Come va con le scuole nel mondo
Storie di casi di successo e di altri che invece molto meno
La riapertura delle scuole in questi giorni è tra gli argomenti più discussi, in Italia e non solo. Se in Italia esistono ancora solo indicazioni parziali, a circa tre settimane dalle riaperture, in altri paesi le scuole sono già state aperte, in qualche caso da diverse settimane: qualche volta con successo, qualche volta con conseguenze negative. Per comprendere come sono andate le cose nei diversi paesi bisogna però tenere conto di diverse variabili, prima di tutto l’andamento dell’epidemia.
Nelle sue ultime linee guida, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha detto che tutti gli studenti dai 12 anni in su dovrebbero indossare la mascherina, ricordando che questo è un «momento insidioso» per le scuole e quindi serve procedere con grande cautela. Secondo Hans Kluge, direttore regionale dell’OMS per l’Europa, «non è possibile aprire le società senza prima aprire le scuole»: ma «il nodo della questione è che la riapertura delle scuole dipende essenzialmente dal livello di trasmissione nelle comunità, e per questo le misure di base vanno applicate ovunque».
Secondo un recente rapporto dell’UNICEF, dall’inizio della pandemia un miliardo e mezzo di bambini in tutto il mondo sono rimasti a casa per via delle norme di sicurezza imposte per evitare la diffusione del contagio da coronavirus: l’UNICEF stima che in questi mesi, con le scuole chiuse, 463 milioni di bambini non abbiano avuto accesso all’istruzione per via della mancanza di strumenti adatti alla formazione a distanza.
At the height of #COVID19 lockdowns, at least 463 million children without access to internet, television or radio were denied an education.
UNICEF is calling on governments to prioritise reopening schools and to take all possible measures to reopen safely. pic.twitter.com/E0YN7H1BNn
— UNICEF (@UNICEF) August 28, 2020
Danimarca
La Danimarca è stato il primo paese in Europa a riaprire le scuole lo scorso 15 aprile, ed è riuscita a farlo senza grosse difficoltà anche grazie a un efficace sistema di tracciamento dei contatti. Per questo, è stata vista come uno dei paesi più virtuosi da prendere come esempio per la gestione della riapertura delle scuole.
In Danimarca i bambini da 2 a 12 anni vengono separati in “bolle protettive”, cioè piccoli gruppi che non entrano in contatto fra loro, così che in caso di contagio la “bolla” della persona contagiata si possa isolare facilmente senza che l’intera classe debba stare a casa in quarantena. Inoltre sono state previste entrate scaglionate e orari diversi, anche per il pranzo; la mascherina non è obbligatoria, però gli studenti devono lavarsi le mani ogni due ore e non è consentito l’accesso dei genitori alle scuole.
Nell’ambito di quella che il ministero dell’Istruzione danese aveva definito una «riapertura controllata della società», anche universitari, ricercatori e i ragazzi dai 12 ai 16 anni hanno potuto riprendere gli studi dal 18 maggio, con provvedimenti analoghi. A oggi in Danimarca sono stati riscontrati 16.500 casi di contagio e 623 morti su quasi 6 milioni di abitanti.
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Israele
Uno dei paesi dove le cose non sono andate bene è Israele, dove le scuole erano già state riaperte a maggio ma con risultati negativi. Contando su una notevole riduzione dei contagi – 628 al giorno di media nella settimana del 3 aprile contro la ventina della settimana del 17 maggio – il governo aveva autorizzato la riapertura delle scuole. Tuttavia, un focolaio riscontrato in una scuola superiore di Gerusalemme aveva costretto il governo a chiudere più di 240 istituti. Alla fine dell’anno scolastico, a giugno, erano risultati positivi 977 studenti.
