È iniziato il Tour de France
In ritardo, senza Chris Froome, con un percorso atipico, e ovviamente con una pandemia intorno
Inizia oggi a Nizza l’edizione 107 del Tour de France, la gara ciclistica più importante al mondo. A causa della pandemia da coronavirus la corsa inizia alcune settimane in ritardo rispetto al solito, e sempre a causa della pandemia è tutt’altro che certo che – dopo le 21 tappe e i 3.470 chilometri previsti – arrivi come sempre, agli Champs-Élysées di Parigi. Sarà un Tour strano: per la pandemia e tutto ciò che potrebbe comportare, per un percorso particolare e perché non ci saranno Vincenzo Nibali, Chris Froome e Geraint Thomas, i vincitori di sei delle ultime sette edizioni.
Il Tour e la pandemia
Per minimizzare le possibilità di contagio – tra corridori, ma anche tra corridori, addetti ai lavori e pubblico – saranno seguite una serie di norme previste dall’UCI, l’organizzazione che regola e governa il ciclismo mondiale, e da ASO (Amaury Sport Organisation), che invece si occupa specificatamente del Tour de France. Le regole sono tante e su tanti livelli, peraltro negli ultimi giorni spesso soggette a correzioni o precisazioni.
In sintesi si può dire che le squadre (intese come insieme di corridori, ma anche di meccanici, direttori sportivi, massaggiatori, cuochi, addetti stampa, e così via) dovranno essere formate al massimo da 30 persone. Tutte queste persone, così come quelle che faranno parte della grande carovana che seguirà il Tour tappa dopo tappa, in caso di positività saranno allontanate. Ci sarà una sorta di clinica mobile al seguito della corsa, per effettuare i test quando necessari. Ogni persona al seguito della corsa è stata sottoposta al test prima della partenza e ne farà almeno altri due nei due giorni di riposo, il 7 e il 14 settembre.
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Tutte le persone al seguito della corsa saranno tenute il più possibile in una sorta di “bolla” (per quanto fattibile in un evento itinerante, che si sposta per le strade e da un albergo all’altro) e ancora più precauzioni saranno prese nei confronti dei corridori, che sono otto per ognuna delle 22 squadre. Ogni squadra potrà essere eliminata dal Tour se, nell’arco di una settimana, almeno due suoi corridori dovessero essere positivi al coronavirus. Sarà ovviamente anche un Tour con meno spettatori del solito, perché saranno prese misure per limitare assembramenti ed eccessiva vicinanza tra spettatori e corridori alla partenza, all’arrivo e nei punti solitamente più affollati, come gli ultimi chilometri delle grandi salite.
Da Nizza a Parigi
Nelle 21 tappe previste il Tour resterà in gran parte nella metà meridionale della Francia (quella più montuosa) e passerà da ognuna delle cinque catene montuose francesi: il Jura, i Pirenei, il Massiccio Centrale, le Alpi e i Vosgi. Insolitamente, il Tour di quest’anno si correrà tutto in territorio francese (era così già nel percorso deciso a ottobre, quindi prima della pandemia) e tutti gli spostamenti tra una tappa e l’altra saranno fatti su strada, quindi senza che i membri della carovana debbano prendere treni o aerei.
Il Tour avrà un inizio subito molto movimentato, con alcune difficili salite già nei primi giorni e un arrivo in salita già nella quarta tappa. Gli arrivi in salita veri e propri saranno quattro, ma le tappe con salite (e discese, nella maggior parte dei casi) che potranno movimentare la classifica generale saranno molte di più. E allo stesso modo potrebbero rivelarsi decisive anche tappe senza salite: la decima, per esempio, si correrà tutta sulla costa atlantica, con partenza da un’isola e arrivo su un’altra isola. In una tappa del genere, il vento e i cosiddetti “ventagli” di corridori potrebbero creare un certo scompiglio. Le tappe con le maggiori difficoltà altimetriche saranno le numero 13, 15 e 17. Quest’ultima, in particolare, terminerà sul Col de la Loze, una salita lunga e ripida che non è mai stata affrontata prima dal Tour. L’ultima tappa in grado di decidere la corsa, prima della – se si farà – passerella finale di Parigi, sarà la ventesima: sarà tra l’altro l’unica tappa a cronometro, lunga 36 chilometri, gli ultimi dei quali in salita.
