Cosa vuole fare la Russia in Bielorussia
Intervenire militarmente? Stare a guardare? Appoggiare una transizione di potere per sostituire Lukashenko? Un po' di risposte
di Elena Zacchetti
Negli ultimi giorni, con l’aggravarsi della crisi bielorussa, si è cominciato a parlare della possibilità di un intervento militare della Russia a difesa del presidente Alexander Lukashenko, che governa la Bielorussia in maniera autoritaria dal 1994.
Russia e Bielorussia sono paesi amici, legati da trattati di vario tipo, anche di difesa. Domenica scorsa, sempre più in difficoltà a causa delle enormi proteste antigovernative che si tengono nel paese dalla diffusione dei risultati delle ultime elezioni, Lukashenko ha parlato al telefono per due volte con il presidente russo Vladimir Putin, chiedendogli aiuto. Putin ha assicurato Lukashenko che la Russia avrebbe fornito la «necessaria assistenza» al governo bielorusso di fronte a minacce provenienti dall’esterno: un modo per dire che la Russia non escludeva la possibilità di intervenire militarmente in Bielorussia, se lo avesse ritenuto necessario.
La risposta russa, pubblicata in una nota sul sito del Cremlino, ha allarmato diversi governi occidentali. Molti hanno ricordato quello che successe in Ucraina tra il 2014 e il 2015, con l’annessione russa della Crimea e la partecipazione di militari russi nella guerra contro l’esercito ucraino nell’est del paese, operazioni avviate per evitare di ritrovarsi un paese filo-europeo e filo-NATO ai suoi confini occidentali. Con la crisi sempre più profonda del regime di Lukashenko, che potrebbe non sopravvivere alle enormi proteste degli ultimi giorni, la domanda che hanno iniziato a farsi in molti è stata: toccherà alla Bielorussia, questa volta?
Parlare di una possibile invasione russa in Bielorussia non è fantapolitica.
Negli ultimi anni la Russia di Vladimir Putin ha mostrato di avere la volontà e la capacità di intervenire militarmente in altri paesi e di reagire con decisione a minacce – reali o percepite – provenienti dai suoi confini occidentali, soprattutto dai paesi della NATO. L’importanza della Bielorussia per la Russia è stata riconosciuta apertamente anche dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che mercoledì ha detto: «Quello che sta succedendo in Bielorussia ci preoccupa molto. Nessuno fa segreto del fatto che si stia parlando di una questione geopolitica, della lotta per il controllo dello spazio post-sovietico». E l’ipotesi dell’intervento militare ha già trovato sostenitori influenti in Russia, come Margarita Simonyan, direttrice di Russia Today, media controllato dal governo.
Nonostante le preoccupazioni, però, ci sono diverse ragioni per ritenere che l’opzione dell’intervento militare russo in difesa di Lukashenko non sia in cima alla lista dei desideri di Putin: sia perché nel corso dell’ultimo anno i rapporti tra i due presidenti si erano rovinati parecchio, sia perché sembrano esserci opzioni meno rischiose, che potrebbero ugualmente garantire alla Russia di continuare a esercitare una forte influenza sul suo alleato.
I problemi tra i due presidenti erano iniziati nel 2018, quando la Russia aveva ridotto gli sconti applicati sulla vendita di greggio alla Bielorussia. Putin, ha scritto tra gli altri l’analista russa Anna Arutunyan sul Moscow Times, non voleva più dare senza ricevere nulla in cambio, e aveva detto a Lukashenko che gli sconti sarebbero stati reintrodotti solo se la Bielorussia avesse accettato di accelerare l’integrazione nell’Unione Statale, organizzazione internazionale di cui fanno parte i due paesi. Lukashenko aveva accusato la Russia di interferire nella sovranità bielorussa e aveva espulso un diplomatico russo, mostrandosi allo stesso tempo più aperta a dialogare con l’Occidente.
Durante l’ultima campagna elettorale, inoltre, era successa una cosa piuttosto bizzarra. I servizi segreti bielorussi avevano arrestato 33 uomini sospettati di essere mercenari del gruppo Wagner, compagnia di sicurezza russa considerata vicina al presidente Putin che negli ultimi anni ha partecipato a operazioni militari in diversi paesi del mondo, tra cui Libia e Repubblica Centrafricana. Lukashenko aveva accusato la Russia di voler rovesciare il suo regime, secondo i russi con l’obiettivo di ottenere consensi tra i paesi occidentali in vista delle elezioni che si sarebbero tenute undici giorni dopo.
A quel punto «qualsiasi rimasuglio di fiducia rimasta a Mosca per Lukashenko è evaporato completamente», ha scritto l’analista russo Dmitri Trenin sul sito del think tank Carnegie Moscow Center.
La crescente diffidenza tra Putin e Lukashenko è uno dei motivi che stanno spingendo la Russia a cercare altre opzioni di intervento nella crisi bielorussa, al di là di un’operazione militare diretta, ma non è l’unico.
