I diritti delle donne nelle proteste della Thailandia
Da settimane in migliaia chiedono lo scioglimento del governo ma anche libertà di aborto e autodeterminazione
Da settimane in Thailandia studenti e studentesse protestano contro il governo e la monarchia: chiedono che venga sciolto il governo guidato dal generale Prayuth Chan-o-cha, che cessino le violenze nei confronti degli attivisti e che venga riscritta la Costituzione, emanata dal governo militare dopo il colpo di stato del 2014.
Nelle proteste hanno un ruolo fondamentale le donne e i movimenti femministi, secondo i racconti che arrivano dalla Thailandia. Al di là delle precise rivendicazioni politiche, che hanno a che fare con la libertà di abortire, vogliono mostrare che il diritto all’autodeterminazione delle donne è un aspetto fondamentale nelle rivendicazioni democratiche, e che è dunque necessario mettere in discussione l’intero sistema di valori tramandato dalla monarchia.
In Thailandia il re è considerato una specie di divinità, e per chi lo critica è previsto anche il carcere. Il paese ha infatti una delle legislazioni più severe al mondo per il reato di lesa maestà: chi «diffami, insulti o minacci il re, la regina, gli eredi o i reggenti» rischia una pena detentiva fino a 15 anni.
– Leggi anche: In Thailandia c’è un campo di addestramento per aumentare la fedeltà alla monarchia
Il governo è ora guidato dal generale Prayuth, che aveva preso il potere durante il golpe del 2014 ed era stato eletto primo ministro nel 2019, ma molti sostengono che ci furono diverse irregolarità nelle elezioni. Sebbene poi la Thailandia sia tecnicamente una monarchia costituzionale, il re Maha Vajiralongkorn – succeduto al padre Bhumibol Adulyadej nel 2016 – ha ulteriormente rafforzato il potere della monarchia e ha un’influenza significativa sul governo del paese, avendo stabilito, secondo i manifestanti, un grado di controllo senza precedenti sui militari, la polizia e la magistratura.
Le manifestazioni contro il governo, arrivate irritualmente ad attaccare la monarchia, erano iniziate lo scorso gennaio, quando un tribunale thailandese aveva deciso di mettere fuorilegge il Partito del Futuro Nuovo (Phak Anakhot Mai), movimento di opposizione molto popolare fra i giovani. L’epidemia da coronavirus aveva interrotto le proteste, che poi però sono tornate a crescere per la mancanza di sostegno ai gruppi sociali più deboli durante il lockdown e per le crescenti disuguaglianze nel paese, nonostante il coronavirus non abbia colpito duramente la Thailandia come altri paesi.
Domenica 16 agosto a Bangkok si era svolta una delle manifestazioni di protesta più partecipate. Davanti ad almeno 10mila persone avevano parlato gruppi a sostegno dei diritti delle persone LGBTQI+ («Se vogliamo una vera democrazia, significa che dobbiamo avere anche una reale uguaglianza»), dei diritti delle lavoratrici del sesso e dei diritti delle donne.
In quell’occasione, una manifestante era salita sul palco e con il pugno teso aveva pronunciato frasi che di rado si sentono nel paese: «Chiediamo la revoca della legge che punisce le donne che vogliono praticare un aborto. Il nostro corpo ci appartiene. Così come ci appartengono le decisioni che si possono prendere sul nostro corpo e sulle nostre vite!».
La Thailandia è ancora un paese molto tradizionale in cui i valori buddisti condannano, tra le altre cose, la pratica dell’aborto. Una legge del 1957 permette di ricorrere all’interruzione di gravidanza solo quando sia necessario per la salute della donna o quando la gravidanza sia il risultato di una violenza sessuale: ma se non c’è una denuncia ufficiale – e ci sono molti motivi per cui le donne le evitano – l’aborto non è consentito e molte donne ricorrono agli aborti clandestini. Nel 2010 i giornali di mezzo mondo avevano raccontato come in un tempio fossero stati trovati sepolti i resti di circa 2 mila feti. Il codice penale del paese stabilisce poi che l’aborto procurato o indotto da terzi è un crimine punito con il carcere.
I termini “madri diaboliche” e “adolescenti svergognate” sono comunemente usati dalla stampa quando vengono pubblicati articoli che hanno a che fare con le interruzioni di gravidanza. Secondo Supeecha Baotip, attivista del gruppo femminista Tamtang, questi articoli «sono scioccanti»: «Anch’io ho abortito. Le donne come me non hanno alcuno spazio di parola nella Thailandia contemporanea».
Secondo alcune organizzazioni non governative, sul fronte del diritto all’aborto ci sono stati comunque dei progressi. Nel 2005 sono state inserite delle eccezioni alla normativa dando così ai giudici, almeno in teoria, la libertà di un’interpretazione più ampia: alcune donne che vivono in condizioni difficili o alcune ragazze adolescenti che non potevano crescere un bambino, per esempio, non sono state condannate. Nel febbraio del 2020, poi, la Corte costituzionale della Thailandia ha ordinato una riscrittura parziale della legge entro il febbraio 2021. Le proteste degli ultimi mesi intendono dunque avere delle conseguenze anche su questa questione.