Ora in Libano crescono molto i contagi
Dopo l'esplosione di Beirut l'aumento dei casi di coronavirus sta diventando preoccupante, e le strutture sanitarie della capitale funzionano solo parzialmente
Dopo l’esplosione che lo scorso 4 agosto ha devastato una grossa parte di Beirut, il sistema sanitario del Libano è in grande difficoltà: tre grandi ospedali della capitale sono stati gravemente danneggiati e sono chiusi, altri tre funzionano solo parzialmente e sono sovraccarichi di feriti. Non solo: nel paese si sta verificando un preoccupante aumento dei contagi da coronavirus. Ieri il ministro della Sanità del governo provvisorio, Hamad Hasan, ha detto che nelle ultime 24 ore sono stati registrati 439 nuovi casi.
Già prima dell’esplosione – che ha causato la morte di almeno 200 persone e più di 6 mila feriti – il Libano stava attraversando una crisi gravissima, risultato di anni di instabilità e settarismo nella politica nazionale, e del collasso del sistema bancario. La situazione era peggiorata durante la pandemia da coronavirus, con i cittadini ridotti al baratto e lunghi blackout quotidiani: a marzo l’ospedale universitario Rafiq Hariri, la principale struttura della capitale destinata a trattare i pazienti con la COVID-19, era stato per due giorni, 20 ore al giorno, senza energia elettrica. La mancanza di elettricità si era poi “ridotta” a circa sei ore al giorno, ma la direzione sanitaria dell’ospedale è stata costretta a chiudere alcune sale operatorie e rimandare parecchie operazioni chirurgiche. L’esplosione ha aggravato la situazione generale del sistema sanitario.
Lunedì il ministro della Sanità libanese ha chiesto un blocco totale di due settimane per arginare la diffusione dell’epidemia visto l’aumento dei contagi: «La situazione è insostenibile», ha detto a una radio locale. Ha spiegato che gli ospedali governativi e privati di Beirut sono pieni di malati di coronavirus e che le unità di terapia intensiva sono al completo. L’esplosione ha poi danneggiato 26 ospedali e cliniche della capitale, rendendole in grado di operare solo parzialmente. Il Saint George Hospital, struttura da 330 posti letto che si trova a meno di un chilometro dal sito dell’esplosione, è stato ad esempio chiuso e il direttore sanitario ha detto che ci vorrà almeno un anno per ripristinarlo e circa 30 milioni di dollari.
La settimana scorsa l’Agenzia dell’ONU per gli affari umanitari (Ocha) aveva espresso preoccupazione per un possibile aumento dei contagi da COVID-19, visto il mancato rispetto delle misure di distanziamento sociale da parte dei volontari impegnati nelle operazioni di soccorso. Negli ultimi giorni, i residenti si sono riuniti per le strade, o per rendere omaggio alle vittime o per manifestare contro il governo che secondo molti è responsabile delle morti causate dall’esplosione. Molti sfollati si sono trasferiti con la famiglia nelle case dei conoscenti che non sono state danneggiate, e hanno lavorato a distanza ravvicinata per ripulire le strade dalle macerie. Tutto questo, indossando spesso le mascherine, ma con poca attenzione al distanziamento fisico. La notte dell’esplosione, inoltre, circa una dozzina di pazienti con la COVID-19 sono scappati dal reparto di un ospedale danneggiato, mescolandosi con altri pazienti e persone rimaste ferite. «Abbiamo perso il controllo», ha detto Pauline Tartarian, un’infermiera di 26 anni intervistata dal Wall Street Journal. Nell’esplosione, inoltre, sono rimasti feriti almeno 2 mila medici.
Human Rights Watch ha infine denunciato come la crisi di liquidità del paese abbia gravemente ostacolato la capacità degli importatori di forniture mediche di far arrivare mascherine, guanti e altri dispositivi di protezione, ma anche ventilatori e pezzi di ricambio.
Inizialmente il Libano era riuscito a evitare un alto numero di contagi, e il conseguente e realistico collasso del sistema sanitario, scegliendo di chiudere le attività e le scuole e imponendo severe restrizioni. All’inizio di maggio, per cercare di far ripartire l’economia – il debito pubblico è pari a circa 77 miliardi di euro, corrispondente al 150 per cento del prodotto interno lordo, e i flussi delle entrate necessarie per finanziare la spesa pubblica si erano notevolmente ridotti – il governo aveva revocato le restrizioni, decidendo anche, a giugno, di riaprire l’aeroporto di Beirut. Finora, secondo i dati della Johns Hopkins University, nel paese risultano più di 9 mila casi da coronavirus e 105 morti.
Il ministro della Sanità del governo provvisorio, Hamad Hasan, ha detto ieri che è stato «dichiarato lo stato di allerta generale» nel paese, e che c’è bisogno «di prendere una decisione coraggiosa: chiudere per due settimane». La fiducia nel governo è però a un livello molto basso, e potrebbe essere difficile per le autorità persuadere le persone a rispettare nuovi limiti e restrizioni. Nel frattempo lo stato di emergenza proclamato nella capitale dopo l’esplosione è stato prolungato fino al prossimo 18 settembre, secondo quanto riportato dai quotidiani locali. Lo stato di emergenza dà al «potere militare» l’autorità su tutte le altre forze di sicurezza del paese con l’obiettivo di mantenere l’ordine per le strade.