Il governo spagnolo ha deciso di affidare alle regioni un grosso pezzo della gestione della pandemia
E per questo è stato accusato di non volersi prendere le sue responsabilità
Martedì il primo ministro spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, ha annunciato che d’ora in avanti un grosso pezzo della gestione della pandemia da coronavirus sarà affidata alle comunità autonome (simili alle nostre regioni, ma con più autonomia). Nello specifico, Sánchez ha detto che il suo governo non si occuperà più di introdurre il cosiddetto “stato di allarme”, misura prevista dalla Costituzione che permette al governo di adottare misure straordinarie in particolari situazioni di emergenza: d’ora in avanti a farlo saranno i governi delle comunità autonome, a cui comunque sarà garantito l’appoggio dei due partiti di sinistra al governo, il Partito Socialista e Unidas Podemos.
L’annuncio di Sánchez è stato molto criticato dalle opposizioni, che hanno accusato il governo di non volersi prendere le proprie responsabilità, soprattutto in un momento in cui in Spagna si sta parlando di “seconda ondata”. Sia il Partito Popolare che Ciudadanos – entrambe forze politiche di destra, all’opposizione – hanno sostenuto che la mossa del governo costringerà le comunità autonome a pagare tutto il costo politico di eventuali misure straordinarie, allo stesso tempo riducendo l’efficacia delle politiche anti-COVID-19. Dopo settimane di lockdown e limitazioni, infatti, ulteriori misure restrittive potrebbero non essere viste di buon occhio da moltissime persone, soprattutto con l’imminente inizio dell’anno scolastico.
Il governo di Sánchez aveva introdotto lo “stato di allarme” a metà marzo, dopo l’arrivo dell’epidemia da coronavirus in Spagna. Inizialmente la misura straordinaria – che permette tra le altre cose di dare più potere alle forze di sicurezza e di limitare gli spostamenti – era stata appoggiata anche dalle opposizioni, che però nel corso delle settimane avevano iniziato a votare contro il suo prolungamento. Lo “stato di allarme” era terminato il 21 giugno, quando l’epidemia sembrava essere sotto controllo.
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Il dibattito in Spagna su una possibile nuova introduzione di misure di emergenza è diventato più intenso nelle ultime settimane, con l’aumento significativo di nuovi contagi, soprattutto in alcune comunità autonome, come quella di Madrid. Da quando è finito lo “stato di allarme”, le misure restrittive sono state decise per lo più dalle singole comunità autonome, anche se tra parecchie limitazioni: per esempio il divieto di fumare all’aperto in mancanza della distanza di sicurezza, misura imposta dal governo regionale della comunità di Madrid, è stato successivamente annullato da un tribunale.
Diversi presidenti delle comunità autonome, e diverse forze di opposizione, hanno sostenuto che tra lo “stato di allarme” e il non fare nulla ci siano moltissime possibilità, che però secondo loro il governo di Sánchez non ha voluto esplorare. Sánchez ha sostenuto invece che la sua misura vada incontro alle richieste che erano arrivate al suo governo soprattutto nei primi mesi dell’epidemia, quando le opposizioni lo avevano accusato di voler centralizzare troppo il potere, togliendo alle comunità autonome la competenza della sanità.
L’annuncio di Sánchez, comunque, non ha introdotto alcuna rilevante novità da un punto di vista legale: la Costituzione spagnola prevede già che lo “stato di allarme” possa essere richiesto dal governo centrale o dai governi regionali, nel caso in cui una situazione di emergenza sia confinata all’interno di una comunità autonoma. Sánchez ha solo comunicato l’intenzione del governo di non introdurre più questa misura, avvisando le singole comunità autonome che d’ora in avanti sarà eventualmente decisione loro adottare lo “stato di allarme”. Sánchez ha aggiunto che le richieste di introdurlo verranno tutte accettate dalle forze di governo, anche se a chiederlo sarà una comunità autonoma governata da una forza di opposizione.