Il percorso di quest’anno è insolito perché ci sono pochi chilometri a cronometro (e nelle cronometro a fine Tour, specie se con della salita, spesso è una questione di resistenza, più che di essere o meno specialisti delle cronometro) e perché le salite sono tante e sparse qua e là tra le tre settimane di corsa, senza che si possa dire, già da ora, quale sarà quella decisiva. Sembra, in poche parole, un Tour per attaccanti più che per difensivisti. Ma è anche vero che le tappe in cui poter attaccare sono così tante che, a farlo troppo, ci si potrebbe affaticare eccessivamente all’inizio senza avere molte energie alla fine.
Roglic, Bernal e gli altri
I principali favoriti per la vittoria della maglia gialla sono il colombiano Egan Bernal, vincitore l’anno scorso, e lo sloveno Primož Roglič, che nel 2019 aveva vinto la Vuelta di Spagna dopo essere arrivato terzo al Giro d’Italia (in cui era partito forte, attaccando, e si era poi trovato senza molte energie alla fine). Bernal ha 23 anni, Roglic ne ha 30 e – come sa bene chi segue il ciclismo – si è messo a correre in bici dopo aver fatto il saltatore con gli sci. Entrambi sono molto completi e apparentemente molto adatti al tipo di percorso di quest’anno. Ma nessuno dei due sembra essere al suo meglio, per via di acciacchi avuti durante la loro ultima corsa a tappe, il Giro del Delfinato.
Entrambi hanno a sostenerli squadre molto forti. Nel caso di Bernal è la Ineos Grenadier (la vecchia Sky), nel caso di Roglič la Jumbo-Visma. Nella Ineos Grenadier corre anche Richard Carapaz, vincitore del Giro d’Italia del 2019; nella Jumbo-Visma insieme a Roglic c’è Tom Dumoulin, vincitore del Giro nel 2017 e secondo al Tour del 2018, che sembra essere tornato in forma dopo mesi di problemi fisici di vario tipo. È difficile esserne certi, ma allo stato attuale sembra che Bernal e Roglič siano i capitani designati e che Carapaz e Dumoulin siano lì per aiutarli ma anche, se dovesse essercene la possibilità o la necessità, prenderne il posto nelle gerarchie.
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Oltre a questi quattro corridori, l’altro principale favorito per la vittoria della maglia gialla è il trentenne francese Thibaut Pinot, anche lui adattissimo al percorso, ma mai vincitore di un Grande Giro. Altri corridori da tenere certamente d’occhio per la classifica generale sono altri due trentenni: lo spagnolo Mikel Landa (un altro dal grande potenziale ma senza grandi trofei) e il colombiano Nairo Quintana (due volte secondo al Tour, nel 2013 e nel 2015). C’è poi il 21enne sloveno Tadej Pogačar, che negli ultimi mesi ha dimostrato di avere grandissime potenzialità nelle corse a tappe e che corre nella UAE-Emirates, la stessa squadra degli italiani Fabio Aru e Davide Formolo. Entrambi dovrebbero dividersi tra l’attività di gregari e il tentativo di qualche vittoria di tappa, senza puntare alla classifica generale.
Guardando oltre la maglia gialla e quindi la lotta per la classifica generale, al Tour de France si faranno probabilmente notare anche atleti come Julian Alaphilippe e Peter Sagan, che è come sempre il favorito per la vittoria della maglia verde (che premia la classifica a punti) e in volata si potrebbe trovare spesso a vedersela con gli italiani Elia Viviani e Giacomo Nizzolo, recentemente vincitore del campionato italiano e, poco dopo, di quello europeo. Oltre a loro, in questo Tour ci sarà, al solito, gran parte del meglio del ciclismo mondiale, dall’ormai quarantenne Alejandro Valverde al fortissimo Wout van Aert, vincitore della recente Milano-Sanremo.
Tra gli assenti, molti mancano per infortunio; alcuni invece per scelta (Nibali per esempio punterà tutto sul Giro d’Italia); altri perché la propria squadra non partecipa (è il caso dell’olandese Mathieu van der Poel) e altri ancora perché la propria squadra non li ha scelti (è successo a Froome e a Thomas, che – per ragioni diverse – non erano in forma e nonostante le vittorie del passato sono stati esclusi).