Come sta andando Saudi Aramco
La compagnia petrolifera saudita, che a fine 2019 si era quotata in borsa tra moltissime aspettative, sta attraversando un momento delicato
Saudi Aramco, la grande compagnia petrolifera statale saudita, sta attraversando un momento particolarmente delicato, dopo che lo scorso dicembre si era quotata nella borsa nazionale di Tadawul con l’offerta pubblica iniziale (IPO) più grande di sempre. I risultati del secondo trimestre hanno evidenziato un calo di utili del 73 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, da 24,7 a 6,6 miliardi di dollari, dovuto per lo più al drastico calo della domanda per via della pandemia da coronavirus: nonostante questo, Saudi Aramco ha deciso comunque di pagare le cedole ai suoi investitori, a differenza di altre compagnie del settore che in questo periodo hanno deciso di trattenere il capitale nella società.
Non c’è accordo sulla gravità della crisi che sta attraversando Saudi Aramco.
Secondo alcuni analisti, gli ultimi dati non sono un grosso problema, sia perché il mercato del petrolio è particolarmente resiliente, sia perché l’Arabia Saudita, che controlla Saudi Aramco per il 98,5 per cento, è tra i primi paesi produttori ed esportatori di petrolio al mondo ed è anche uno di quelli che hanno più riserve. Altri sostengono però che la forte dipendenza di Saudi Aramco dal regime saudita possa essere una debolezza: perché la famiglia reale, una tra le più ricche al mondo, sembra curarsi meno della stabilità in borsa della Saudi Aramco e più del proprio tornaconto politico, cioè la volontà di primeggiare sugli altri produttori ed esportatori, come Russia e Stati Uniti, condizionandone il comportamento.
La quotazione in borsa di Saudi Aramco fu annunciata lo scorso novembre e l’ingresso nei mercati del successivo 11 dicembre attirò molte attenzioni per via dell’offerta pubblica iniziale, che sfiorando i 2mila miliardi di dollari (e superandoli peraltro il secondo giorno sul mercato) fu la più alta di sempre. Fu il potente principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, a volere che Saudi Aramco si quotasse: l’ingresso in borsa della società, infatti, era uno dei punti principali del programma “Vision 2030”, con cui il governo saudita voleva raggiungere l’obiettivo di diversificare l’economia del paese, che ancora oggi dipende quasi esclusivamente dallo sfruttamento degli idrocarburi.
Sebbene la quota di Saudi Aramco capitalizzata sul mercato fosse soltanto una piccola parte della società, l’1,5 per cento, da subito alcuni analisti avevano avvertito che la compagnia era sopravvalutata e la quotazione non sarebbe stata sostenibile sul lungo periodo. Il lancio in borsa non fece infatti colpo sugli investitori stranieri, come desiderava il governo saudita, e già dal secondo giorno diversi di loro iniziarono a vendere le proprie quote.
Per molto tempo Saudi Aramco fu considerata l’azienda più ricca al mondo, ma a fine luglio è stata sorpassata da Apple, che adesso è la società quotata con più valore di mercato al mondo.
Il motivo per cui si è tornati a parlare di Saudi Aramco è che malgrado i risultati fortemente in calo del secondo trimestre del 2020 la società ha annunciato di voler pagare le cedole agli azionisti, come previsto dall’offerta del titolo: altre compagnie, ha scritto l’Economist, hanno invece sospeso l’erogazione dei dividendi per poter rimanere in piedi. Saudi Aramco ha detto di aver pagato 18,75 miliardi di dollari agli azionisti nel secondo trimestre, e che ulteriori 18,75 miliardi di dollari verranno pagati nel terzo trimestre dell’anno. Nel comunicato, l’azienda ha anche specificato che i ricavi della prima metà del 2020 sono stati 23,2 miliardi di dollari, contro i 46,9 dello stesso periodo dell’anno passato.
Secondo alcuni analisti citati dall’Economist, Saudi Aramco sarebbe un’azienda particolarmente solida anche in queste circostanze: rispetto ad altre compagnie petrolifere, come la Royal Dutch Shell e BP, che nello scorso trimestre hanno perso rispettivamente 18,1 e 16,8 miliardi di dollari, Saudi Aramco ne ha guadagnati comunque 6,6. Inoltre, Saudi Aramco è meno indebitata di altre importanti compagnie petrolifere, ha costi di produzione più bassi e consistenti riserve di petrolio.
Tuttavia, ha sottolineato il New York Times, di fatto quasi tutte le cedole andranno al governo saudita, che possiede il 98,5 per cento della società, e la maggior parte delle azioni collocate sul mercato è comunque in mano a investitori sauditi, che a loro volta sono legati al governo. La salute di Saudi Aramco, ha spiegato l’Economist, non dipende quindi dal suo andamento sul mercato, bensì dalle priorità del governo saudita.
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Per esempio, lo scorso marzo, quando la domanda di petrolio era in drastico calo per via della pandemia da coronavirus, l’Arabia Saudita decise di aumentare le attività di estrazione del petrolio anziché rallentarle, facendo così crollare il prezzo del petrolio del 30 per cento.
Questo avvenne perché le trattative con la Russia per prorogare una riduzione concordata della produzione oltre il mese marzo, e mantenere così alti i prezzi del petrolio, erano fallite: l’Arabia Saudita ordinò di aumentare la produzione per rendere più appetibili le proprie scorte e svantaggiare paesi come la Russia e gli Stati Uniti, che con un prezzo sotto i 50 dollari al barile avrebbero perso denaro, dato che l’estrazione di un barile costava di più (lo scorso aprile, il prezzo del petrolio era sceso fino a 20 dollari al barile).
Ora che, come ha scritto l’Economist, Saudi Aramco «è tornata nel suo ruolo di banchiere centrale del petrolio», potrebbe comunque essere difficile per il governo saudita mantenere stabile la situazione.
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Alcune importanti compagnie petrolifere, come BP ed ENI, hanno previsto di diminuire considerevolmente le proprie attività di estrazione nel prossimo decennio, sia per la sfiducia dei principali investitori circa la redditività dell’investimento, sia per le crescenti preoccupazioni sui cambiamenti climatici. Da questo lato, la Saudi Aramco potrebbe essere avvantaggiata perché ha già notevoli scorte e potrebbe esportarle senza dover fare una nuova guerra sui prezzi del petrolio.
Dall’altro lato, ha sottolineato l’Economist, l’Arabia Saudita l’anno scorso aveva avuto bisogno di vendere il petrolio almeno a 80 dollari al barile perchè gli utili fossero sufficienti a ripagare il deficit del bilancio statale. Nell’aprile e nel giugno di quest’anno ha stipulato nuovi accordi per la diminuzione delle attività di estrazione con la Russia, anche con l’intervento degli Stati Uniti, che a loro volta sarebbero stati pesantemente svantaggiati da un ulteriore abbassamento dei prezzi. Tuttavia, il prezzo del petrolio oscilla al momento attorno ai 45 dollari a barile e non si è ancora rialzato in maniera significativa.