In questi giorni il ministro dell’Istruzione israeliano Yoav Gallan ha detto che le scuole riapriranno regolarmente il 1° settembre: per il momento senza l’uso della mascherina, per via del grande caldo. Nel caso venga accertato uno studente positivo la scuola resterà aperta, mentre soltanto la classe dove viene riscontrato l’eventuale contagio dovrà trascorrere un periodo di quarantena a casa. La situazione desta comunque preoccupazione perché, secondo quanto ha ricostruito El Diario, in questi giorni la media settimanale dei contagi registrati in Israele è più che duplicata rispetto al picco della pandemia: ad aprile la media settimanale di contagi era di 628 casi, mentre nell’ultima settimana è stata di 1.389, su quasi nove milioni di abitanti.
Germania
Il New York Times ha scritto che in Germania con la riapertura generale delle scuole ci si aspettano le «montagne russe». L’approccio della Germania varia in larga parte in base alle caratteristiche di ciascun “land”, il nome con cui si indicano gli stati federali tedeschi: già il 3 agosto, per esempio, le scuole hanno potuto riaprire nel land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore e il 12 nella Renania Settentrionale-Vestfalia, ma anche nelle città di Berlino e Amburgo.
In Germania nell’ultima settimana sono stati registrati in media 1.377 nuovi contagi al giorno, con un lieve aumento rispetto alle settimane precedenti; a Berlino, una settimana dopo la riapertura delle scuole, sono stati accertati contagi in almeno 41 delle 825 scuole presenti. I bambini e i dipendenti della scuola contagiati sono stati messi in quarantena, ma secondo le autorità locali citate dal quotidiano tedesco Berliner Zeitung si tratta di casi isolati e non di focolai.
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Nelle scuole tedesche bisogna mantenere il distanziamento fisico ma l’obbligatorietà della mascherina varia da land a land: a Berlino bisogna indossarla nelle aree comuni delle scuole ma non nelle aule; in Renania Settentrionale-Vestfalia, la zona più popolosa della Germania e una di quelle considerate più a rischio, è invece obbligatoria anche durante le lezioni.
Länder come la Baviera e il Saarland avevano chiuso le scuole abbastanza presto, il 13 marzo, quando la Germania non era ancora stata colpita in maniera violenta dalla pandemia: in quel momento erano stati accertati 2.369 casi e 6 morti per cause legate al coronavirus, mentre in Italia i positivi registrati erano 17.660 e i morti 1.266. Le scuole sono state poi riaperte gradualmente da fine aprile, quando tra le altre cose è iniziata la sperimentazione di un modello ibrido di istruzione a distanza e in classe, con pochi studenti alla volta.
Regno Unito
È stato uno dei paesi più indecisi sul da farsi all’inizio della pandemia, e anche a ridosso dell’apertura delle scuole ha dato delle indicazioni poco chiare: inizialmente il primo ministro Boris Johnson si era opposto all’uso delle mascherine a scuola, dicendo che «non si poteva insegnare col volto coperto, così come non ci si poteva aspettare di imparare con il volto coperto». Negli ultimi giorni, però, il governo ha fatto marcia indietro e deciso che gli studenti dagli 11 ai 18 anni dovranno indossare la mascherina in tutte le aree comuni delle scuole, in ottemperanza alle indicazioni dell’OMS.
La decisione del governo è arrivata all’ultimo momento, quando nel Leicestershire, nell’Inghilterra centrale, le scuole erano già state riaperte, causando peraltro una certa irritazione tra gli insegnanti. Per i bambini sotto gli 11 anni la mascherina non è obbligatoria, ma i presidi delle scuole potranno comunque decidere di farla indossare se lo riterranno opportuno. Anche in Scozia gli studenti delle scuole medie e superiori dovranno indossare la mascherina nei corridoi, nelle aree comuni e sugli scuolabus ma non nelle aule, dove sono state messe in atto misure per agevolare il distanziamento fisico.
Stati Uniti
Malgrado negli Stati Uniti l’epidemia da coronavirus si stesse ancora diffondendo velocemente e i picchi di contagi fossero stati registrati meno di due settimane prima, l’apertura delle scuole era stata autorizzata già per i primi di agosto, con pesanti conseguenze fin da subito un po’ in tutti gli stati. Per esempio nel distretto scolastico della contea di Cherokee, in Georgia, nel sud-est degli Stati Uniti, sono stati segnalati diversi contagi già il primo giorno dell’apertura e nel giro di pochi giorni sono rimaste a casa in quarantena quasi 1.200 persone tra studenti e personale scolastico. In Mississippi a oggi sono stati segnalati contagi in 71 degli 82 distretti scolastici.
