezionato al draft dai Seattle Mariners. All’epoca il padre stava disputando gli ultimi anni di una lunga e importante carriera in Major League – dove le carriere sono generalmente più lunghe – nella quale aveva vinto due World Series, entrambe con i Cincinnati Reds. Dopo un anno nelle leghe minori, nel 1989 Griffey Jr., allora ventunenne, iniziò a giocare con Seattle, mentre il padre, a 41 anni compiuti, venne liberato da Cincinnati a metà stagione. Invece di ritirarsi come in tanti si aspettavano, colse l’occasione per farsi ingaggiare per gli ultimi mesi di campionato proprio da Seattle, giusto per poter giocare con il figlio al quale aveva insegnato il baseball anni prima.
La prima partita arrivò appena due giorni dopo l’ingaggio. Il figlio la commentò dicendo: «Sarà davvero strano stasera, giocare con mio padre». Il padre rispose: «Stasera sarà strano giocare con mio figlio». E così nella partita contro i Kansas City Royals, i Griffey, entrambi esterni di ruolo, entrarono nella storia della Major League. Il primo ad andare in battuta fu il padre, che la colpì corta e guadagnò una base. Subito dopo fu il turno del figlio, che fece esattamente la stessa cosa: la colpì corta e guadagnò una base. Fecero due run a testa e guadagnarono due dei cinque punti che poi valsero la vittoria a Seattle.
Giocarono insieme soltanto un mese e in una delle ultime partite, a Los Angeles contro gli Angels, riuscirono a colpire due fuori campo in successione. La carriera del padre finì dopo quel mese, quella del figliò invece iniziò, e nel corso degli anni divenne una delle più importanti nella storia recente della Major League. Nelle successive venti stagioni Griffey Jr. non riuscì mai a vincere le World Series ma già a fine anni Novanta fu inserito nella formazione dei migliori giocatori di tutti i tempi e dal 2016 fa parte della Hall of Fame del baseball nordamericano.
Prima di loro una cosa del genere era successa soltanto nell’hockey e nel cricket, due sport la cui diffusione è ancora limitata a zone più circoscritte, caratteristiche che favoriscono le cosiddette “dinastie” di giocatori della stessa famiglia. Nel 1979, per esempio, la leggenda dell’hockey canadese Gordie Howe sospese il ritiro annunciato pochi mesi prima per giocare negli Hartford Whalers con i figli Mark e Marty. Nel cricket invece la lista di padri e figli in campo con la stessa squadra è pressoché sterminata: inizia nell’Ottocento in Inghilterra e continua in India ai giorni nostri.
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