Xi Jinping vuole ancora più potere
E per ottenerlo ha avviato una campagna di "rettifica" che coinvolge la polizia e le autorità giudiziarie cinesi
Il potentissimo presidente cinese Xi Jinping ha avviato un’ampia campagna per individuare e indagare i funzionari di forze dell’ordine e magistratura sospettati di non aver svolto correttamente il loro lavoro o considerati non leali nei confronti del governo. È la prima grande campagna di Xi che riguarda espressamente questi due organi e ha lo scopo di rieducare i funzionari all’ideologia del governo, guidato dal Partito comunista cinese.
Secondo il governo, l’iniziativa sarebbe volta a “purificare” chi tra i funzionari è sospettato di dissenso, ma anche a indagare e rieducare chi è accusato di corruzione o di aver commesso gravi illeciti. Secondo alcuni analisti, invece, servirebbe a Xi per accertarsi di avere solo persone leali e fidate nei ruoli più importanti di polizia e autorità giudiziarie: un appoggio incondizionato gli tornerebbe utile sia per frenare eventuali proteste da parte della popolazione, sia nel caso di un conflitto con gli Stati Uniti.
Il Wall Street Journal ha spiegato che, secondo quanto ha riferito il governo cinese, l’obiettivo della campagna annunciata lo scorso 8 luglio è quello di plasmare poliziotti, pubblici ministeri e giudici “completamente leali, completamente puri e completamente affidabili”. Oltre ad allontanare apertamente politici, dissidenti e attivisti con posizioni diverse da quelle del governo, dunque, Xi Jinping ha avviato un’iniziativa di rieducazione per consolidare la propria autorità anche sugli organi di controllo e accentrare ancora più potere attorno a sé.
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Durante la prima settimana dall’avvio della campagna, il Partito comunista ha detto di aver messo sotto indagine almeno 21 agenti di polizia e funzionari del sistema giudiziario, e ha preso di mira decine di altri poliziotti, giudici e pubblici ministeri sospettati di corruzione o infedeltà verso il governo. Tra questi, per esempio, c’è anche Gong Daoan, il capo della polizia di Shanghai, che come ha spiegato il South China Morning Post – il principale quotidiano in lingua inglese di Hong Kong – è stato accusato di “gravi violazioni disciplinari e legali”.
Chen Yixin, il funzionario nominato da Xi Jinping per dirigere la campagna di rieducazione, ha detto che l’iniziativa si ispira al Movimento di “rettifica” di Yan’an, che fu il primo movimento ideologico di massa in Cina con lo scopo di riformare il pensiero degli intellettuali e imporre l’ideologia del partito, e che contribuì a consolidare il potere di Mao Zedong.
Più nello specifico, oltre alle indagini disciplinari sull’operato di polizia e magistratura, la campagna di rieducazione voluta da Xi comprende una pesante dose di pratica della sua ideologia: in base alle linee guida del programma di “rettifica”, i funzionari indagati devono infatti riconoscere l’autorità indiscussa del presidente e «fortificare le proprie menti» studiando i suoi discorsi sulle politiche di governo.
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Una delle storie di corruzione più recenti riguarda il caso di Wang Yongming, un uomo di Baotou – una città che si trova circa 600 chilometri a ovest di Pechino, nella regione cinese della Mongolia Interna, a sud della Mongolia – accusato di usura, estorsione e ricatto. Non solo Wang fu denunciato da un poliziotto che a sua volta conduceva la propria attività di strozzinaggio, ma durante il processo, l’11 luglio, gli avvocati della difesa segnalarono numerose irregolarità da parte dei pubblici ministeri dell’accusa: per esempio, dissero che i pubblici ministeri avevano usato contro Wang prove falsificate e che uno dei procuratori aveva chiesto ai figli di Wang una mazzetta da 300mila renmimbi (circa 36mila euro) in cambio di aiuto durante il processo.
Alla difesa, però, fu impedito di far ascoltare la registrazione che avrebbe provato il tentativo di concussione da parte del procuratore dell’accusa. E quando uno degli avvocati della difesa, Xu Xin, decise di abbandonare il caso per la troppa frustrazione, venne bloccato dagli ufficiali giudiziari perché non parlasse più col proprio assistito. La foto degli ufficiali che accerchiano l’avvocato è diventata virale sui social media cinesi e poi, apparentemente, è stata censurata.
Poche settimane dopo il processo, un funzionario anti-corruzione si è presentato a Baotou per verificare che la polizia locale avesse messo in atto il programma di “rettifica” per le varie infrazioni dei funzionari coinvolti. Secondo la figlia di Wang, se il pubblico ministero che aveva chiesto la mazzetta è stato infine messo sotto accusa è stato probabilmente per via della campagna di rieducazione.
Alcuni avvocati citati dal Wall Street Journal hanno detto che la campagna avviata da Xi Jinping rispecchia il suo desiderio di avere un sistema giuridico efficace e professionale, che sostenga la legittimità del Partito comunista; altri, invece, si aspettano che nel concreto cambierà ben poco. In generale, la campagna di Xi è considerata un modo per rafforzare ulteriormente il potere del presidente, che governa da anni in maniera autoritaria e compiendo sistematiche repressioni del dissenso e violazioni dei diritti umani, come nel caso delle violenze sugli uiguri.
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Delle politiche coercitive della Cina nei confronti dei dissidenti si è tornato a parlare anche per via della recente testimonianza di Cai Xia, una ex insegnante della Scuola centrale del Partito comunista che è stata espulsa dal partito per aver criticato Xi Jinping e aver quindi «danneggiato la reputazione del governo».
Cai, che ora vive negli Stati Uniti ed è stata intervistata sia dal New York Times che dal Guardian, aveva criticato duramente le politiche del presidente, in particolare la gestione della pandemia da coronavirus e l’imposizione della nuova legge sulla sicurezza a Hong Kong. Cai, che ora dice di avere «molta più libertà», sostiene che il Partito comunista sia «il più grosso ostacolo al progresso della Cina» e che in molti vorrebbero abbandonarlo, ma non lo fanno per timore delle conseguenze.
Cai ha poi spiegato di aver perso completamente la fiducia nel Partito per via di come il governo aveva gestito la morte dell’attivista ambientalista Lei Yang nel 2016. Lei, che aveva 29 anni, morì sotto custodia della polizia: si sospettò che fosse stato picchiato dagli agenti che lo avevano arrestato davanti a un centro massaggi, a Pechino, ma il governo cercò di screditare Lei dicendo che era stato con una prostituta e che aveva avuto un infarto poco dopo l’arresto. «I metodi del governo sono così spregevoli da aver sorpassato ogni limite», ha detto Cai.
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Non è la prima volta che Xi Jinping viene paragonato a Mao Zedong. Nel 2017, infatti, il “pensiero di Xi Jinping” era stato aggiunto nella Costituzione del Partito, una decisione che fino a quel momento era stata riservata soltanto a un altro leader: Mao Zedong, per l’appunto.
Il “pensiero di Xi Jinping”, cioè le sue idee politiche e il suo progetto per il futuro del paese, si trova ovunque in Cina – nelle scuole, nei giornali, in televisione, nei cartelloni per strada. L’obiettivo di Xi è da sempre quello di consolidare il potere della Cina sia a livello di nazione sia di partito, oltre che rafforzare la propria autorità e la propria immagine di leader forte e deciso che dovrebbe condurre la Cina sulla via della crescita globale.