A differenza di quello che successe nella crisi ucraina, infatti, finora le proteste in Bielorussia non sono state guidate da temi di politica estera, e non hanno riguardato la possibilità per il paese di cambiare schieramento internazionale, allontanandosi dalla sfera di influenza russa: non hanno mostrato nemmeno forti sentimenti nazionalistici anti-russi. «Quando un manifestante a Minsk ha sventolato una bandiera dell’Unione Europea, altri hanno iniziato a gridargli contro e a dirgli di metterla via», hanno scritto Henry Fox e Max Seddon sul Financial Times. La stessa opposizione a Lukashenko si è mostrata per nulla ostile nei confronti della Russia, anzi: Maria Kolesnikova, che fa parte del consiglio creato dalla leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya per gestire la transizione di potere, ha accusato direttamente Lukashenko di creare «tensioni e confitti» con la Russia, e ha assicurato che il consiglio si occuperà di costruire «relazioni di reciproco beneficio» con il governo russo.
C’è da considerare un’ultima cosa. A differenza di quanto successo durante la rivoluzione in Ucraina, le proteste in Bielorussia sono appoggiate da molti in Russia: per questo un intervento a favore della repressione potrebbe provocare proteste contro il governo e il presidente Putin.
Per tutte queste ragioni, l’opzione che sembra più praticabile ad oggi per il governo russo sembra essere quella di guidare una transizione che costringa Lukashenko a lasciare il potere, e che permetta di sostituirlo con qualcuno che gode della fiducia della Russia. Questo garantirebbe alla Russia di non rischiare di “perdere” la Bielorussia, magari tramite la formazione di un governo anti-russo o filo-occidentale. Ma chi mettere al posto di Lukashenko?
Secondo Trenin del Carnegie Moscow Center, Svetlana Tikhanovskaya e il marito, Sergei Tikhanovsky, che si trova in carcere, non sarebbero l’opzione preferita di Putin, a causa della mancanza di esperienza politica che non li renderebbe partner affidabili: «Oggi la migliore opzione per il Cremlino è sedersi e aspettare, ma allo stesso tempo preparasi per gestire la successione di Lukashenko e l’arrivo di un governo che possa basarsi, a livello elettorale, sulla maggioranza russa della Bielorussa». Il problema sarebbe capire a chi affidare quel governo, ha scritto il Financial Times. A differenza di quanto successo in Ucraina, dove la Russia aveva passato decenni a coltivare legami con politici e oligarchi filo-russi, in Bielorussia la presenza di una figura dominante come Lukashenko, al potere dagli anni Novanta, ha prodotto una situazione diversa, senza alternative forti. Per questo non si può escludere che alla fine il governo russo continuerà ad appoggiare Lukashensko, pur assicurandosi che non ripeta gli errori già commessi.
Di fronte alla confusione dell’intera situazione, quindi, una delle poche cose certe è che non è chiaro cosa farà la Russia.
Come ha raccontato un dettagliato articolo di Meduza, sito online indipendente che si occupa di cose russe e che ha sede in Lettonia, il governo russo, diversamente da quanto succede solitamente in situazioni simili, non ha ancora dato indicazioni precise né ai politici né ai media su come trattare le proteste in Bielorussia. Il risultato è stato per esempio che televisioni e giornali nazionali controllati dal governo hanno raccontato le proteste ciascuno a modo suo: qualcuno mostrando le immagini dall’alto delle enormi manifestazioni di Minsk, la capitale bielorussa, qualcun altro definendo i manifestanti «banditi». «Tutto è stato lasciato alla discrezione dei giornali. Si è creato un certo livello di libertà di espressione», ha detto a Meduza una fonte rimasta anonima.
Un’altra fonte anonima citata da Meduza, e vicina al regime di Putin, ha detto che la relativa libertà sui media russi nel trattare le proteste in Bielorussia è possibile perché non c’è consenso all’interno dello stesso regime: la Russia starebbe aspettando di vedere se Lukashenko sarà in grado di tenere il potere.
Lo scenario che potrebbe prospettarsi in Bielorussia, ha scritto l’analista Andrey Kortunov, capo del think tank Russian International Affairs Council, è simile a quello della rivoluzione armena del 2018, cioè quello di uno stato dello spazio post-sovietico che rovescia il regime del proprio presidente ma che lo sostituisce con un leader che mantiene posizioni e politiche filo-russe. Della stessa idea è Anders Åslund, analista dell’Atlantic Council, che ha scritto che per capire la posizione della Russia in Bielorussia è più utile guardare all’Armenia del 2018, invece che all’Ucraina del 2014: «Inizialmente, Putin sembrava esitare, ma ora sembra essere piuttosto contento del popolare e democratico primo ministro armeno Nikol Pashinyan»; l’Armenia è rimasta infatti parte di organizzazioni internazionali con la Russia, e le grandi società statali russe sono arrivate a dominare completamente l’economia armena.
Anche questa è solo un’ipotesi, comunque, che alla fine potrebbe non essere considerata praticabile dal governo russo. Come ha detto Kortunov, infatti, nel caso della formazione di un governo democratico, la Bielorussia potrebbe diventare un motivo di crisi in Russia: «Con la democrazia, il rischio è che potresti avere un governo filo-russo a Minsk un giorno, e un altro diverso meno amichevole il giorno dopo».