Per cosa litigano Grecia e Turchia nel Mediterraneo orientale
Per le risorse energetiche, e non è la prima volta che succede, ma ora la situazione sta peggiorando
La scorsa settimana nel mar Mediterraneo orientale si sono scontrate una nave da ricognizione turca e una nave da guerra greca. La nave turca stava scortando la Oruc Reis, una grossa nave per l’esplorazione che andava alla ricerca di giacimenti di petrolio e gas naturale.
L’incidente è avvenuto in acque rivendicate sia dalla Grecia che dalla Turchia, due paesi che da anni stanno competendo per il controllo delle risorse di questo pezzo di mare. Le tensioni più recenti stanno preoccupando però anche paesi non direttamente coinvolti nella disputa, ma che per una ragione o per l’altra potrebbe subirne le conseguenze: per esempio alcuni stati dell’Unione Europea, del Nord Africa e del Medio Oriente.
Le attività di esplorazione della Oruc Reis erano iniziate a fine luglio. Prima dell’inizio delle ricerche, la Turchia aveva diramato un avviso di restrizione della navigazione – conosciuto come “Navtex” – per segnalare la propria presenza tra l’isola greca di Creta e Cipro. Le tensioni erano cominciate a crescere quando la nave aveva raggiunto Kastellorizo, che pur trovandosi circa 150 chilometri a est di Rodi (Grecia), e a soli 2 chilometri dalle coste turche, è un’isola greca.
Secondo la Grecia, i turchi avevano violato le loro acque; secondo la Turchia, era da considerarsi assurdo che la Grecia potesse esercitare la propria giurisdizione in un’area così estesa e così vicina al territorio turco.
Dopo le prime tensioni, era sembrato che Turchia e Grecia potessero mettersi d’accordo grazie all’intervento della Germania, ma poi era saltato tutto. A inizio agosto, la Grecia aveva firmato un accordo con l’Egitto per delimitare una zona di competenza territoriale esclusiva, che però si sovrapponeva con alcune aree che interessavano al governo turco: la Turchia aveva quindi reagito intensificando le operazioni in quell’area.
Il 12 agosto si è verificato l’incidente che ha coinvolto la nave da ricognizione turca che seguiva la Oruc Reis, e che i turchi hanno definito una provocazione.
Non è la prima volta che Grecia e Turchia si trovano in conflitto per il controllo del mar Mediterraneo orientale. La disputa più lunga e importante è quella per l’isola di Cipro, che ancora oggi è divisa tra la Repubblica di Cipro, di influenza greca e riconosciuto a livello internazionale, e la Repubblica turca di Cipro del Nord, che è riconosciuta soltanto dalla Turchia. Il fatto che la Turchia rivendichi l’esistenza di uno stato che non è riconosciuto da nessuno crea ulteriori complicazioni nel risolvere le dispute legali attorno allo sfruttamento delle risorse dell’area.
Per esempio lo scorso anno, il vicepresidente turco, Farou Oktay, aveva detto che la Turchia e la Repubblica di Cipro del Nord non potevano essere «escluse dall’equazione delle risorse energetiche nella regione» e che conducevano attività di ricerca ed estrazione nella legittimità del diritto internazionale.
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Sia Grecia sia Turchia rivendicano le acque di Kastellorizo e quelle di altre aree perché ritengono che facciano parte delle proprie piattaforme continentali, cioè la parte sommersa dei continenti che si estende dalla linea di costa fino a una profondità stabilita per convenzione. La contesa di Kastellorizo, però, riguarda più ampiamente la rivalità per le zone economiche esclusive (ZEE), ovvero quelle aree marittime in cui uno stato esercita la propria autorità e dove può pertanto decidere come sfruttare le risorse, marine e sottomarine.
La rivalità tra Grecia e Turchia per lo sfruttamento delle risorse naturali del Mediterraneo orientale si è intensificata a partire dal 2015, dopo la scoperta da parte dell’azienda energetica ENI di vasti giacimenti di gas naturale nelle acque egiziane. Siccome ENI era la principale compagnia impegnata nelle attività di estrazione di gas a Cipro, la scoperta del giacimento fece ipotizzare la costruzione di un gasdotto sottomarino che potesse collegare i giacimenti di Egitto, Cipro e Israele, per portare il gas del Mediterraneo orientale in Grecia e, auspicabilmente, in Italia.
La Turchia, tuttavia, fu tagliata fuori da questo progetto. A fine 2019 il governo turco firmò quindi un accordo sulle ZEE con la Libia: l’accordo consentiva alla Turchia di sfruttare le risorse energetiche in aree più estese del Mediterraneo orientale, e alla Libia di chiedere assistenza militare alla Turchia in caso di necessità. Il fatto, ha scritto l’ISPI, è che le aree indicate erano rivendicate anche da altri paesi, contro cui la Turchia avrebbe potuto avanzare pretese in futuro, per esempio nel caso della costruzione di un gasdotto verso l’Italia.
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Come ha raccontato su The Conversation Clemens Hoffmann, esperto di Medio Oriente, la Turchia sostiene che la sua posizione nel Mediterraneo orientale sia di tipo difensivo; tuttavia diversi analisti pensano che non sia così, che le politiche turche abbiano spinte espansionistiche, che si ricollegherebbero all’idea di “Mavi vatan” (Patria blu), ovvero l’ambizione della Turchia di ottenere la supremazia sul Mediterraneo orientale. In più, le zone esclusive rivendicate nell’accordo tra Turchia e Libia non tengono in considerazione gli effetti sull’isola greca di Creta, che si trova nel mezzo della zona reclamata dalla Turchia.
Come ha chiarito l’ISPI, inoltre, la Turchia ritiene che parte del territorio marittimo di Cipro, in particolare quello attorno a Cipro del Nord, sia inclusa nelle proprie zone economiche esclusive: il governo turco pertanto non riconosce i contratti siglati dal governo di Cipro con le compagnie energetiche relativamente a queste aree e starebbe anzi pensando di intensificare le proprie ispezioni per ricominciare a trivellare.
Nel 2019 l’Unione Europea impose sanzioni alla Turchia per aver trivellato illegalmente nelle aree attorno a Cipro del Nord.
Attualmente le relazioni diplomatiche con l’Unione Europea si sono fatte più complesse, e la situazione tra Grecia e Turchia è peggiorata molto per altri due motivi: per la crisi dei migranti, in particolare quando lo scorso febbraio la Turchia aveva aperto i confini alle persone che erano intenzionate a raggiungere l’Europa passando per la Grecia; e per la recente riconversione della Basilica di Santa Sofia di Istanbul in moschea, voluta dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e molto contestata dalla Grecia.
Come ha raccontato Foreign Policy, la tensione tra Grecia e Turchia potrebbe avere effetti anche in altri paesi dell’Unione Europea, Nord Africa e Medio Oriente. L’Unione Europea, pur avendo riconosciuto le infrazioni del governo turco, vorrebbe proseguire sulla via del dialogo con la Turchia ed evitare un conflitto.
Secondo l’Economist l’Unione Europea dovrà fare notevoli sforzi diplomatici per avviare un dialogo con la Turchia pur non dimenticando le infrazioni compiute dal governo turco. La Grecia, invece, può contare sull’appoggio di Francia, Egitto e Cipro, e su quello di Israele, con cui di recente gli Emirati Arabi Uniti hanno stabilito un importante accordo che tra le altre cose è orientato proprio a favorire politiche di contenimento della Turchia nel Mediterraneo orientale.
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