Perché con Antonio Conte va sempre così
Che sia alla Juventus o all'Inter, in Nazionale o in Inghilterra, la sua carriera da allenatore sembra ripetersi seguendo lo stesso percorso di crescenti esasperazioni
L’Inter ha da poco concluso la sua miglior stagione negli ultimi dieci anni, dando anche l’impressione di avere molti margini di miglioramento: eppure la permanenza del suo allenatore da un anno a questa parte, Antonio Conte, è stata in forte dubbio fino a ieri. Era stato lui stesso a metterla in dubbio con le dichiarazioni fatte alla stampa al termine dell’ultima partita di campionato e successivamente ribadite dopo la finale di UEFA Europa League persa contro il Siviglia, nelle quali si era lamentato di una non specificata “scarsa protezione” nei suoi confronti da parte della società.
Non è la prima volta che Conte si mette in situazioni simili, anzi: è una consuetudine che ha smesso di sorprendere. In molti si ricorderanno per esempio il modo in cui, tre anni dopo aver portato la Juventus da un settimo posto al primo di nove Scudetti consecutivi, si dimise improvvisamente – anche se dopo un anno di nervosismo e segnali – durante la preparazione estiva, in disaccordo con progetti e strategie della società, dalla quale si aspettava più investimenti per competere nelle coppe europee. Per Conte quella non fu né la prima né l’ultima volta.
Nel 2009, dopo aver riportato il Bari in Serie A – il primo grande risultato della sua carriera da allenatore – rifiutò il rinnovo del contratto e andò in Serie A con un’altra squadra, l’Atalanta, dalla quale però si dimise a metà stagione. Nel campionato successivo ripartì dalla Serie B con il Siena, squadra che riuscì a promuovere direttamente in Serie A nel suo unico anno di contratto prima di essere ingaggiato dalla Juventus. La sua stagione in Toscana fu tuttavia caratterizzata da una lunga serie di sfoghi in conferenza stampa, questa volta indirizzati verso l’ambiente che circondava la squadra.
Dopo la Juventus Conte fu chiamato dalla Nazionale, con la quale riuscì a disputare un Campionato europeo entusiasmante nonostante la debolezza della squadra a quel tempo. Durante il suo incarico a Coverciano, tenne banco la questione del poco tempo previsto per la preparazione della Nazionale nel corso della stagione, grazie alla quale ottenne l’organizzazione dei cosiddetti stage tuttora in uso.
Dopo i due anni di Nazionale, la mancanza di un ruolo più attivo e costante lo spinse ad accettare l’offerta del Chelsea in Premier League. A Londra fu una storia già vista. Conte portò il Chelsea dal disastroso decimo posto dell’anno precedente alla vittoria del campionato con sette punti di vantaggio sul Tottenham e quindici sul City di Pep Guardiola. Nella stagione successiva, però, il club ebbe problemi societari che influirono sulla costruzione della squadra: Conte se ne lamentò per tutto il campionato, terminato a fatica con un anonimo quinto posto, ma segnato anche dalla vittoria in FA Cup. Al termine della stagione fu esonerato, secondo lui ingiustamente, motivo per cui fece causa al club, dal quale lui e il suo staff ricevettero circa 30 milioni di euro di indennizzo su ordine del tribunale.
Conte è considerato uno dei migliori allenatori in attività, per le vittorie che ha saputo ottenere con metodi di lavori descritti come instancabili e ossessivi, gli stessi per i quali è soprannominato “martello”. Probabilmente sfoghi e lamentele vengono proprio dai suoi rigidi metodi di lavoro, accompagnati da un senso di competitività esasperato.
Tutto questo è stato confermato spesso anche da giocatori e colleghi. Uno di questi, l’ex allenatore della Croazia Slaven Bilic, lo ha citato recentemente in un’intervista in cui ha parlato delle cose comuni tra i migliori allenatori di calcio: «Quello di cui mi sono reso conto guardando e lavorando nel calcio per molti anni è che la differenza tra i grandi allenatori e tutti gli altri non è solo il talento, che peraltro è discutibile. La differenza è che sono matti. Quando parli di calcio con Antonio Conte, o quando lo segui in televisione, lo vedi che è provato fisicamente, soprattutto quando perde. Quelli come lui lavorano più duramente di chiunque altro. Jurgen Klopp, Conte, Pep Guardiola, e Marcelo Bielsa: lui è veramente pazzo. Non puoi dire “vado a vedere come allena Bielsa e poi il prossimo anno lo imito”, perché non ci riuscirai. Devi essere Bielsa, devi essere come loro».