Come ha spiegato il New York Times, la riapertura delle scuole è un tema che ha diviso le autorità locali e l’opinione pubblica in tutti gli Stati Uniti: ciascuno stato ha una certa autonomia decisionale, ma presidi, insegnanti e genitori si sono scontrati su ciò che secondo loro sarebbe stato più giusto o più sicuro fare, in particolare nelle comunità rurali, mentre l’amministrazione Trump ha spinto per una riapertura praticamente indiscriminata.
Inoltre, ha raccontato sempre il New York Times, con la scusa di mantenere la privacy delle persone risultate contagiate, in alcuni distretti scolastici della Florida e della Georgia le scuole avrebbero la tendenza a non segnalare e comunicare i casi di contagio, per evitare quarantene, chiusure e preoccupazione, ma impedendo così sia il tracciamento dei contagi che il contenimento dell’epidemia. A oggi, negli Stati Uniti sono stati registrati quasi 6 milioni di contagi e sono morte almeno 180mila persone per cause legate al coronavirus.
In Germany, Denmark, Norway, Sweden and many other countries, SCHOOLS ARE OPEN WITH NO PROBLEMS. The Dems think it would be bad for them politically if U.S. schools open before the November Election, but is important for the children & families. May cut off funding if not open!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 8, 2020
Altri paesi
Attualmente la Spagna, che è stata spesso paragonata all’Italia per il numero e la diffusione dei contagi, è il paese europeo con il maggior numero di contagi per milione di abitanti negli ultimi 14 giorni, con una media di circa 7mila al giorno. Dato il peggioramento della situazione, il 27 agosto si è tenuto un incontro tra il ministro della Sanità Salvador Illa e la ministra dell’Istruzione Isabel Celaá per definire misure plausibilmente più rigide per la ripresa della scuola. El País ha sottolineato che il ritorno a scuola dovrà essere «diverso e flessibile», un po’ come lo è stata l’intera gestione della pandemia, affidata in larga parte alle regioni per valutare meglio le caratteristiche e i rischi di ciascun territorio.
In Corea del Sud il governo mercoledì ha ordinato la chiusura della maggior parte delle scuole nell’area della capitale Seul, dopo che nelle ultime due settimane almeno 143 studenti e 43 dipendenti scolastici erano risultati positivi al coronavirus. Dallo scorso mercoledì è ripresa la didattica a distanza, che rimarrà in vigore fino almeno al prossimo 11 settembre. Da maggio in Corea del Sud era entrato in vigore un sistema per cui solo un terzo degli studenti (due terzi, per le scuole superiori) poteva assistere alle lezioni in aula, a turno, mentre il resto poteva seguirle online.
Il Sudafrica, che con 615mila contagi e 13.502 morti è il quinto paese con più contagi accertati al mondo, a fine luglio aveva imposto la chiusura delle scuole per un mese: la maggior parte dei ragazzi è tornata a scuola lo scorso 24 agosto, ma con grosse preoccupazioni.
Secondo la nota ong Human Rights Watch, la situazione più grave è quella dei paesi subsahariani, in particolare nell’Africa orientale e meridionale, dove da marzo a oggi per via dell’assenza di internet e altri strumenti per la didattica a distanza circa la metà dei bambini non avrebbe ricevuto alcun tipo di istruzione. I dati raccolti nel rapporto dell’UNICEF, inoltre, evidenziano che i bambini che abitano nelle aree rurali sono quelli maggiormente danneggiati dalla chiusura delle scuole durante la pandemia da coronavirus: a livello globale, tre quarti dei bambini che non hanno accesso all’istruzione a distanza abitano in aree remote o famiglie molto povere.